Il decreto pasticciato di Giuseppi scontenta tutti e aumenta il caos

Peggio del virus in sé, solo il virus con in più un governo che crea e alimenta il caos, rendendo l'emergenza ancora più confusa e ingestibile.
Sabato notte, nel famigerato video su Facebook delle 23.30, Giuseppe Conte aveva garantito: «Abbiamo lavorato tutto il pomeriggio con i sindacati, con le associazioni di categoria, per stilare una lista dettagliata in cui sono indicate le filiere produttive delle attività dei servizi di pubblica utilità». Si potrebbe dire: le ultime parole famose. Altro che accordo, infatti: da domenica pomeriggio, prim'ancora che il Dpcm venisse firmato dal premier, era già scoppiato il pandemonio, con Confindustria impegnata ad allargare le maglie del decreto e i sindacati a restringerle. E alla fine, per ragioni opposte, tutti insoddisfatti.
Logica elementare avrebbe voluto che il governo seguisse una consecutio prudente: prima raggiungere un'intesa definitiva con le parti sociali, poi scrivere il decreto, infine annunciarlo. Il dinamico duo Conte-Casalino ha fatto l'inverso: prima ha annunciato il decreto, poi lo ha scritto, e alla fine si è ritrovato a non avere alcuna intesa solida con le parti sociali. E nel susseguirsi vorticoso delle bozze che circolavano informalmente, risulta impressionante l'elenco dei settori che di volta in volta sono entrati e usciti dall'elenco delle attività essenziali (e dunque autorizzate). La Verità è in grado di fornire dettagli al riguardo: e non è difficile immaginare la rabbia, la preoccupazione, l'incertezza degli imprenditori e dei lavoratori trascinati in questo balletto.
Ecco ad esempio alcuni settori che, nelle bozze di sabato, erano ritenuti essenziali e alla fine sono stati invece esclusi (e dunque bloccati): fabbricazione di prodotti refrattari, produzione di alluminio e semilavorati, commercio all'ingrosso di carta-cartone-articoli di cartoleria. Ecco poi i settori che, tra sabato e domenica, sono stati per alcune ore aggiunti all'elenco, ma alla fine sono stati depennati (e dunque, anch'essi vietati): metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo, di computer e prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali e di misurazione, orologi, macchine per lavanderie e stirerie, macchine per stampa e legatoria, robot industriali, commercio all'ingrosso di molti prodotti e articoli (elettrodomestici, elettronica di consumo e audio, articoli per fotografia-cinematografia-ottica, articoli per illuminazione, apparecchiature Ict, materiale elettrico per impianti a uso industriale, macchine per industria-commercio-navigazione, legname), e un lungo elenco di attività di noleggio (di autovetture, autocarri, macchine agricole, mezzi di trasporto aereo e marittimo, container).
Ed ecco infine altri settori che sono stati aggiunti nella giornata di domenica e alla fine sono rimasti nell'elenco (e dunque consentiti): estrazione di carbone e petrolio, fabbricazione di imballaggi in legno, fabbricazione di diverse macchine e apparecchi (per irradiazione, elettromedicali, elettroterapeutiche; di motori, generatori e trasformatori elettrici; per l'agricoltura e per l'industria alimentare, delle bevande e del tabacco; per l'industria delle materie plastiche e della gomma), fabbricazione di attrezzature protettive, di casse funebri, commercio all'ingrosso di una serie di articoli (prodotti farmaceutici, libri-riviste-giornali, strumenti a uso scientifico, prodotti petroliferi-lubrificanti-combustibili), alberghi, attività legali e contabili, studi di architettura e ingegneria, attività di pulizia e disinfestazione, e una serie di attività di riparazione (di computer, elettrodomestici per la casa, ecc).
Morale: caos e insoddisfazione generale. Sul versante imprenditoriale, Confindustria contesta - tra l'altro - l'uso del cosiddetto «codice Ateco» (quello che classifica le imprese quando entrano in rapporto con la pubblica amministrazione), e mette in luce il fatto che un certo settore possa essersi ritrovato tra le attività escluse, quando invece rientra nella filiera necessaria alla produzione di beni essenziali: «Prendiamo le aziende dell'automotive che stanno producendo valvole per i respiratori: anche loro non sono comprese nei codici Ateco che possono andare avanti a produrre. Attenzione alle rigidità, usiamo il buon senso», ha detto Vincenzo Boccia al Corriere.
Sul versante opposto, i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, che già domenica sera avevano minacciato nientemeno che la bomba dello sciopero generale, ieri hanno scritto ai titolari di Mef e Mise, Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli, chiedendo di essere convocati per ridiscutere una lista che - a loro avviso - lascia aperte attività che non avrebbero «la caratteristica di indispensabilità o essenzialità».
E intanto, tra un governo che crea confusione e vertici sindacali a loro volta in crisi di rappresentatività, è stato fatale che partisse a macchia di leopardo una raffica di preannunci di scioperi nei settori più diversi: bancari, chimici, metalmeccanici, siderurgia. Molti destinati a concretizzarsi domani, mercoledì 25. Insomma: fabbriche in rivolta, e leader sindacali all'inseguimento, che alzano la voce temendo di essere anche loro irrilevanti e travolti dal dissenso.
E intanto ieri - in modo clamoroso - la protesta si è già materializzata nei settori della difesa e dell'aerospazio. La Fiom ha infatti annunciato che all'astensione hanno partecipato lavoratori di Leonardo, Ge Avio, Fata Logistic System, Lgs, Vitrociset, Mbda, Dema, Cam e Dar.






