2022-08-03
Il fisco non va solo cambiato ma ribaltato con un Codice
Inutile pensare di cambiare davvero qualcosa con interventi timidi: bisogna creare un nuovo Codice tributario unico. Serviranno almeno 25 miliardi per guardare aventi.La riforma del fisco, delle tasse o tributaria che dir si voglia, ha una caratteristica fondamentale: o è fatta molto bene, comprende tutti gli aspetti del ginepraio che è il fisco in Italia, oppure è un casino che va ad aumentare il casino già esistente. Non c’è via di mezzo. È cosa troppo seria e richiede competenza, molta competenza: un gruppo di parlamentari qualsiasi o, peggio ancora, dei funzionari del ministero - con tutto il rispetto - finiranno col farla senza indicazioni politiche e quindi senza coerenza, così come viene e conviene a chi se la intesta.E anche questa volta, immancabilmente, più ci si avvicina alle elezioni e più fioccano le proposte in materia fiscale. Ognuno dice la sua: per carità, legittimamente. Molte sono minestrine riscaldate con le quali non si sa come possano attirare il voto degli elettori. Altre sono anche nuove, ma come pezzi di stoffa con i quali poi andrebbe fatta una coperta e si dovrebbero abbinare i colori, a meno di non voler fare un troiaio (nel senso di luogo pieno di disordine e cose accatastate, non di luogo frequentato da donne di malaffare, cui secondo la Treccani rimanda il sostantivo). Altre poi sono indigeribili anche a stomaci forti abituati a mangiare il lardo e a bere un paio di bicchieri di vino rosso, come quella del Pd di mettere su una tassa patrimoniale per dare una dote ai giovani. Quindi neanche per tassare chi ha di più per dare a chi ha meno, ma per «dare ai giovani»: per fare cosa? Con quale logica? Di quanto? Mah. Fatti suoi, e dei suoi elettori. E comunque la dote per i giovani si chiama formazione prima e lavoro poi, e non mancette, dazioni di danaro, elemosine e quant’altro. Lo disse giustamente Mario Draghi, nel suo discorso di intronizzazione (termine ecclesiastico antico per definire il giorno di presa di possesso del papato, non usato ovviamente a caso: qualcuno pensò in cuor suo che fosse inviato direttamente dall’Alto: e in parte era vero, ma con la «a» minuscola...) che in Italia occorreva fare una grande riforma fiscale come quella del 1951 (di Ezio Vanoni) o quella dei primi anni Settanta (di Bruno Visentini). Non citò giustamente né la riforma del governo di centrosinistra del 1997-1998, né le proposte dei governi di centrodestra, perché non si trattava di grandi riforme ma di piccole riforme o di idee di riforma che tali rimasero, a parte quella del ‘94 sulla detassazione degli utili reinvestiti di Giulio Tremonti: fu un esempio per anni, fino alla sua riscrittura (ma con molti più paletti) dell’Industria 4.0.Allora, per fare una riforma seria occorrerebbe che si tenessero in considerazione tre questioni fondamentali.La prima. Che il sistema tributario sia una leva per il sistema economico che lo faccia balzare in avanti, e non una clava che lo tramortisca come è oggi, più che negli altri Paesi europei. Perché imprese e famiglie non hanno solo dei doveri in campo fiscale: hanno anche dei diritti, e tali diritti non possono essere certo esercitati ove il sistema fiscale sia un bastone tra le ruote dei soggetti che sono motori dell’economia. Ad esempio: un single che paga le stesse tasse di una famiglia con tre figli. O un’impresa che più assume e più paga. Si chiama efficienza del sistema tributario.La seconda. Chi ha di più deve pagare di più, chi ha di meno deve pagare di meno. In Italia avviene l’esatto contrario: i contribuenti che guadagnano tra 15.000 e 50.000 euro lordi pagano il 67% del totale del gettito Irpef. Può bastare o li vogliamo ammazzare proprio? Ebbene, per fare una riforma giusta ci vogliono almeno tra i 25 e i 30 miliardi. Sennò son noccioline. È questa l’entità delle riforme che i vari partiti hanno in testa? Sanno dove trovare i soldi? Hanno pensato come fare con l’Europa? Aumentano il debito o fanno dei tagli? E se fanno i tagli, dove li fanno? Speriamo non abbiano pensato alla solita parte del corpo in dotazione ai contribuenti maschi, perché lì ormai hanno operato ripetutamente e (per fortuna solo metaforicamente) ne rimangono i resti. Si chiamerebbe, questa parte della riforma, equità fiscale.La terza. In un certo senso è la più importante, e riguarda la semplificazione fiscale e la certezza del diritto. Qui ho letto qualcosa di interessante nel programma di Fratelli d’Italia. Si tratterebbe di mettere ordine in decenni, non qualche anno, di interventi legislativi che si sono accavallati, che si sono spesso contraddetti tra di loro, che sono spesso incomprensibili data la quantità di rinvii ad altre leggi. Si tratterebbe insomma di fare un vero e proprio Codice tributario unico nel quale siano contenuti i principi e le norme che riguardano le singole materie, in modo che il contribuente abbia un quadro chiaro e stabile e sappia anno per anno cosa deve pagare. Con il contributo del compianto professore e grande tributarista Gianni Marongiu fu redatto un eccellente Statuto dei diritti del contribuente, del quale la politica e l’amministrazione fiscale se ne sono fottute bellamente. Si potrebbe ad esempio partire da lì e farlo convergere nel Codice tributario. Non è un’impresa impossibile né tale da richiedere un tempo infinito. Ma va fatta da chi ci capisce molto.Mentre sto scrivendo questo articolo sono in campagna in Toscana, in una piccola borgata e vicino a me c’è una stalla. Di solito l’asino che vi alberga raglia la mattina e la sera. Oggi ha ragliato mentre scrivo: avrà saputo che stavo scrivendo un articolo sulle tasse?
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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