
Fs, che controlla l'ex stazione cara a Matteo Renzi, l'ha messa in vendita. La fiera di moda potrebbe fare un'offerta. Con il via libera di Luca Lotti, uno degli uomini di fiducia del Bullo.C'è una corsa contro il tempo per acquistare l'area dell'ex stazione Leopolda di Firenze, dove l'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi lanciò la sua discesa in campo nel lontano 2010 e da dove ha annunciato che il prossimo 19 ottobre rilancerà la sua azione politica. Peccato che rischi di non avere quegli spazi dove negli anni si è alternata sul palco gran parte della classe dirigente italiana che ha comandato negli ultimi quattro anni al governo e nelle partecipate statali. Sarà il nuovo vento del governo gialloblù di Giuseppe Conte, sarà che il renzismo è in crisi, sarà che Dario Nardella ha il mandato da sindaco in scadenza il prossimo anno, ma - a sorpresa - il 14 maggio scorso, è ricomparso sul sito di Fs Servizi (il braccio delle ferrovie sulle attività di back office) il bando per la cessione di quest'area di circa 8.000 metri quadrati al prezzo di 7,2 milioni di euro, con tanto di brochure descrittiva di 35 pagine e soprattutto scadenza il 25 giugno, ovvero lunedì prossimo. Ma come mai Ferrovie dello Stato ha riaperto un bando su questo immobile che pareva ormai destinato al Comune di Firenze? Il quale aveva infatti manifestato la propria intenzione all'acquisto con tanto di note stampa nei mesi scorsi? Di comunicazioni ufficiali, al momento, non ce ne sono, anche perché il bando è ancora aperto. Ma la storia è complessa e va raccontata. Inizia alla fine di dicembre del 2016 e potrebbe avere una svolta il prossimo 21 giugno, quando il cda di Centro Moda di Firenze (Cfmi), partecipata dal Comune ma soprattutto azionista dell'85% di Pitti Immagine, dovrà decidere se avanzare o meno la proposta per l'acquisto dell'area. Non solo. Lo stesso giorno sono convocati anche il cda di Pitti e l'assemblea. Caso vuole che nel consiglio di amministrazione di Cfmi, in scadenza, sieda dal 2015 Luca Lotti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe, nonché tra i punti di riferimento del Giglio magico di Renzi: in barba alla trasparenza Lotti non ha caricato sul sito né il curriculum né la dichiarazione dei redditi. Giovedì, insomma, potrebbe essere l'ultimo appello, anche perché Pitti, che già svolge fiere di moda in quegli spazi e che ha avuto contratti di affitto in questi anni, è, pare, uno degli unici possibili acquirenti. Ma se la fiera fiorentina non è riuscita a fare proposte in questi anni, perché dovrebbe farlo proprio adesso con un consiglio di amministrazione che scadrà la prossima settimana? Soprattutto perché dovrebbe impegnarsi in un'operazione così importante a fine mandato? È evidente che dal 2014 a oggi l'asse Renzi-Lotti-Nardella ha provato a conquistare definitivamente quegli spazi, così importanti per l'immagine del made in Italy e anche del Partito democratico. Tutto incominciò alla fine del 2016, dopo la sconfitta del referendum costituzionale del 4 dicembre. Il Comune di Firenze mostrò interesse per una delle tante aree dismesse che Ferrovie dello Stato stava cercando di vendere. Nardella decide si avvalersi della prerogativa prevista dall'art. 24 comma 4 ex L 210/85 (prelazione che sospende ogni bando da parte di un venditore se l'immobile è di rilevanza pubblica). Per di più proprio il governo Renzi ha nominato l'attuale amministratore delegato di Fs, Renato Mazzoncini, rinnovato alla fine dello scorso anno dal governo Gentiloni con la scusa del matrimonio con Anas: scadrà nel 2020. Il 6 gennaio del 2017 sempre il Comune emette un bando per individuare un soggetto che paghi l'affitto per 25 anni che - casualmente - corrispondeva proprio al valore richiesto da Fs, ovvero 7,2 milioni di euro. Nel febbraio del 2017, sempre Palazzo della Signoria nomina il renziano Claudio Marenzi alla presidenza di Pitti Immagine. Del resto la moda è sempre stata una passerella importante per l'ex presidente del Consiglio, che ai bei tempi amava farsi fotografare con un chiodo di pelle come Fonzie. Marenzi ha sempre sponsorizzato l'ex Rottamatore, tanto da definirlo in un'intervista come uno che fa assolutamente «tendenza e ci riporta all'italian style dei giorni migliori». L'incastro doveva essere perfetto per l'acquisto. Ma qualcosa deve essere andato storto, nonostante prima la giunta e poi il Consiglio comunale avessero dato il via libera all'operazione alla fine dello scorso anno. Il problema è uno solo. Non ci sono soldi. Ora bisognerà aspettare il cda di giovedì, ma soprattutto vedere se non sono state avanzate offerte alternative. La Leopolda potrebbe essere l'ennesimo caso di crisi del renzismo, dal momento che un po' dappertutto si raccolgono macerie dopo la sconfitta alle ultime elezioni politiche del 4 marzo. Anche il Pd è in grossa difficoltà economica. Molti dipendenti del Nazareno sono in cassa integrazione come altri che lavoravano per i gruppi di Camera e Senato. Del resto, la fine del finanziamento pubblico ai partiti sta creando non pochi problemi in tutte le formazioni politiche. Per di più in questi giorni i magistrati di Roma hanno acceso una lente di ingrandimento sulla Fondazione Eyu per i finanziamenti arrivati dal costruttore romano Luca Parnasi. A capo della fondazione siede Francesco Bonifazi, ancora tesoriere dem, nonostante sia stato nominato un segretario reggente come Maurizio Martina. Renzi in questi mesi è in giro per il mondo a cercare fondi e soprattutto a ricevere gettoni per le sue partecipazioni a conferenze in Kazakistan, Stati Uniti e Qatar. La Leopolda di quest'anno è stata già battezzata «la prova del nove», perché si tratta della nona edizione. In tanti a Firenze sono convinti che possa essere l'ultima. Anche perché quell'area, nonostante l'asse Lotti-Nardella, rischia di finire chissà dove.
Stefano Puzzer (Ansa)
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Christine Lagarde (Ansa)
Siluro dell’ex economista Bce, il teutonico Jürgen Stark: «È chiaro perché l’Eliseo l’ha voluta lì...».
Stefano Antonio Donnarumma, ad di Fs
L’amministratore delegato Stefano Antonio Donnarumma: «Diamante 2.0 è il convoglio al centro dell’intero progetto».
Rete ferroviaria italiana (Rfi), società del gruppo Fs, ha avviato un piano di rinnovo della propria flotta di treni diagnostici, i convogli speciali impiegati per monitorare lo stato dell’infrastruttura ferroviaria. L’operazione prevede nei prossimi mesi l’ingresso in servizio di due nuovi treni ad Alta velocità, cinque destinati alle linee nazionali e 15 per le reti territoriali.
L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare la sicurezza e la regolarità del traffico ferroviario, riducendo i rischi di guasti e rendendo più efficace la manutenzione. Tra i nuovi mezzi spicca il convoglio battezzato Diamante 2.0 (Diamante è l’unione delle prime tre sillabe delle parole «diagnostica», «manutenzione» e «tecnologica»), un treno-laboratorio che utilizza sensori e sistemi digitali per raccogliere dati in tempo reale lungo la rete.
Secondo le informazioni diffuse da Rfi, il convoglio è in grado di monitorare oltre 500 parametri dell’infrastruttura, grazie a più di 200 sensori, videocamere e strumenti dedicati all’analisi del rapporto tra ruota e rotaia, oltre che tra pantografo e catenaria. Può viaggiare fino a 300 chilometri orari, la stessa velocità dei Frecciarossa, consentendo così di controllare le linee Av senza rallentamenti.
Un’ulteriore funzione riguarda la misurazione della qualità della connettività Lte/5G a bordo dei treni ad Alta velocità, un aspetto considerato sempre più rilevante per i passeggeri.
«Diamante 2.0 è il fiore all’occhiello della flotta diagnostica di Rfi», ha affermato l’amministratore delegato del gruppo, Stefano Antonio Donnarumma, che ha viaggiato a bordo del nuovo treno in occasione di una corsa da Roma a Milano.
Attualmente, oltre al nuovo convoglio, Rfi dispone di quattro treni dedicati al monitoraggio delle linee tradizionali e di 15 rotabili destinati al servizio territoriale.
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Da sinistra, Carlo Cottarelli, Romano Prodi, Enrico Letta (Ansa)
Carlo Cottarelli, Romano Prodi, Enrico Letta: le Cassandre dem hanno sempre vaticinato il crollo dei nostri conti con la destra al governo. In realtà il rapporto tra disavanzo e Pil è in linea con quello di Berlino e migliore rispetto a quello di Parigi. E vola anche l’occupazione.