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2019-08-01
Il Garante dell’infanzia conferma i soldi al Cismai. Poi svicola su Bibbiano
Ansa
Il caso Bibbiano è condensato lì, in due righe striminzite: «Si evidenzia che negli ultimi mesi, il tema della tutela dei bambini in Italia ha interessato l'opinione pubblica per il verificarsi di casi di cronaca che hanno scosso le coscienze». Questo è quanto ha scritto il Garante per l'infanzia e adolescenza, Filomena Albano, in un documento ufficiale datato 29 luglio e indirizzato a tutte le autorità che si occupano di tutela dei minori, al governo, al Parlamento, ai Comuni, alle Regioni e agli organi di informazione. La nota in questione, spiega il Garante, «contiene, in particolare, una serie di indicazioni in materia di riforma del procedimento in materia di responsabilità genitoriale, che viene dettagliato in tutti i passaggi procedurali secondo i principi del giusto processo. Tra di essi la necessità di disciplinare la fase di indagine del pm, quella di assicurare il contraddittorio tra le parti, l'introduzione del curatore e dell'avvocato del minorenne, la convalida degli allontanamenti d'urgenza, l'impugnabilità dei provvedimenti anche se provvisori, termini certi e celeri, la trasparenza nell'individuazione della famiglia affidataria o della struttura di accoglienza». Poi vengono sollecitati «controlli capillari sulle condizioni dei minorenni fuori famiglia, l'introduzione di un regime di incompatibilità per i magistrati onorari e la differenziazione tra soggetti che svolgono compiti valutativi, esecutivi e di controllo».
Sulla carta sono tutte ottime idee. Tuttavia questo documento fa emergere una serie di problemi di una certa rilevanza. Il primo è senz'altro il contenuto del documento. Il Garante dà indicazioni molto generiche, e invece il sistema di gestione dei minori ha bisogno di riforme puntuali, specifiche e rapide. Un esempio su tutti: l'articolo 403 del codice civile, cioè quello che dà la possibilità ai servizi sociali di togliere un minore alla famiglia senza prima passare da un giudice. Il Garante scrive che la convalida dell'allontanamento da parte del tribunale dei minori deve arrivare «entro un termine breve». Che significa breve? Un giorno, due giorni, 15? Forse sarebbe più utile fornire un'indicazione specifica, ad esempio «entro 24 o 48 ore».
Strana tempistica
Ma veniamo al secondo e più grave problema: i tempi. Le raccomandazioni del Garante sono arrivate il 29 luglio. Il caso Bibbiano è esploso alla fine di giugno. Viene da pensare, dunque, che questo documento sia soltanto un modo per levarsi dall'imbarazzo e dimostrare agli italiani che l'autorità che vigila sui minori si dà da fare. La verità è che i drammi del sistema di gestione dei bimbi e dei ragazzini sono noti da tempo. Esiste una relazione della commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza pubblicata il 17 gennaio del 2018 in cui vengono snocciolate, punto per punto, tutte le mancanze e le criticità. Possibile che ci sia voluto oltre un anno e mezzo prima di intervenire? Per altro, quella relazione è solo l'ultima di una serie piuttosto lunga. Che cosa ha fatto il Garante in tutto questo tempo?
Di questo si è occupata, proprio ieri mattina, la commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, che ha ricevuto in audizione la Albano e le ha chiesto conto del suo operato. Le è stato domandato perché non sia intervenuta prima, e con più forza. La risposta è stata per lo meno deludente. Il Garante ha fatto sapere di non aver mai ricevuto segnalazioni di abusi sullo stile di Bibbiano, spiegando che, al massimo, tali segnalazioni possono essere arrivate ai Garanti dell'infanzia regionali. Secondo la Albano, il Garante nazionale, non avendo sufficienti sedi distaccate, non può farsi carico di tutto. Beh, magari però sarebbe bastato prestare un poco più di attenzione alle istanze dei Garanti regionali. Sei di loro, a metà giugno, hanno firmato una lettera in cui criticavano pesantemente la Albano. «In tre anni di Conferenza nazionale dei garanti», ha detto il Garante calabrese Antonio Marziale, «Albano si è interessata quasi esclusivamente di minori stranieri non accompagnati, eppure esistono tante altre emergenze e bimbi italiani in gravissimo stato di bisogno».
La convenzione
Molto duro in proposito il leghista Simone Pillon: «Trovo molto grave che il Garante, pur conoscendo almeno dal gennaio 2018 se non da prima le gravissime criticità nel mondo degli affidi - come ad esempio minori strappati ai genitori per ragioni economiche, oppure famiglie autorizzate a incontrare i figli un'ora a settimana, o figli tolti ai genitori e portati ad autolesionismo o al suicidio - non abbia fatto tutto quanto in suo potere per denunciare l'accaduto». Ed eccoci all'ultimo punto dolente. Alla fine di marzo, il Garante ha «promosso un progetto di ricerca, insieme a Cismai e Terre des Hommes, che punta a far luce sui maltrattamenti nei confronti di chi ha meno di 18 anni». Questa convenzione con il Cismai porterà, fra un anno, alla pubblicazione di un «dossier sui maltrattamenti dei bambini e degli adolescenti in Italia». Come abbiamo raccontato nei giorni passati, il nome del Cismai viene tirato in ballo sia nel caso Veleno, sia nei recenti fatti di Bibbiano, sia a Rignano Flaminio. Non che i vertici dell'associazione abbiano commesso reati. Però il Cismai esprime una visione del problema abusi molto precisa e, secondo alcuni, ideologica. Per quale motivo, allora, continuare a stipulare convenzioni con un organismo così discusso e già al centro di tante polemiche? La Albano ha fatto sapere che non intende interrompere i rapporti con il Cismai, anche perché vanno avanti da anni e le sembra giusto mantenere la continuità.
«L'impostazione colpevolista del Cismai», commenta Pillon «era già stata smentita dalle inchieste di Modena e di Rignano. Il nome del Cismai, inoltre, viene più volte collegato a fatti oggi all'attenzione dell'opinione pubblica. Su tutto questo la garante ha rifiutato ogni risposta, limitandosi a parlare di tavoli di lavoro e di sinergie. Le famiglie di Bibbiano attendo risposte serie e dettagliate. E chi risulta anche lontanamente associato a un'inchiesta di tale portata non può continuare a beneficiare del denaro delle convenzioni con l'autorità garante».
Nel corso dell'audizione di ieri, il Garante non ha detto quanto costi la convenzione con il Cismai (nonostante le sia stato domandato più volte). Così ci siamo rivolti ai suoi uffici per chiedere lumi. Ci è stato risposto che la convenzione con il Cismai e Terre des hommes prevede oneri finanziari per 38.990 euro.
«L'autorità garante», dicono i collaboratori della Albano, «ha più volte richiesto la messa a regime di un sistema informativo sui minorenni vittime di violenza, da ultimo con la nota di raccomandazioni del 31 dicembre 2018, rimasta senza riscontro. A febbraio 2019 il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza [...] ha insistito nel chiedere all'Italia di istituire un sistema nazionale di raccolta, analisi e diffusione dei dati sulla violenza e sui maltrattamenti nei confronti dei minorenni».
«Il Comitato», sostiene ancora il Garante, «ha raccomandato di utilizzare come punto di partenza la prima edizione dell'Indagine del 2015 curata da Terre des hommes e Cismai. Nell'assenza di un sistema informativo e viste le raccomandazioni del comitato Onu, l'autorità garante a marzo ha avviato la seconda edizione dell'Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti. Affinché i dati siano comparabili e possa essere prodotta una prima serie storica a cinque anni di distanza dalla precedente rilevazione, l'indagine è stata proseguita con gli stessi soggetti».
Francesco Borgonovo
Guadagna 180.000 euro all’anno. E si lamenta pure con il ministro
Da ieri è diventata operativa anche la «task force» voluta dal Guardasigilli, Alfonso Bonafede, che avrà il compito di indagare sulle vicende di Bibbiano. In mattinata si è tenuta la prima riunione del gruppo di cui fanno parte il capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, Fulvio Baldi, il vice capo di Gabinetto Gianluca Massaro, Rossella Pegorari, magistrato del Gabinetto, Giampaolo Parodi, vice capo dell'Ufficio legislativo di via Arenula, il capo dell'Ispettorato del ministero, Andrea Nocera e Alessandra Cataldi, direttore generale per i Sistemi informativi automatizzati. Tra gli altri componenti ci sono poi il capo del Dipartimento degli affari di giustizia, Maria Casola, il capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, Barbara Fabbrini, il capo del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, Gemma Tuccillo, Giuseppe Buffone della Direzione generale della giustizia civile, Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti.
Secondo Bonafede, «i fatti di cronaca emersi, in ultimo il caso di Bibbiano impongono allo Stato una maggiore attenzione e uno sforzo ulteriore rispetto al passato. Occorre prendersi cura dei bambini durante tutto lo svolgimento del percorso di affidamento, valutandone i presupposti ma anche garantendo un monitoraggio delle varie tappe. Lo Stato deve essere sempre al fianco dei bambini».
Che il lavoro della «task force» sia iniziato dovrebbe essere una buona notizia. Ma qualcuno non ha gradito. Stiamo parlando, di nuovo, della Garante dell'infanzia e dell'adolescenza, Filomena Albano. Sempre ieri mattina, parlando di fronte alla Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, si è detta «stupita» del fatto che il Garante regionale del Lazio, Jacopo Marzetti, sia nella squadra creata da Bonafede. Secondo la Albano, «l'autorità garante è terza e indipendente, indipendente ovviamente anche dal potere politico, in questo caso dal potere esecutivo. L'autorità si interfaccia con gli esiti della squadra speciale ma non può far parte della squadra di giustizia e mi stupisco che il ministro di Giustizia e il Garante regionale del Lazio non abbiano fatto una riflessione sull'autonomia che deve contraddistinguere figure di garanzia rispetto al governo».
Insistendo sul ruolo di Marzetti, la Albano ha detto che «la legge istitutiva dell'autorità prevede incompatibilità rispetto ad altri incarichi. Richiede anche per i garanti regionali che vogliono far parte della conferenza nazionale dei garanti i medesimi requisiti di indipendenza, di autonomia e di incompatibilità rispetto ad altri incarichi. Mi stupisce», ha aggiunto, «che ci siano garanti regionali che oltre alla loro qualifica di figura di garanzia ricoprano altri incarichi».
Questo attacco al collega regionale è davvero curioso. Se davvero la Albano fosse interessata a fare chiarezza sui fatti di Bibbiano, dovrebbe appoggiare qualunque iniziativa sul tema. Colpisce anche che il Garante continui a tirare in ballo la scarsità della risorse disponibili. Marzetti, per esempio, svolge il suo incarico nella squadra ministeriale a titolo gratuito.
La Albano, invece, percepisce uno stipendio piuttosto buono per guidare la sua autorità. Come risulta dai documenti ufficiali, la signora «percepisce il trattamento economico fondamentale pari a euro 144.603,48 annui lordi, erogato dalla propria amministrazione di provenienza (ministero della Giustizia). A titolo di trattamento accessorio percepisce inoltre la somma annua lorda di euro 36.150,87, avendo rinunciato all'indennità di Garante prevista dall'articolo 2, comma 4, della legge 112/2001». In totale, dunque, percepisce 180.754,35 euro all'anno. Tutto regolare, ci mancherebbe, anche perché la Albano è un magistrato, benché sia ormai da parecchi anni fuori ruolo.
Quanto all'autorità che dirige, apprendiamo dalla previsioni di bilancio scaricabili dal sito Web (che pure sono di difficile lettura, essendo scansioni di fotocopie) che le spese per il 2019 dovrebbero ammontare a 3.720.871,72 euro. Non è pochissimo. Per il personale se ne vanno 623.702,15 euro, mentre per i vari progetti e iniziative riguardanti l'infanzia escono 1.719.978,22 euro. Le attività per i minori stranieri, invece, costano 1.107.583,17. Forse i soldi sono pochi, ma quello che è stato fatto per risolvere i problemi del sistema minorile è ancora meno.
Francesco Borgonovo
I dati record sulle violenze sono una bufala
Il presidente del Cismai Gloria Soavi ha attaccato in un comunicato Uno Mattina Estate annunciando azioni legali e definendo ridicoli i tentativi di contestare i dati dell'Oms (l'Organizzazione mondiale sanità) sugli abusi sessuali sui minori in Europa, fatti propri dallo stesso Cismai.
Ecco i numeri: 18 milioni di minori (il 13,4% delle bambine e il 5,7 % dei bambini) sarebbero vittime di abuso sessuale, 44 milioni (il 22,9%) sarebbero vittime di violenza fisica, il 29,6% di violenza psicologica.
In sostanza, come già sostenuto da Claudio Foti nel convegno sulla «Violenza negata» svoltosi a Trieste lo scorso settembre, soltanto il 25% dei bambini italiani non sarebbe abusato sessualmente, fisicamente o psicologicamente.
Ricordo che nel 2010, quando ero sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, il Consiglio d'Europa lanciò una grande campagna promozionale contro gli abusi sessuali sui minori con lo slogan «One On Five», «Uno su cinque». Cioè, la campagna sosteneva che in Europa un bambino su cinque sarebbe abusato sessualmente.
Dopo ripetute sollecitazioni del mio dipartimento a nome del governo italiano, il Consiglio d'Europa fu costretto ad ammettere ufficialmente che quel numero incredibile era frutto della geniale pensata di un'agenzia pubblicitaria per coinvolgere l'opinione pubblica sul tema degli abusi sull'infanzia.
Davanti a questi altrettanto incredibili dati dell'Oms (per la verità riferiti all'intero mondo, e non solo all'Europa) mi chiedo (e sono certo di sì) se non siamo di fronte a un'altra gigantesca «bufala» che riprende quella del Consiglio d'Europa, non si sa in base a quali serie ricerche.
Ma la cosa più preoccupante è che l'allora Garante per l'infanzia Vincenzo Spadafora abbia affidato la relazione nazionale sugli abusi in Italia, uscita nel 2015, proprio al Cismai, che ha citato i dati Oms, e che l'attuale Garante Filomena Albano abbia rinnovato l'incarico allo stessa associazione per un aggiornamento al 2020.
È proprio dall'adesione acritica a questi numeri che ci dipingono come un popolo di «santi, navigatori, poeti e abusatori» che nascono gli orrori della Bassa Modenese, di Rignano Flaminio e di Bibbiano dove gli operatori, prima degli arresti, come quelli del Cismai, si vantavano di essere molto più bravi degli altri a smascherare quelli che le statistiche (e le loro pregiudiziali ideologiche verso la famiglia ) indicavano come potenziali abusatori.
Carlo Giovanardi
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Sentita in commissione, Filomena Albano scarica ogni responsabilità e rinnova la fiducia al coordinamento al centro delle polemiche, a cui andranno 38.990 euro.Ieri la prima riunione della «task force» sulla Val d'Enza voluta da Alfonso Bonafede. La Albano attacca il collega laziale Jacopo Marzetti che ne fa parte: «Indipendenza pregiudicata». Poi accusa: «Mancano risorse».Già in passato sono stati smascherati i numeri del Consiglio d'Europa. E pure quelli dell'Oms sono dubbi.Lo speciale contiene tre articoliIl caso Bibbiano è condensato lì, in due righe striminzite: «Si evidenzia che negli ultimi mesi, il tema della tutela dei bambini in Italia ha interessato l'opinione pubblica per il verificarsi di casi di cronaca che hanno scosso le coscienze». Questo è quanto ha scritto il Garante per l'infanzia e adolescenza, Filomena Albano, in un documento ufficiale datato 29 luglio e indirizzato a tutte le autorità che si occupano di tutela dei minori, al governo, al Parlamento, ai Comuni, alle Regioni e agli organi di informazione. La nota in questione, spiega il Garante, «contiene, in particolare, una serie di indicazioni in materia di riforma del procedimento in materia di responsabilità genitoriale, che viene dettagliato in tutti i passaggi procedurali secondo i principi del giusto processo. Tra di essi la necessità di disciplinare la fase di indagine del pm, quella di assicurare il contraddittorio tra le parti, l'introduzione del curatore e dell'avvocato del minorenne, la convalida degli allontanamenti d'urgenza, l'impugnabilità dei provvedimenti anche se provvisori, termini certi e celeri, la trasparenza nell'individuazione della famiglia affidataria o della struttura di accoglienza». Poi vengono sollecitati «controlli capillari sulle condizioni dei minorenni fuori famiglia, l'introduzione di un regime di incompatibilità per i magistrati onorari e la differenziazione tra soggetti che svolgono compiti valutativi, esecutivi e di controllo».Sulla carta sono tutte ottime idee. Tuttavia questo documento fa emergere una serie di problemi di una certa rilevanza. Il primo è senz'altro il contenuto del documento. Il Garante dà indicazioni molto generiche, e invece il sistema di gestione dei minori ha bisogno di riforme puntuali, specifiche e rapide. Un esempio su tutti: l'articolo 403 del codice civile, cioè quello che dà la possibilità ai servizi sociali di togliere un minore alla famiglia senza prima passare da un giudice. Il Garante scrive che la convalida dell'allontanamento da parte del tribunale dei minori deve arrivare «entro un termine breve». Che significa breve? Un giorno, due giorni, 15? Forse sarebbe più utile fornire un'indicazione specifica, ad esempio «entro 24 o 48 ore».Strana tempisticaMa veniamo al secondo e più grave problema: i tempi. Le raccomandazioni del Garante sono arrivate il 29 luglio. Il caso Bibbiano è esploso alla fine di giugno. Viene da pensare, dunque, che questo documento sia soltanto un modo per levarsi dall'imbarazzo e dimostrare agli italiani che l'autorità che vigila sui minori si dà da fare. La verità è che i drammi del sistema di gestione dei bimbi e dei ragazzini sono noti da tempo. Esiste una relazione della commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza pubblicata il 17 gennaio del 2018 in cui vengono snocciolate, punto per punto, tutte le mancanze e le criticità. Possibile che ci sia voluto oltre un anno e mezzo prima di intervenire? Per altro, quella relazione è solo l'ultima di una serie piuttosto lunga. Che cosa ha fatto il Garante in tutto questo tempo? Di questo si è occupata, proprio ieri mattina, la commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, che ha ricevuto in audizione la Albano e le ha chiesto conto del suo operato. Le è stato domandato perché non sia intervenuta prima, e con più forza. La risposta è stata per lo meno deludente. Il Garante ha fatto sapere di non aver mai ricevuto segnalazioni di abusi sullo stile di Bibbiano, spiegando che, al massimo, tali segnalazioni possono essere arrivate ai Garanti dell'infanzia regionali. Secondo la Albano, il Garante nazionale, non avendo sufficienti sedi distaccate, non può farsi carico di tutto. Beh, magari però sarebbe bastato prestare un poco più di attenzione alle istanze dei Garanti regionali. Sei di loro, a metà giugno, hanno firmato una lettera in cui criticavano pesantemente la Albano. «In tre anni di Conferenza nazionale dei garanti», ha detto il Garante calabrese Antonio Marziale, «Albano si è interessata quasi esclusivamente di minori stranieri non accompagnati, eppure esistono tante altre emergenze e bimbi italiani in gravissimo stato di bisogno».La convenzioneMolto duro in proposito il leghista Simone Pillon: «Trovo molto grave che il Garante, pur conoscendo almeno dal gennaio 2018 se non da prima le gravissime criticità nel mondo degli affidi - come ad esempio minori strappati ai genitori per ragioni economiche, oppure famiglie autorizzate a incontrare i figli un'ora a settimana, o figli tolti ai genitori e portati ad autolesionismo o al suicidio - non abbia fatto tutto quanto in suo potere per denunciare l'accaduto». Ed eccoci all'ultimo punto dolente. Alla fine di marzo, il Garante ha «promosso un progetto di ricerca, insieme a Cismai e Terre des Hommes, che punta a far luce sui maltrattamenti nei confronti di chi ha meno di 18 anni». Questa convenzione con il Cismai porterà, fra un anno, alla pubblicazione di un «dossier sui maltrattamenti dei bambini e degli adolescenti in Italia». Come abbiamo raccontato nei giorni passati, il nome del Cismai viene tirato in ballo sia nel caso Veleno, sia nei recenti fatti di Bibbiano, sia a Rignano Flaminio. Non che i vertici dell'associazione abbiano commesso reati. Però il Cismai esprime una visione del problema abusi molto precisa e, secondo alcuni, ideologica. Per quale motivo, allora, continuare a stipulare convenzioni con un organismo così discusso e già al centro di tante polemiche? La Albano ha fatto sapere che non intende interrompere i rapporti con il Cismai, anche perché vanno avanti da anni e le sembra giusto mantenere la continuità. «L'impostazione colpevolista del Cismai», commenta Pillon «era già stata smentita dalle inchieste di Modena e di Rignano. Il nome del Cismai, inoltre, viene più volte collegato a fatti oggi all'attenzione dell'opinione pubblica. Su tutto questo la garante ha rifiutato ogni risposta, limitandosi a parlare di tavoli di lavoro e di sinergie. Le famiglie di Bibbiano attendo risposte serie e dettagliate. E chi risulta anche lontanamente associato a un'inchiesta di tale portata non può continuare a beneficiare del denaro delle convenzioni con l'autorità garante».Nel corso dell'audizione di ieri, il Garante non ha detto quanto costi la convenzione con il Cismai (nonostante le sia stato domandato più volte). Così ci siamo rivolti ai suoi uffici per chiedere lumi. Ci è stato risposto che la convenzione con il Cismai e Terre des hommes prevede oneri finanziari per 38.990 euro.«L'autorità garante», dicono i collaboratori della Albano, «ha più volte richiesto la messa a regime di un sistema informativo sui minorenni vittime di violenza, da ultimo con la nota di raccomandazioni del 31 dicembre 2018, rimasta senza riscontro. A febbraio 2019 il Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza [...] ha insistito nel chiedere all'Italia di istituire un sistema nazionale di raccolta, analisi e diffusione dei dati sulla violenza e sui maltrattamenti nei confronti dei minorenni». «Il Comitato», sostiene ancora il Garante, «ha raccomandato di utilizzare come punto di partenza la prima edizione dell'Indagine del 2015 curata da Terre des hommes e Cismai. Nell'assenza di un sistema informativo e viste le raccomandazioni del comitato Onu, l'autorità garante a marzo ha avviato la seconda edizione dell'Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti. Affinché i dati siano comparabili e possa essere prodotta una prima serie storica a cinque anni di distanza dalla precedente rilevazione, l'indagine è stata proseguita con gli stessi soggetti». Francesco Borgonovo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-garante-dellinfanzia-conferma-i-soldi-al-cismai-poi-svicola-su-bibbiano-2639562161.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="guadagna-180-000-euro-allanno-e-si-lamenta-pure-con-il-ministro" data-post-id="2639562161" data-published-at="1766487599" data-use-pagination="False"> Guadagna 180.000 euro all’anno. E si lamenta pure con il ministro Da ieri è diventata operativa anche la «task force» voluta dal Guardasigilli, Alfonso Bonafede, che avrà il compito di indagare sulle vicende di Bibbiano. In mattinata si è tenuta la prima riunione del gruppo di cui fanno parte il capo di Gabinetto del ministero della Giustizia, Fulvio Baldi, il vice capo di Gabinetto Gianluca Massaro, Rossella Pegorari, magistrato del Gabinetto, Giampaolo Parodi, vice capo dell'Ufficio legislativo di via Arenula, il capo dell'Ispettorato del ministero, Andrea Nocera e Alessandra Cataldi, direttore generale per i Sistemi informativi automatizzati. Tra gli altri componenti ci sono poi il capo del Dipartimento degli affari di giustizia, Maria Casola, il capo del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, Barbara Fabbrini, il capo del Dipartimento della giustizia minorile e di comunità, Gemma Tuccillo, Giuseppe Buffone della Direzione generale della giustizia civile, Silvia Albano dell'Associazione nazionale magistrati, Maria Francesca Pricoco, presidente dell'Associazione italiana magistrati minorenni e di famiglia, Gianmario Gazzi, presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, Fulvio Giardina, presidente dell'Ordine degli psicologi, Maria Masi, vice presidente del Consiglio nazionale forense e il commissario straordinario del Forteto e Garante per l'infanzia e adolescenza della Regione Lazio, Jacopo Marzetti. Secondo Bonafede, «i fatti di cronaca emersi, in ultimo il caso di Bibbiano impongono allo Stato una maggiore attenzione e uno sforzo ulteriore rispetto al passato. Occorre prendersi cura dei bambini durante tutto lo svolgimento del percorso di affidamento, valutandone i presupposti ma anche garantendo un monitoraggio delle varie tappe. Lo Stato deve essere sempre al fianco dei bambini». Che il lavoro della «task force» sia iniziato dovrebbe essere una buona notizia. Ma qualcuno non ha gradito. Stiamo parlando, di nuovo, della Garante dell'infanzia e dell'adolescenza, Filomena Albano. Sempre ieri mattina, parlando di fronte alla Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, si è detta «stupita» del fatto che il Garante regionale del Lazio, Jacopo Marzetti, sia nella squadra creata da Bonafede. Secondo la Albano, «l'autorità garante è terza e indipendente, indipendente ovviamente anche dal potere politico, in questo caso dal potere esecutivo. L'autorità si interfaccia con gli esiti della squadra speciale ma non può far parte della squadra di giustizia e mi stupisco che il ministro di Giustizia e il Garante regionale del Lazio non abbiano fatto una riflessione sull'autonomia che deve contraddistinguere figure di garanzia rispetto al governo». Insistendo sul ruolo di Marzetti, la Albano ha detto che «la legge istitutiva dell'autorità prevede incompatibilità rispetto ad altri incarichi. Richiede anche per i garanti regionali che vogliono far parte della conferenza nazionale dei garanti i medesimi requisiti di indipendenza, di autonomia e di incompatibilità rispetto ad altri incarichi. Mi stupisce», ha aggiunto, «che ci siano garanti regionali che oltre alla loro qualifica di figura di garanzia ricoprano altri incarichi». Questo attacco al collega regionale è davvero curioso. Se davvero la Albano fosse interessata a fare chiarezza sui fatti di Bibbiano, dovrebbe appoggiare qualunque iniziativa sul tema. Colpisce anche che il Garante continui a tirare in ballo la scarsità della risorse disponibili. Marzetti, per esempio, svolge il suo incarico nella squadra ministeriale a titolo gratuito. La Albano, invece, percepisce uno stipendio piuttosto buono per guidare la sua autorità. Come risulta dai documenti ufficiali, la signora «percepisce il trattamento economico fondamentale pari a euro 144.603,48 annui lordi, erogato dalla propria amministrazione di provenienza (ministero della Giustizia). A titolo di trattamento accessorio percepisce inoltre la somma annua lorda di euro 36.150,87, avendo rinunciato all'indennità di Garante prevista dall'articolo 2, comma 4, della legge 112/2001». In totale, dunque, percepisce 180.754,35 euro all'anno. Tutto regolare, ci mancherebbe, anche perché la Albano è un magistrato, benché sia ormai da parecchi anni fuori ruolo. Quanto all'autorità che dirige, apprendiamo dalla previsioni di bilancio scaricabili dal sito Web (che pure sono di difficile lettura, essendo scansioni di fotocopie) che le spese per il 2019 dovrebbero ammontare a 3.720.871,72 euro. Non è pochissimo. Per il personale se ne vanno 623.702,15 euro, mentre per i vari progetti e iniziative riguardanti l'infanzia escono 1.719.978,22 euro. Le attività per i minori stranieri, invece, costano 1.107.583,17. Forse i soldi sono pochi, ma quello che è stato fatto per risolvere i problemi del sistema minorile è ancora meno. Francesco Borgonovo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-garante-dellinfanzia-conferma-i-soldi-al-cismai-poi-svicola-su-bibbiano-2639562161.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-dati-record-sulle-violenze-sono-una-bufala" data-post-id="2639562161" data-published-at="1766487599" data-use-pagination="False"> I dati record sulle violenze sono una bufala Il presidente del Cismai Gloria Soavi ha attaccato in un comunicato Uno Mattina Estate annunciando azioni legali e definendo ridicoli i tentativi di contestare i dati dell'Oms (l'Organizzazione mondiale sanità) sugli abusi sessuali sui minori in Europa, fatti propri dallo stesso Cismai. Ecco i numeri: 18 milioni di minori (il 13,4% delle bambine e il 5,7 % dei bambini) sarebbero vittime di abuso sessuale, 44 milioni (il 22,9%) sarebbero vittime di violenza fisica, il 29,6% di violenza psicologica. In sostanza, come già sostenuto da Claudio Foti nel convegno sulla «Violenza negata» svoltosi a Trieste lo scorso settembre, soltanto il 25% dei bambini italiani non sarebbe abusato sessualmente, fisicamente o psicologicamente. Ricordo che nel 2010, quando ero sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, il Consiglio d'Europa lanciò una grande campagna promozionale contro gli abusi sessuali sui minori con lo slogan «One On Five», «Uno su cinque». Cioè, la campagna sosteneva che in Europa un bambino su cinque sarebbe abusato sessualmente. Dopo ripetute sollecitazioni del mio dipartimento a nome del governo italiano, il Consiglio d'Europa fu costretto ad ammettere ufficialmente che quel numero incredibile era frutto della geniale pensata di un'agenzia pubblicitaria per coinvolgere l'opinione pubblica sul tema degli abusi sull'infanzia. Davanti a questi altrettanto incredibili dati dell'Oms (per la verità riferiti all'intero mondo, e non solo all'Europa) mi chiedo (e sono certo di sì) se non siamo di fronte a un'altra gigantesca «bufala» che riprende quella del Consiglio d'Europa, non si sa in base a quali serie ricerche. Ma la cosa più preoccupante è che l'allora Garante per l'infanzia Vincenzo Spadafora abbia affidato la relazione nazionale sugli abusi in Italia, uscita nel 2015, proprio al Cismai, che ha citato i dati Oms, e che l'attuale Garante Filomena Albano abbia rinnovato l'incarico allo stessa associazione per un aggiornamento al 2020. È proprio dall'adesione acritica a questi numeri che ci dipingono come un popolo di «santi, navigatori, poeti e abusatori» che nascono gli orrori della Bassa Modenese, di Rignano Flaminio e di Bibbiano dove gli operatori, prima degli arresti, come quelli del Cismai, si vantavano di essere molto più bravi degli altri a smascherare quelli che le statistiche (e le loro pregiudiziali ideologiche verso la famiglia ) indicavano come potenziali abusatori. Carlo Giovanardi
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In un battibaleno, si è sgretolata l’inquietante spy story dalla Russia con amore: i tentativi di spionaggio erano, in realtà, un pasticciaccio elettronico. I pm hanno chiesto l’archiviazione. E il quotidiano di via Solferino ha relegato la notizia in un trafiletto. Al contrario, quando un apparecchio acquistato sul Web e un programma sino-lituano hanno generato una sfilza di falsi allarmi, i media, a titolo unificato, denunciavano l’ennesima incursione dei velivoli di Vladimir Putin.
Come lo scorso settembre a Copenaghen e Oslo, quando gli scali delle due capitali erano stati chiusi dopo l’avvistamento di «droni di grandi dimensioni». Passato qualche giorno, il ministro della Difesa danese è stato costretto a rettificare: nessuna prova che Mosca fosse coinvolta; gli apparecchi non erano arrivati «da una lunga distanza», anzi, erano stati lanciati «localmente». Il capo della diplomazia norvegese, intanto, escludeva «collegamenti» tra gli episodi capitati nei due Paesi scandinavi.
Non c’era la «mano russa» (per citare l’Ansa) nemmeno nell’incidente di tre mesi fa in Polonia, nella regione di Lublino. A sfondare il tetto di un’abitazione nel villaggio di Wyryki-Wola, per fortuna senza provocare vittime, era stato un aria-aria difettoso, scagliato da un F-16 decollato per abbattere i droni russi penetrati nello spazio aereo di Varsavia. Con ogni probabilità, erano stati dirottati dai meccanismi di difesa ucraini. «Tutto indica che si sia trattato di un missile partito da un nostro caccia», aveva dichiarato il coordinatore degli 007 polacchi, Tomasz Siemoniak. Il razzo farlocco costava 850.000 euro. Leggere i resoconti della stampa non ha prezzo. Il Sole24Ore, ad esempio, enfatizzava il monito di Sergio Mattarella: «Ci si muove su un crinale dal quale si può scivolare in un baratro di violenza incontrollato». Il capo dello Stato, evocando lo «scoppio della prima guerra mondiale, nel luglio 1914», parlava di un episodio «gravissimo». Ma sarebbe stato difficile invocare l’articolo 5 della Nato, sulla mutua assistenza bellica in caso di attacco, visto che l’attacco era un auto-attacco.
La Polonia era già stata teatro di un tragico equivoco. A novembre 2022, un ordigno, lì per lì identificato come russo, era caduto nel paesino di Przewodow, uccidendo due persone. «Mosca sotto accusa», segnalava Repubblica. Anche quella volta, però, la firma non era dello zar: «L’indagine condotta dalla Procura polacca», comunicò mesi dopo il ministro della Giustizia, «ha portato all’emissione di un parere che indica categoricamente che quel missile era ucraino». Ma «di produzione sovietica o russa», eh.
Per collegare il Cremlino all’esplosione del Nord Stream, a settembre 2022, era stata sufficiente la presenza, riportata ad esempio dal Messaggero, di «navi russe» nella zona dei gasdotti. I tedeschi, poi, avrebbero scoperto che in verità la «mano» era ucraina. Secondo lo Spiegel, uno dei presunti sabotatori, Serhij Kuznietzov, arrestato mentre si trovava a Rimini, al momento dell’attentato era in servizio in un’unità speciale dell’esercito di Kiev. Quasi quasi, toccava invocarlo davvero, l’articolo 5.
Pericolose interferenze, oltre che mettere in agitazione i siti di Leonardo in Lombardia, a inizio settembre hanno trasformato in un incubo un volo di Ursula von der Leyen, atterrato a Sofia con un’ora di ritardo. «Hacker manomettono il Gps dell’aereo», raccontava il Sole. I pirati informatici, naturalmente, battevano bandiera moscovita: «I russi mandano in tilt il Gps del volo di Von der Leyen», annunciava l’Ansa. Pure il Corriere riferiva, senza tema di smentita, di «interferenze dei russi». Peccato che le autorità bulgare avessero smentito: il jet, confermava in Parlamento il premier, non aveva subito «né interferenze né disturbi prolungati». Alla fine, la Commissione Ue stessa ha dovuto precisare di non aver «mai detto» che si fosse trattato di «un attacco rivolto «espressamente» contro la presidente. Autocrate che vai, trasporti che trovi: col Duce, i treni arrivavano in orario; con Putin, i voli atterrano in ritardo. O sconfinano in Estonia per 12 minuti, finendo intercettati dagli F-35 italiani; o si «avvicinano» alla Lettonia e vengono agganciati dai caccia ungheresi.
Adesso che la polizia tedesca ha censito oltre 1.000 incursioni di droni nel 2025, alla lista mancava solo un blitz della fanteria. Finalmente, la settimana scorsa, tre soldati russi in uniforme hanno attraversato il confine estone e sono rimasti in territorio Nato «per mezz’ora». L’invasione è cominciata. All’armi!
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Ansa
L’esplosione che ieri mattina ha ucciso il tenente generale Fanil Sarvarov ha scosso Mosca e l’intero apparato militare russo. L’attentato è avvenuto all’alba, quando l’auto di servizio del capo della Direzione per l’addestramento operativo dello Stato maggiore è stata distrutta da un ordigno collocato con un magnete sotto il veicolo (una Kia Sorento di colore chiaro), vicino al sedile del conducente. Secondo le ricostruzioni basate su fonti investigative russe citate dalle agenzie Tass e Rbk, la bomba sarebbe esplosa nel momento in cui Sarvarov ha azionato il freno. Le autorità hanno confermato la morte del generale e l’apertura di un’indagine per omicidio, mentre la Commissione investigativa ha fatto sapere che i rilievi sono iniziati immediatamente dopo la deflagrazione. Gli inquirenti puntano con decisione su una pista: il coinvolgimento dei servizi speciali dell’Ucraina. In serata, la commissione ha precisato che «una delle principali versioni allo studio riguarda il ruolo dei servizi d’intelligence ucraini».
Da Kiev non è arrivata alcuna rivendicazione né commenti ufficiali, ma i media russi ricordano che Sarvarov figurava da tempo nel database del sito nazionalista ucraino Myrotvorets, che ieri lo ha classificato come «liquidato». Un segnale interpretato a Mosca come una sorta di firma indiretta. Il Cremlino ha reagito con durezza. Il portavoce Dmitri Peskov ha dichiarato che «il presidente Vladimir Putin è stato informato immediatamente» dell’attentato e ha definito l’esplosione «un terribile omicidio» e «un atto terroristico diretto contro la Federazione russa». Ha aggiunto che «i responsabili saranno individuati e puniti», lasciando intendere che Mosca considera l’attacco parte di una strategia ostile che richiede una risposta. Le autorità non hanno fornito ulteriori dettagli, limitandosi a confermare l’apertura di un’indagine per omicidio e a ribadire che tutte le piste restano aperte.
Sarvarov, nato nel 1969 nella regione di Perm, aveva trascorso quasi tutta la carriera nelle forze corazzate, combattendo nelle campagne cecene e partecipando alle operazioni russe in Siria prima di entrare nei vertici dello Stato maggiore. Da due anni guidava la Direzione per l’addestramento operativo, un incarico cruciale nell’attuale fase del conflitto: a lui facevano capo la preparazione delle truppe di terra, l’aggiornamento delle tattiche d’impiego e la valutazione delle esperienze maturate sul fronte ucraino. Pur non essendo una figura mediatica, il suo ruolo era considerato strategico per mantenere lo sforzo bellico russo su livelli costanti nonostante le perdite e l’usura del conflitto.
L’uccisione di Sarvarov si inserisce in una serie di eliminazioni mirate che negli ultimi anni ha colpito tanto i vertici militari quanto alcuni volti simbolici del nazionalismo russo. Nell’agosto 2022 Daria Dugina, figlia dell’ideologo Aleksandr Dugin, era stata assassinata con un’autobomba nella regione di Mosca: l’ordigno, piazzato sotto la sua Toyota Land Cruiser, era esploso mentre rientrava da un festival culturale. Le autorità russe avevano attribuito l’attacco ai servizi speciali ucraini, mentre Kiev aveva negato ogni coinvolgimento. Nell’aprile 2023, a San Pietroburgo, era stato il turno del blogger militare Maksim Fomin. Noto come Vladlen Tatarsky e allineato sulle posizioni più radicali della propaganda patriottica, il blogger è rimasto ucciso nell’esplosione di un ordigno nascosto in una statuetta consegnatagli durante un evento pubblico: un attacco che provocò decine di feriti e suscitò forte clamore mediatico.
Nel dicembre 2024, invece, era stato ucciso il generale Igor Kirillov, capo delle truppe di difesa nucleare, biologica e chimica, colpito da una bomba nascosta in un monopattino elettrico: le autorità di Mosca avevano indicato Kiev come responsabile, mentre fonti dei servizi ucraini (Sbu) avevano confermato ai media il coinvolgimento, pur senza una rivendicazione ufficiale. Infine, lo scorso aprile, un ordigno collocato sotto la sua vettura ha ucciso a Mosca il generale Iaroslav Moskalik, figura di rilievo dello Stato maggiore. Si tratta di attacchi diversi per modalità ma accomunati, secondo le ricostruzioni russe, dall’intento di colpire personalità legate allo sforzo bellico o alla narrativa patriottica del Cremlino, a conferma di un conflitto che si è esteso ben oltre le linee del fronte. In questo contesto, infatti, la morte di Sarvarov rappresenta per Mosca un duro colpo soprattutto a livello simbolico: non un semplice comandante operativo, ma uno dei funzionari incaricati di garantire l’efficienza e la continuità dell’apparato militare impegnato in Ucraina. E la rapidità con cui il Cremlino ha parlato di «atto terroristico» indica che la risposta politica - qualunque forma assumerà - non tarderà ad arrivare.
Zelensky: «Risultati concreti vicini»
Dopo i due giorni di colloqui sulla pace in Ucraina con l’inviato americano, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, al club Shell Bay di Miami, il rappresentante del Cremlino, Kirill Dmitriev, si prepara ad aggiornare il presidente russo, Vladimir Putin, sugli ultimi sviluppi.
Ciò che emerge, al momento, è che le trattative tra la Russia e la Casa Bianca si sono concluse in un clima cordiale. Dmitriev ha scritto su X: «La prossima volta a Mosca», non escludendo quindi che il prossimo bilaterale con gli americani si possa tenere sul suolo russo. Nel frattempo, Witkoff ha descritto gli incontri con la delegazione ucraina e con quella russa con gli stessi termini: «Produttivi e costruttivi». Riguardo al faccia a faccia con Dmitriev, l’inviato americano ha aggiunto su X che «la Russia resta pienamente impegnata a raggiungere la pace in Ucraina» e che «apprezza molto gli sforzi e il sostegno degli Stati Uniti». A rispondere direttamente alle parole di Witkoff è stato lo stesso Dmitriev: «Grazie costruttori di pace per il vostro lavoro attento e instancabile».
In ogni caso vige la massima cautela. Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, in un’intervista a UnHerd, ha affermato che nonostante «tutte le questioni siano ora alla luce del sole», non è certo che venga raggiunto un accordo. Ha precisato che l’Ucraina «probabilmente perderà» la regione di Donetsk «tra 12 mesi o anche più avanti». E pare che «privatamente» i leader di Kiev ne siano consapevoli. Anche il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha riconosciuto «i lenti progressi» nei negoziati con Washington, ma ha puntato il dito contro «i dannosi e nefasti tentativi di un gruppo di Paesi influenti che cercano di far deragliare il processo diplomatico». Ha osservato che Mosca «è favorevole a un accordo di pace che garantisca il suo assetto costituzionale tenendo conto dei nuovi territori», ma esclude la tregua. Ryabkov ha anche ribadito la disponibilità russa a «formalizzare legalmente» l’impegno a non attaccare la Nato e l’Ue. Anche perché «permangono rischi significativi di uno scontro» tra Mosca e l’Alleanza atlantica «a causa delle azioni ostili e inappropriate dei Paesi europei». Sullo stesso tema è intervenuto Dmitriev: «L’Europa dovrebbe smettere di fomentare la Terza guerra mondiale con false narrazioni e imparare di nuovo la diplomazia». E affermando che è arrivato «il tempo di liberarsi dalla visione del mondo di Biden», ha aggiunto che «l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca indicano la strada». Ma Bruxelles, per ora, approva «la strada» del presidente francese, Emmanuel Macron: un portavoce della Commissione Ue ha espresso il benestare sulla volontà del leader francese di dialogare con l’omologo russo negli «sforzi per la pace».
Dall’altra parte, a esprimere ottimismo è il leader di Kiev, Volodymyr Zelensky. Riguardo alle trattative a Miami tra la delegazione ucraina e quella statunitense, pur aspettando «i dettagli» questa mattina, ha dichiarato: «Siamo molto vicini a un risultato concreto». Ha spiegato che «il piano prevede 20 punti» e che ci sono «garanzie di sicurezza» tra l’Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa. A ciò si aggiunge «un documento separato» tra Kiev e Washington che riguarda «garanzie di sicurezza bilaterali» che «devono essere esaminate dal Congresso degli Stati Uniti». E ha annunciato che è in itinere «la prima bozza dell’accordo sulla ricostruzione dell’Ucraina». Questo non frena le sanzioni contro la Russia, anzi Zelensky ha dichiarato che, oltre ai russi e ai cinesi, nel mirino rientrano pure gli atleti: «Stiamo preparando misure sanzionatorie contro coloro che giustificano l’aggressione russa e promuovono l’influenza russa attraverso la cultura di massa, nonché contro gli atleti che utilizzano la loro carriera sportiva e l’attenzione del pubblico verso lo sport per glorificare l’aggressione russa».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La posizione ufficiale del governo italiano rispetto a questa novità è espressa dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e dalle sue parole traspare una certa freddezza: «Va certamente bene», dice Tajani al Qn, «riaprire un canale di comunicazione, ma il canale deve essere europeo: non può essere di un solo Paese. La cosa rilevante è che Putin torni a parlare con l’intera Europa. Dobbiamo lavorare tutti per la pace, che è l’obiettivo primario», aggiunge Tajani, «in questo senso, per capirci, la premessa è che noi non siamo mai stati in questi anni in guerra con la Russia. L’Italia è sempre stato il Paese che ha distinto in maniera netta tra gli aiuti all’Ucraina, per impedire che l’Ucraina venisse sconfitta, e la guerra con la Russia. Noi abbiamo solo aiutato l’Ucraina a difendersi, che è un’altra cosa rispetto a fare la guerra alla Russia. Noi abbiamo sempre sostenuto anche gli sforzi americani. E, dunque, ogni iniziativa che porti alla pace deve essere vista in maniera molto positiva: sempre con le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, con una sorta di articolo 5-bis sul modello Nato, a partecipazione anche Usa. A questo punto», osserva Tajani, «tocca alla Russia decidere se vuole sedersi al tavolo e affrontare anche con gli europei la trattativa, perché l’Europa non può non essere protagonista di una trattativa di pace tanto più che dal cessate il fuoco e dalla pace dipendono le sanzioni e la nostra sicurezza».
Parole pesate col bilancino, con un passaggio, quello sull’Italia «mai stata in guerra con la Russia» dal quale fa capolino una sorta di rivendicazione di un atteggiamento sempre prudente, proprio ora che Macron accelera sul percorso negoziale dopo essere stato per anni tra i «falchi» europei anti Russia, mentre l’Italia si è spesso trovata, in realtà più che altro per alcune dichiarazioni della Lega e per la vicinanza della Meloni a Donald Trump, accusata di eccessiva morbidezza nei confronti di Putin. Ora invece Macron sorpassa tutti sull’autostrada per Mosca, provocando un disallineamento in Europa, se non un vero e proprio imbarazzo, tanto che ieri i portavoce della Commissione hanno evitato di rispondere a tutte le domande sull’iniziativa dell’Eliseo.
Guerra e pace sono anche al centro del messaggio che ieri il premier Meloni ha rivolto alle missioni militari italiane all’estero per gli auguri di fine anno in collegamento dal Comando operativo vertice interforze: «La pace, chiaramente, è un bene prezioso», sottolinea Giorgia Meloni, «quando la si possiede. ed è un bene da ricercare con ogni sforzo quando la si perde. Però questo lo comprende più di chiunque altro chi conosce la guerra ed è preparato a fronteggiarla. Per questo io non ho mai accettato la narrazione, diciamo così, di chi contrappone l’idea del pacifismo alle forze armate. Alla fine del quarto secolo dopo Cristo», ricorda la Meloni, «Publio Flavio Vegezio Renato scrive: “qui desiderat pacem, praeparet bellum”. Diventa poi il più famoso “si vis pacem para bellum”, cioè chi vuole la pace prepari la guerra. Il punto è che il suo non è, come molti pensano, un messaggio bellicista, tutt’altro. È un messaggio pragmatico. Il senso è che solo una forza militare credibile allontana la guerra perché la pace non arriva spontaneamente, la pace è soprattutto un equilibrio di potenze: la debolezza invita l’aggressore, la forza allontana l’aggressore. L’etimologia della parola deterrenza arriva dal latino e significa de, cioè via da, e terrere, cioè incutere timore. Il senso della parola deterrenza è incutere timore al punto da distogliere. È la forza degli eserciti, è la loro credibilità lo strumento più efficace per combattere le guerra. Il dialogo, la diplomazia, le buone intenzioni, certo, servono, ma devono poggiare su basi solide. Quelle basi solide le costruite voi con il vostro sacrificio, con la vostra competenza, con la vostra professionalità, con il vostro coraggio».
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Emmanuel Macron (Ansa)
Donald Trump è stato criticato per aver ricevuto lo zar in Alaska ad agosto: da più parti, il presidente americano è stato accusato di aver fatto il gioco di Putin o di avergli regalato un immeritato prestigio diplomatico. Per non parlare poi di Viktor Orbán! Quando a novembre il premier ungherese incontrò lo zar a Mosca, finì bersagliato dagli strali di Friedrich Merz, che lo tacciò di agire senza alcun mandato europeo. Eppure con Macron, sia da Bruxelles che da Berlino, sono arrivati commenti soft. «Restiamo in coordinamento in termini di contatti bilaterali per raggiungere una pace sostenibile in Ucraina e accogliamo con favore gli sforzi di pace», ha dichiarato un portavoce dell’Ue, parlando dell’eventualità di una telefonata tra il presidente francese e Putin. «Non abbiamo alcuna preoccupazione che l’unità europea sulla guerra possa incrinarsi. Non c’è alcun dubbio sulla nostra posizione comune», ha inoltre affermato il governo tedesco, riferendosi alle aperture di Macron allo zar, per poi sottolineare (non senza un po’ di freddezza) che Berlino «ha preso atto dei segnali di disponibilità al dialogo».
Ora, è forse possibile formulare alcune considerazioni. La prima è che la diplomazia è un concetto differente dall’appeasement. Il problema è che alcuni settori politici e mediatici hanno finito indebitamente col sovrapporli. Trump, per esempio, ha, sì, ripreso il dialogo con Mosca. Ma lo ha anche alternato a forme di pressione (si pensi soltanto alle sanzioni americane contro Lukoil e Rosneft). Questo dimostra che si può dialogare senza essere necessariamente arrendevoli. D’altronde, se si chiudono aprioristicamente tutti i canali di comunicazione con l’avversario o con il potenziale avversario, si pongono le basi affinché una crisi sia essenzialmente irrisolvibile. Andrebbe inoltre ricordato che, secondo lo storico John Patrick Diggins, anche Ronald Reagan fu criticato dai neoconservatori per il suo dialogo con Mikhail Gorbachev.
Tutto questo per dire che, se Bruxelles non ha quasi toccato palla sulla crisi ucraina per quattro anni, è per due ragioni. Una strutturale: l’Ue non è un soggetto geopolitico. Un’altra più contingente: rinunciando pressoché totalmente all’opzione diplomatica, Bruxelles ha perso margine di manovra, raffreddando anche i rapporti con ampie parti del Sud globale. Paesi come l’India o l’Arabia Saudita hanno infatti sempre rifiutato di mollare Mosca, al netto della sua invasione dell’Ucraina. La strategia dell’isolamento perseguita dall’Ue ha quindi soltanto spinto sempre più il Cremlino tra le braccia della Cina e di vari Paesi del Sud globale.
La seconda considerazione da fare riguarda invece Macron. Dobbiamo veramente pensare che il presidente francese sia improvvisamente diventato uno stratega della diplomazia? Probabilmente no. Da quando la crisi ucraina è cominciata, il capo dell’Eliseo ha fatto tutto e il contrario di tutto. All’inizio, voleva tenere i contatti col Cremlino e diceva che Putin non doveva essere umiliato. Poi, dall’anno scorso, si è improvvisamente riscoperto falco antirusso. Addirittura, a maggio 2024, l’amministrazione Biden prese le distanze dalla proposta francese di inviare addestratori militari in Ucraina. Ciò non impedì comunque a Macron di essere, sempre a maggio 2024, uno dei pochi leader europei a mandare un ambasciatore alla cerimonia d’insediamento di Putin. Non solo. A marzo, il presidente francese quasi derise gli sforzi diplomatici di Trump in Ucraina, mentre, poche settimane fa, ha cercato di avviare un processo diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a raffrenare lo zar. Tutto questo fino a venerdì, quando il capo dell’Eliseo ha aperto alla possibilità di parlare con Putin.
Macron sa di essere finito all’angolo. E sa perfettamente che gli interessi geopolitici alla base del riavvicinamento tra Washington e Mosca sono troppo forti per essere ostacolati. Sta quindi cercando di rientrare in partita. Non solo. Il leader francese sembra sempre più insofferente verso Berlino. Prima ha rotto con Merz sulla questione degli asset russi. Poi, con la sua svolta dialogante, ha de facto sconfessato la linea dura del cancelliere, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Nel frattempo, non si registrano commenti significativi da parte del Regno Unito, che potrebbe temere un disallineamento di Parigi dall’asse dei volenterosi. Il punto è che il presidente francese gioca una partita molto «personale». Pertanto, anziché affidarsi a lui, Bruxelles, per contare finalmente qualcosa, dovrebbe forse coordinarsi maggiormente con Trump, sostenendo il suo processo diplomatico e rafforzando le relazioni transatlantiche. Esattamente quanto propone da mesi il governo italiano.
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