2021-07-15
Il ddl Zan rimane a galla per un solo voto
La richiesta di sospensiva che avrebbe rimandato il testo in commissione non passa grazie al sostegno dell'ex grillino Ciampolillo Ma se i numeri sono questi, la legge sembra destinata a morire. Irritazione da Fdi per le «sospette» assenze tra le file di Lega e FiL'allusione a «diversità» in seno all'Ordine è stata fatta durante il Capitolo generaleLo speciale contiene due articoliA Palazzo Madama, ormai, lo chiamano il «fattore Ciampolillo». Quando una mozione, un provvedimento o un qualsiasi atto parlamentare viene approvato o respinto grazie al voto decisivo dell'eccentrico senatore ex grillino Lello Ciampolillo, al di là del risultato numerico della votazione ciò è unanimemente considerato come la pietra tombale per chi ha avuto bisogno dell'appoggio del citato parlamentare. Così è stato per Giuseppe Conte, quando la mozione di sfiducia al suo secondo esecutivo è stata stoppata grazie a lui e con l'ausilio del Var dopo un estenuante tira e molla, non impedendo peraltro la caduta rovinosa del governo giallorosso, e così è stato ieri per il ddl Zan. È stato infatti grazie a un solo voto di scarto (136 no contro 135 sì), che l'Aula del Senato ha respinto la richiesta di Lega e Fi di sospensiva dell'esame del provvedimento, che se approvata avrebbe riportato il testo Zan in commissione Giustizia. Esattamente ciò che martedì era stato richiesto a più riprese dal centrodestra, che ha dato battaglia sia in Aula che in conferenza dei capigruppo scontrandosi però con la determinazione a tirare dritto da parte del blocco giallorosso. Un voto, quello di ieri sulla sospensiva, che se analizzato in filigrana scorrendo i tabulati, presenta però più di una sfaccettatura e non sempre coerente. Partendo dal dato politico più cristallino, è ormai indiscutibile che il testo Zan così come approvato alla Camera, al Senato è praticamente morto: già martedì la manciata di voti che aveva consentito di respingere le pregiudiziali di costituzionalità aveva indicato un cammino quasi impossibile nella cajenna fatta di voti segreti e ostruzionismo a oltranza proprio di queste situazioni ma ora, di fronte a un voto palese sbrogliato dal centrosinistra grazie all'apporto risolutivo dell'«uomo che sussurrava agli alberi» (uno dei soprannomi di Ciampolillo, famoso tra le altre cose per avere eletto a propria residenza una pianta di ulivo), le opzioni a disposizione di Enrico Letta e i suoi appaiono elementari. O proseguire sulla linea «Zan o morte» (che vuol dire morte), cercando di attribuire a Matteo Renzi la colpa suprema di aver affossato il provvedimento macchiandosi inoltre di intelligenza col nemico del popolo Matteo Salvini, o accettare le modifiche su identità di genere, libertà di opinione e autonomia scolastica, che godono già di un vasto consenso sia conclamato che latente nelle fila dei dem e del M5s. Assodato che il percorso del testo Zan viaggia su un binario morto, a cercare il pelo nell'uovo il tabulato del voto di ieri mattina dice che, con uno sforzo in più da parte di Lega e Forza Italia, forse l'obiettivo di un supplemento di negoziato in commissione, perseguito nei giorni precedenti, invocato dal presidente della commissione Giustizia Andrea Ostellari in Aula e da tutti i leader del centrodestra nelle loro dichiarazioni pubbliche, sarebbe stato centrato. Comprendere chi sia assente giustificato o meno con la lettura dei tabulati delle votazioni non è cosa facile, perché spesso quanto scritto sopra di essi per i parlamentari in congedo o in missione viene smentito dai diretti interessati o dal corso degli scrutini, ma è un dato matematico che se un paio tra la quindicina di defezioni di Lega e Fi fossero state evitate, il provvedimento sarebbe tornato in commissione per due settimane, prima di rifare capolino in Aula il 27 luglio e, verosimilmente, per completare (in un modo o nell'altro) il proprio iter dopo la pausa estiva. Non è un caso che Fratelli d'Italia, presente al completo, non abbia fatto mancare di far filtrare la propria irritazione per un un obiettivo additato per settimane e sfumato all'ultimo metro. Ci sono poi da segnalare le cinque assenze ingiustificate tra le fila del M5s, anch'esse da tenere in considerazione in vista della sequenza dei voti segreti della prossima settimana.Si continuerà dunque così, in quel proverbiale Vietnam d'Aula che nemmeno ieri è venuto meno, quando il capogruppo di Italia viva Davide Faraone ha denunciato la gogna social architettata dalla collega del Pd Monica Cirinnà, che ha diffuso un video (ripreso contravvenendo al regolamento) in cui, durante il dibattito di martedì pomeriggio, Faraone applaudiva un passaggio dell'intervento di Salvini, innescando inevitabilmente una serie di commenti offensivi al suo indirizzo. L'esponente dem, poi, anche sotto la spinta della solidarietà espressa al senatore renziano persino da parlamentari del Pd, ha fatto dietrofront scusandosi per l'accaduto ma tenendo il punto sul «giudizio politico» dato su Faraone. Preso atto del voto sulla sospensiva, i due Matteo hanno ripreso ad incalzare Enrico Letta e il blocco giallorosso in generale sulla necessità di dare corso a una trattativa seria su un nuovo testo della legge. Per Renzi «siccome i numeri sono a rischio, dobbiamo fare un grande accordo, perché a scrutinio segreto questa legge non passa». E Renzi non si nega nemmeno un affondo diretto al Nazareno, affermando che «ormai il Pd sembra la sesta stella di Grillo più che il vecchio Pd riformista che avevamo imparato a conoscere». Per Salvini «il voto dimostra che la legge senza accordo muore. Il Pd ci pensi».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-ddl-zan-rimane-a-galla-per-un-solo-voto-2653782063.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="persino-i-francescani-discettano-delle-differenze-tra-etero-e-gay" data-post-id="2653782063" data-published-at="1626287723" data-use-pagination="False"> Persino i francescani discettano delle differenze tra etero e gay Il Capitolo generale è una assemblea periodica che gli ordini religiosi cattolici tengono per eleggere i nuovi responsabili, superare le difficoltà, valutare il presente e il futuro della congregazione. E soprattutto per misurare la fedeltà al carisma del fondatore. Dal 3 al 18 luglio si sta svolgendo a Roma, presso il Collegio san Lorenzo da Brindisi, il Capitolo dei Frati minori, la famiglia più cospicua dei seguaci di san Francesco d'Assisi (circa 13.000 membri). Gli altri due rami sono i Conventuali e i Cappuccini. Il 13 luglio è stato eletto il nuovo numero uno, nella persona di padre Massimo Fusarelli, romano, classe 1963. Gli facciamo il migliore augurio possibile: che sia un nuovo Poverello nel XXI secolo! Ma all'inizio del capitolo c'è stato qualcosa di strano, che getta perplessità sull'andamento del francescanesimo odierno. Il 4 luglio infatti, davanti a «116 capi e delegati dell'ordine dei Frati minori», l'allora superiore generale, fra Michael Perry (Indiana, 1954), chiamato dai francescani ministro generale, ha celebrato la messa di apertura. Nella predica ha fatto riferimento a san Paolo e alle difficoltà della comunità che lui fondò ad Efeso. «Siamo venuti a questo sacro evento del Capitolo generale per entrare nello stesso tipo di esperienza di cui parla san Paolo nella sua lettera alle comunità cristiane miste giudeo-gentili di Efeso, un'esperienza di guarigione, della riconciliazione, di andare oltre noi stessi, di iniziare un nuovo inizio come membri dell'unico Corpo di Cristo». Benissimo. Solo che fra Perry piuttosto che tornare alle origini, ovvero a Cristo e a san Francesco (1181-1226), sembra totalmente inserito nelle mondanità e obnubilato dalle problematiche della più discussa (e discutibile) contemporaneità. Infatti, parlando dei travagli e delle difficoltà del suo ordine, che vive da anni un crollo generalizzato delle vocazioni e una continua chiusura di conventi, l'allora ministro generale ha affermato: «Sperimentiamo anche molte sfide, conseguenza della grande diversità presente nella vita dell'ordine: ideologica, spirituale, socioeconomica, clericale/laica, eterosessuale/gay, culturale, geografica, razziale, casta, regione, ecc.». Ora, che tra religiosi che provengono dai cinque continenti del mondo e dai più svariati contesti socioculturali ci possano essere delle differenze e delle tensioni di stampo etnico, culturale, sociale e spirituale, non si fa davvero fatica a concepirlo. Ma che senso ha in questo contesto citare, verosimilmente per piacere al mondo, la «diversità etero/gay»? Secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II e riconfermato da papa Francesco, quelle omosessuali sono tendenze disordinate e da correggere. E in ogni caso, trattandosi di religiosi con tanto di voto di castità, quale può essere il senso del discorso? Parrebbe quello di spalleggiare - come negli ultimi decenni ha fatto non raramente l'ambiente francescano - certe ideologie laiche che alcuni vorrebbero legalizzare e legittimare a tal punto da impedire le critiche ai loro oppositori (come dimostra il ddl Zan). Non è ridicolo, prima ancora che scandaloso, che un uomo di Chiesa che in primis dovrebbe essere un uomo di Dio, parli della presenza dell'omosessualità nella propria comunità, quando è già la sessualità come tale, a dover esserne bandita? Cosa ne penserebbe Francesco d'Assisi che tentato dal diavolo contro il sesto comandamento si sottoponeva a incredibili penitenze per fortificarsi e resistere meglio? Speriamo che il novello superiore generale sappia reindirizzare i Frati minori alla fedeltà sine glossa al Vangelo e alla Regola, dopo anni di deviazioni, svendite e ambiguità.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)