2020-01-15
La lezione di Clint: si può essere eroi anche se si è bianchi e grassi
Arriva nelle sale italiane il capolavoro del regista americano. La storia di un uomo bianco e ciccione vittima di una persecuzione giudiziaria diventa il simbolo di tutti i «forgotten men» dell'Occidente. Nel 1953, lo scrittore Ralph Waldo Ellison pubblicò un romanzo intitolato Uomo invisibile. Il protagonista è un afroamericano particolarmente brillante, che però, nella società dominata dai bianchi, si sente trasparente, inconsistente, invisibile appunto. Nel 2020, l'uomo invisibile si chiama invece Richard Jewell ed è un bianco ciccione e sfigato. Ha 34 anni, vive ancora con la madre (il padre è evaporato) in una bicocca in Georgia, non ha una fidanzata e al lavoro non gli va granché bene. Da un certo punto di vista, Richard potrebbe essere definito un Incel, un «celibre involontario», un nerd che vive ai margini aggrappato alle proprie ossessioni. Richard Jewell vuole a tutti i costi fare il poliziotto, è fissato con le armi, legge libri sulle tecniche investigative, idolatra le forze dell'ordine e il governo americano. Però è grasso, bianco e sfigato: perde l'impiego nell'ufficio dello sceriffo prima e quello come agente in un campus universitario poi perché è troppo zelante, e fa rispettare le norme alla lettera. Dunque deve rassegnarsi a lavoretti più o meno precari come addetto alla sicurezza. I pochi che lo notano lo prendono in giro per il suo peso e per le sue fisime. Per tutti gli altri semplicemente non esiste. È il tipico «forgotten man», la figura ormai mitologica di cui si è tanto discusso quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Un giorno, però, tutti sono costretti ad accorgersi di Richard. Lavorando nella security delle Olimpiadi di Atlanta del 1996, Jewell si imbatte per caso in uno zaino sospetto. I colleghi gli dicono di lasciarlo lì dov'è, ma lui vuole essere un bravo tutore dell'ordine, insiste in modo insopportabile per applicare il regolamento. Arrivano gli artificieri e si scopre che il ciccione ha ragione: il pacco è una bomba, che esplode poco dopo ferendo un centinaio di persone e uccidendone una. Senza l'intervento di Richard sarebbero state molte di più. Il nostro pingue agente di sicurezza diventa immediatamente un eroe celebrato dai media. Ma l'Fbi, priva di indizi utili sul vero responsabile dell'attentato, decide di indagare sul povero Jewell. Tempo un paio di giorni e l'eroe nazionale diviene uno stragista. Per il ruolo di criminale è perfetto: maschio, rancoroso, bianco, fallito. Per di più appassionato di armi e del Sud. Inizia così un calvario giudiziario terrificante, che sfascia l'esistenza di un pover'uomo la cui unica colpa è quella di aver fatto bene il suo lavoro. Nelle mani di Clint Eastwood, questa vicenda realmente accaduta è diventata un dei film più potenti del decennio. Guardando Richard Jewell (in sala da domani) ci si commuove, ci si arrabbia, si resta con il fiato sospeso, si riesce perfino a ridere. È una pellicola di una dolcezza senza fine, ma priva di ogni retorica. Un capolavoro con attori straordinari (splendida Kathy Bates nei panni di Bobi, la mamma di Richard; al solito bravissimo Sam Rockwell nelle vesti dell'avvocato difensore). Soprattutto, però, Richard Jewell è un meraviglioso film politico. Intendiamoci: di politica, nella pellicola, non si parla nemmeno un secondo. Ma proprio qui sta la grandezza di Eastwood: riesce a veicolare contenuti potentissimi pur tenendosi alla larga dall'impegno. Già la scelta di girare il film in Georgia, nonostante il boicottaggio della Hollywood bene contro le leggi anti aborto dello Stato, è stato un segno importante. Il regista non è certo un pro life, ma si è opposto alla censura. Poi ha osato mettere in scena una donna carrierista. Oliva Wilde interpreta la bella reporter Kathy Scruggs, disposta ad andare a letto con un agente Fbi (Jon Hamm) pur di ottenere lo scoop. Storia vera e pure verosimile, che però ha suscitato l'ira delle pseudo femministe statunitensi. In realtà, il personaggio di Kathy affronta un'evoluzione interessante, cresce e acquisisce spessore. E si affianca a un'altra meravigliosa figura femminile, quella della dignitosa mamma di Richard, così morbida e così coraggiosa nel sostenerlo. Poi c'è, ovviamente, la scelta del protagonista. Dicevamo che Jewell (interpretato da Paul Walter Hauser) è lo stereotipo dell'elettore di Trump: un bifolco obeso e sempliciotto. Eppure che fegato tira fuori, sotto la ciccia. Non è l'esponente di una «minoranza perseguitata»: lui è davvero perseguitato da un'accusa ingiusta. Ama il suo Paese, e il suo Paese lo tradisce. Ma lui non cede, i suoi ideali non vacillano. Richard è odiato per tutto quello che rappresenta, ma non odia. Eastwood sbriciola ogni preconcetto liberal, e lo fa con grazia, senza insistere né vincere facile. Jewell non è un eroe di parte: rappresenta il maschio bianco oppresso, questo sì, ma non si piange addosso. E, in ogni caso, incarna pure tutti gli uomini e tutte le donne, senza distinzioni, schiacciati dalla burocrazia, che da decenni è il grande nemico del nostro Clint. Il tondo Richard ha commesso i suoi errori, ma in fondo è un puro in un mondo di egoisti e arrivisti, in una società neoliberista che ricerca soltanto il profitto e l'interesse personale, dimenticandosi della comunità e degli ultimi. Ma gli ultimi veri, non quelli che si crogiolano nel piagnisteo per ottenere un posto al sole. In questo senso, Richard Jewell può essere interpretato come un manifesto conservatore. Un invito pacato al recupero di ideali antichi e fondamentali. In un mondo dominato da minoranze rancorose, femministe urlanti e poteri spietati, un ciccione sfigato è l'eroe più alternativo di sempre.