2020-11-16
Soldi per Arcuri e l’Istituto Luce. Alle piccole imprese solo schiaffi
Dario Franceschini (Ansa)
Nella Finanziaria non ci sono idee per il rilancio delle aziende fiaccate dal Covid. Al contrario risorse a pioggia per le partecipate, compresa la Netflix pubblica di Dario Franceschini. Da Invitalia 400 milioni per prendere l'ex Ilva.Sarebbe due volte sbagliato citare il fondatore dell'Iri Alberto Beneduce. Una prima volta, per l'oggettiva statura di quell'uomo di Stato e di impresa, nemmeno paragonabile alle ben più modeste figure che oggi transitano sul palcoscenico del neo interventismo economico italiano. E una seconda volta perché Beneduce tenne a conservare una qualche distinzione tra l'indirizzo industriale, che riservava allo Stato, e la gestione diretta. Invece, i nostri piccoli Beneduce del 2020 non sembrano avere né quella visione strategica (magari criticabile, ma pur sempre coerente e organica), né un senso del limite rispetto a ciò che è bene che la mano pubblica non faccia direttamente.Il weekend si è incaricato di consegnarci due esempi eloquenti. Il primo è tratto dall'ultima bozza di manovra in circolazione, per l'esattezza dall'articolo 93. E cosa stabilisce questa norma? La trasformazione dell'Istituto Luce in spa con un aumento di capitale da 10 milioni da parte di Via XX settembre; l'attribuzione delle relative azioni al Mef, con l'esercizio dei diritti dell'azionista affidati al ministero per i Beni culturali (d'intesa con l'Economia); la nascita di un cda di cinque membri (due, tra cui il presidente, designati dal Mef; e tre, tra cui l'amministratore delegato, dal Mibact); e infine lo stanziamento di 10 milioni per il 2021 per l'aumento di capitale. In sostanza, se Rocco Casalino e la comunicazione di Palazzo Chigi sembrano dedicarsi a costruire ogni sera l'equivalente dei Cinegiornali Luce, magnificando le gesta di Giuseppe Conte, è invece Dario Franceschini a fare il passo in più e a consolidare il peso della mano pubblica nell'industria culturale. Da tempo si parla di una «Netflix italiana»: ma non sembra rassicurante l'ipotesi che il pallino, anziché in mano ai privati e alla libera creatività di artisti ed editori, sia nelle mani del governo e di dirigenti nominati per via politica, con soldi del contribuente. Previsti anche 378 assunzioni all'Enac, 10 milioni in più all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura e 6 milioni in più al Viminale per «il funzionamento delle strutture centrali e periferiche».Il secondo esempio ci riporta invece a una delle grandi incompiute grilline e giallorosse, e cioè il dossier Ilva. Dopo mesi perduti a raccontare balle su riconversioni avventurose e improbabili, sull'ossimoro dell'«acciaio verde», per non dire di chi invece evocava le cozze e la mitilicoltura come futuro possibile per Taranto (tutto ciò mentre i concorrenti internazionali lavoravano a pieno regime sottraendoci fette di mercato), si sta arrivando all'esito di una nazionalizzazione, quando ormai manca pochissimo alla scadenza del 30 novembre. Dotato di più braccia della dea Kalì, sarà il solito onnipresente e onnipotente Domenico Arcuri, capo di Invitalia, a giocare anche questa partita. In una videoconferenza con i sindacati, è stato il ministro Stefano Patuanelli (insieme al collega Roberto Gualtieri e allo stesso Arcuri) ad augurarsi che la trattativa con il gruppo franco indiano Arcelor Mittal vada a buon fine. Ora, ci sono almeno due ordini di interrogativi. Per un verso, come faccia la stessa persona, Arcuri, a gestire contemporaneamente dossier lontanissimi, dai vaccini ai banchi a rotelle, dalle terapie intensive all'acciaio. Più in generale, c'è da chiedersi come mai (quasi Arcuri fosse un potere dello Stato a sé stante) non ci sia questione che non finisca nelle sue mani, nonostante gli esiti per lo meno discutibili delle vicende di questi mesi. E per altro verso, non si comprende quale sia il piano industriale, la visione, la strategia. Davvero qualcuno pensa che, in un mercato mondiale difficilissimo e ultra competitivo come quello dell'acciaio, la cosa migliore da fare sia mettere tutto in mano allo Stato e a un manager pubblico?Ieri nuovi dettagli sono venuti da Bloomberg, in un lancio firmato da Alberto Brambilla ed Eddie Spence, sotto il titolo «Italia in trattativa con Arcelor Mittal per il 50% dello stabilimento di Taranto». Nel sottotitolo le cifre: «L'intesa implicherebbe il pagamento di 473 milioni di dollari (400 milioni di euro, ndr) via Invitalia». Cioè una somma con la quale si può tirare avanti per pochi mesi, una specie di piccolo cerotto a tempo, inevitabilmente destinato a saltare dopo quattro o sei mesi. «Conte», scrive Bloomberg, «spinge per un maggior ruolo dello Stato in economia». Nel pezzo si citano due persone informate sui fatti, ma tali fonti restano anonime. No comment da Arcelor Mittal e da Invitalia, aggiunge Bloomberg.Mettendo tutto insieme (e figuriamoci cosa verrà fuori nella versione definitiva della legge di bilancio, dove - per antica tradizione - non mancano mai regalie, sprechi e marchette), resta un senso di sgomento per il modo in cui i giallorossi sembrano impostare il 2021. Si annuncia una crisi nera per il settore privato, schiacciato dalle tasse e dalle conseguenze negative del lockdown, e destinatario di ristori assolutamente inadeguati e perfino offensivi. Nella manovra il tema di un poderoso taglio di tasse per aiutare la ripresa non c'è, mentre tutto il capitolo degli investimenti è appeso alle incognite, ai tempi lunghissimi e alle condizionalità del Recovery fund (che non ci sarà per molti mesi). Nulla di serio è previsto per la ricerca. E quanto alle partite Iva, appaiono come le vittime sacrificali di un governo che le vede come estranee alla propria base elettorale. Contro tutto questo, assistiamo invece a un allargamento ulteriore e selvaggio del settore pubblico, ovviamente a spese del contribuente. Triste ma non sorprendente, da parte di chi ha nella testa e nel cuore il modello venezuelano.