Shanghai riapre a -8%. Le attività commerciali restano bloccate. Infatti il fabbisogno di greggio cala del 20%. L'Europa per ora tiene.
Shanghai riapre a -8%. Le attività commerciali restano bloccate. Infatti il fabbisogno di greggio cala del 20%. L'Europa per ora tiene.Mentre il coronavirus continua a mietere vittime - i morti sono più di quelli causati dalla Sars - comincia a delinearsi anche il quadro delle ripercussioni dell'epidemia sulla seconda economia mondiale, che è praticamente ferma ormai da giorni. Un indicatore importante è la domanda di petrolio di Pechino, che è crollata di circa 3 milioni di barili al giorno (-20%), proprio a causa delle misure di contenimento adottate per frenare l'epidemia di coronavirus. Secondo Bloomberg, si tratta probabilmente del più severo shock subito dalla domanda di petrolio dalla crisi finanziaria, nel 2008-2009, e del più repentino dall'attacco alle Torri Gemelle. L'epidemia di coronavirus, hanno notato gli esperti di Fitch Ratings, «potrebbe frenare la crescita della domanda di petrolio se continua a diffondersi, portando a un surplus di produzione esteso man mano che la produzione cresce in Brasile, Norvegia e Stati Uniti». Per questo gli analisti ritengono che «i prezzi del petrolio rimarranno altamente volatili nel 2020». E i timori per la contrazione della domanda cinese hanno portato le quotazioni del greggio Wti a calare del 20% rispetto al picco di gennaio, a 50,61 dollari al barile, mentre il Brent ieri era in calo del 2,5% a 55,21 dollari al barile.D'altra parte le attività economiche sono ancora interrotta in gran parte della Cina: sono almeno 24 le province e municipalità, tra cui Shanghai, Chongqing e il Guandong, che hanno rinviato la ripresa delle attività produttive a non prima del 10 febbraio: nel 2019 queste aree hanno contribuito per l'80% al Pil e per il 90% alle esportazioni cinesi. A pagare lo scotto più alto è ovviamente l'Hubei, la provincia dove sorge la città di Wuhan, epicentro dell'epidemia: qui le aziende non ripartiranno prima del 14 febbraio, sempre che il governo non deliberi una «appropriata estensione» del periodo di ferie.La situazione sta portando il governo di Pechino a valutare se rivedere al ribasso i target di crescita per il 2020. Sempre secondo Bloomberg, le autorità cinesi potrebbero mettere in campo una serie di misure a sostegno dell'economia, tra cui un innalzamento del tetto al rapporto tra deficit e Pil. Il target annuale di crescita cinese viene generalmente reso noto a marzo, e secondo gli economisti la Cina dovrebbe puntare a una crescita «attorno al 6%», dopo il 6-6,5% fissato per il 2019, che si è poi chiuso con una crescita del 6,1%. Ieri intanto la Banca centrale cinese (Pboc) ha iniziato a dispiegare le misure a sostegno della liquidità mercati e di supporto all'economia annunciate nel fine settimana per fronteggiare le ricadute dell'epidemia di coronavirus. Nel sistema sono stati immessi 1.200 miliardi di yuan, pari a 154 miliardi di euro, attraverso «repo» (pronti contro termine) a 7 e 14 giorni, il cui tasso è stato tagliato di 10 punti base. L'effetto reale nell'economia sarà di 150 miliardi di Yuan (circa 19 miliardi di euro). Questi strumenti, ha spiegato l'istituto centrale, servono ad «assicurare ampia liquidità durante questo periodo speciale di contenimento del virus». In ogni caso, però, la reazione delle Borse cinesi, alla riapertura degli scambi dopo la lunga pausa per il Capodanno lunare, è stata da panico, con Shanghai e Shenzhen che lunedì hanno chiuso in calo di quasi 8 punti percentuali. Ma i timori non hanno contagiato il resto del mondo, con le Borse europee che ieri hanno registrato rialzi intorno al mezzo punto, e Milano che ha fatto ancora meglio, chiudendo a +0,96% Positiva anche Wall Street, che a metà seduta vedeva lo S&P 500 in rialzo dello 0,73%. La situazione che si è creata a seguito del diffondersi dell'epidemia di coronavirus in Cina è infatti preoccupante, ma i professionisti degli investimenti ritengono che i suoi effetti potrebbero essere limitati nel tempo. Come spiega Kristina Hooper, chief market strategist di Invesco», la reazione del mercato potrebbe aggravarsi in caso di ulteriore diffusione del virus», ma è «improbabile che il coronavirus cambi i fondamentali economici» della Cina: per questo, se la situazione si stabilizzerà velocemente, potrà verificarsi «un significativo miglioramento della crescita del Pil grazie all'aumento ella fiducia per consumatori e imprese legato all'accordo commerciale tra la Cina e gli Usa». I mercati azionari viaggiano sui massimi ormai da mesi, e quindi l'epidemia di coronavirus cinese potrebbe essere «il catalizzatore per una correzione», con le azioni globali che, nella peggiore delle ipotesi, «potrebbero scendere fino al 10-20% prima di riprendersi», fa sapere Hooper. «Più a lungo il coronavirus si diffonde senza che le autorità governative siano in grado di stabilizzarne il contagio, maggiore sarà l'impatto sulle economie e sui mercati», spiega l'esperta, che tuttavia si attende «un rimbalzo abbastanza rapido man mano che la situazione migliora, soprattutto in considerazione del contesto accomodante delle banche centrali a sostegno degli asset di rischio».
L'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (Ansa)
L’ammiraglio Cavo Dragone, capo militare: «Dovremmo essere più aggressivi con Mosca, cyberattacchi per scongiurare imboscate». Ma l’Organizzazione ha scopi difensivi: questa sarebbe una forzatura. Con il rischio che dal conflitto ibrido si passi a quello coi missili.
«Attacco preventivo». L’avevamo già sentito ai tempi dell’Iraq e non andò benissimo. Eppure, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha riproposto uno dei capisaldi della dottrina Bush in un’intervista al Financial Times. Si riferiva alla possibilità di adottare una strategia «più aggressiva» con la Russia. Beninteso, l’ipotesi verteva su un’offensiva cyber: «Stiamo studiando tutto sul fronte informatico», ha spiegato il militare.
Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi di Siena (Ansa)
I magistrati sostengono che chi ha conquistato l’istituto si è messo d’accordo su cosa fare. Ma questo era sotto gli occhi di tutti, senza bisogno di intercettazioni. E se anche il governo avesse fatto il tifo, nulla cambierebbe: neanche un euro pubblico è stato speso.
Ma davvero qualcuno immaginava che il gruppo Caltagirone, quello fondato da Leonardo Del Vecchio e alla cui guida oggi c’è Francesco Milleri, uniti al Monte dei Paschi di Siena di cui è amministratore Luigi Lovaglio, non si fossero mossi di concerto per conquistare Mediobanca? Sì, certo, spiare dal buco della serratura, ovvero leggere i messaggi che i vertici di società quotate si sono scambiati nei mesi scorsi, è molto divertente. Anche perché come in qualsiasi conversazione privata ci sono giudizi tranchant, alcuni dei quali sono molto gustosi.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.






