2021-02-01
Il fallimento della sanatoria renziana. Fa emergere lo 0,5% del lavoro nero
Teresa Bellanova e Matteo Renzi (Ansa)
Per Iv il condono doveva servire ai campi: 207.000 pratiche quasi tutte per badanti. Teresa Bellanova ha fatto la cosa giusta per il motivo sbagliato. Obbedendo a Matteo Renzi, ha lasciato lo scranno di ministro dell'Agricoltura, contribuendo a scatenare la crisi di governo più assurda degli ultimi decenni e, al contempo, liberando un posticino che non sarebbe difficile affidare a qualche renziana più gradita al capo. Insomma, la Bellanova si è infilzata da sola, condannandosi all'irrilevanza ancor più di quanto non l'avesse già condannata la storia. Tuttavia non possiamo certo biasimarla per aver mollato l'incarico, anzi. Il solo problema è, appunto, che lo ha fatto troppo tardi e per ragioni assurde. Avrebbe dovuto dimettersi mesi fa, precisamente alla fine dell'estate, quando i dati certificarono il fallimento dell'unico progetto politico in cui si sia seriamente impegnata: la sanatoria dei migranti. Un disastro che, purtroppo, non cessa di fare danni. Come noto, quando era ministro, la Bellanova insistette per realizzare una grande operazione allo scopo di «far emergere dal nero» i lavoratori sfruttati. Disse che il provvedimento avrebbe consentito la regolarizzazione addirittura di 600.000 persone. La scusa per la sanatoria fu la grave situazione dell'agricoltura. A causa dell'epidemia mancavano lavoratori per la raccolta di frutta e ortaggi. Gli stagionali stranieri erano bloccati fuori dai confini per via dell'emergenza sanitaria, e invece di creare corridoi speciali per gli operatori già formati, il ministro s'impuntò: voleva a tutti i costi imbarcare i clandestini. Quando le fu proposto di cercare manodopera fra i disoccupati italiani, la Bellanova non volle sentire ragioni. Altri Stati, come Inghilterra e Germania, si erano mossi in questa direzione con ottimi risultati, ma il nostro ministro da quell'orecchio non ci sentiva: lei bramava i migranti. Le associazioni di categoria si sgolarono a ripetere che non sarebbe servito a nulla regolarizzare gli stranieri presenti nei centri di accoglienza o i clandestini a zonzo per le città: l'agricoltura necessita lavoratori esperti. Niente da fare: l'ex bracciante Teresa era irremovibile. Dalla sua parte si schierò una parte consistente dell'apparato mediatico: si sprecarono i commenti indignati del tipo «per razzismo lasciamo la frutta a marcire sugli alberi!». Così, grazie all'ideologia e alla testardaggine, il condono per clandestini divenne realtà. Il provvedimento fu approvato a metà maggio. Il termine di scadenza fu fissato al 15 luglio, ma poco dopo fu prorogato al 15 agosto perché non arrivavano abbastanza richieste di regolarizzazione. Alla fine, il fallimento annunciato si è rivelato una sconfitta clamorosa. I numeri non lasciano spazio a dubbi: a richiedere di essere sanate sono state appena 207.000 persone invece delle 600.000 previste. I potenziali braccianti erano solo il 15%, circa 30.000 individui. Il restante 85% era composto da colf e badanti. Un disastro incredibile: la sanatoria ha interessato appena un terzo della platea immaginata inizialmente. E, soprattutto, si è rivelata totalmente inutile per l'agricoltura. Secondo la Confederazione italiana agricoltori, a beneficiare del decreto sono stati «per la maggior parte richiedenti asilo politico, che hanno già un regolare contratto di lavoro, ma che hanno aderito per sanare le posizioni relative al titolo di soggiorno». Altro che dare «visibilità agli invisibili»: si è semplicemente consentito a un po' di migranti di ottenere un permesso di lavoro. Il provvedimento, per altro, avrebbe dovuto consentire a lavoratori italiani e comunitari in nero di uscire allo scoperto, facendosi mettere in regola. Anche da questo punto di vista, tuttavia, il flop è stato bestiale. Sapete in quanti hanno fatto domanda? Appena 1.084 persone. Secondo Il Sole 24 Ore ci sono state «44 domande per i settori agricoltura, pesca e allevamento, 277 per le badanti, 763 per le colf». A questo pasticcio, i cui contorni erano già noti, si aggiunge ora un'ulteriore complicazione. Le domande si sono rivelate pochissime, ma comunque sufficienti a mandare in tilt gli uffici immigrazione, già soffocati da pratiche annose. Lo scorso 8 gennaio, a Milano, si è tenuta la prima di una serie di manifestazioni organizzate da un gruppo di attivisti pro migranti chiamato Non possiamo più aspettare. Oltre a scendere in piazza, costoro hanno creato una pagina Web e hanno scritto perfino una lettera a papa Francesco onde perorare la propria causa. I militanti, che pure partono da una prospettiva estremamente diversa dalla nostra, fanno emergere un dato non secondario. A beneficiare della sanatoria della Bellanova, spiegano, sono state «persone occupate e occupabili in due soli settori, la cura alla persona e il comparto agro-alimentare. In provincia di Milano e Monza Brianza sono state 26.144, il maggior numero di persone su tutto il territorio italiano». Ebbene, solo a Milano e Monza ci sono ancora «25.989 lavoratori e lavoratrici immigrate che attendono ancora la convocazione in prefettura per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e nessuno di loro ha accesso alle misure di sostegno previste dal governo per rispondere ai bisogni elementari (casa e cibo), vista anche l'impossibilità di lavorare nel frattempo». Capito? Questi stranieri hanno fatto richiesta di regolarizzazione ma non hanno ancora ottenuto risposta. Sono passati circa nove mesi dall'entrata in vigore del decreto giallorosso e ancora i casi di costoro non sono stati esaminati. Riepilogando: la Bellanova ha voluto il condono per i clandestini. Ha fatto domanda un terzo delle persone previste. Il provvedimento non è affatto servito alle aziende agricole e, in aggiunta, ha creato un ingorgo di pratiche, tanto che perfino le associazioni di ultrasinistra manifestano indignate, facendo notare che - avanti di questo passo - serviranno 25 anni per esaminare tutte le richieste pervenute. Ecco, questo è il capolavoro della Bellanova e di Italia viva. Cioè dei furbetti votati da nessuno che tirano le fila della crisi di governo.