
La legge che piace a Vip e star è osteggiata dalle vere femministe che combattono l'utero in affitto e l'autocertificazione di genere.Negli ultimi giorni sui social network non si fa altro che parlare di un dramma epocale, una tragedia che sembra rappresentare il vero, grande problema delle donne italiane del terzo millennio: il catcalling, ovvero intende il vizio un po' machista di fischiare alle donne che passano per strada. A portare la faccenda all'attenzione del grande pubblico è stata Aurora Ramazzotti: «Appena mi tolgo la giacca sportiva perché sto correndo e fa caldo devo sentire fischi, commenti sessisti e altre schifezze», ha detto nei giorni scorsi. «Mi fa schifo e se sei una persona che lo fa, mi fai schifo». A queste affermazioni piuttosto decise è seguito l'inevitabile tormentone online, con corredo di volgarità, scambio di insulti e indignazione. Inutile soffermarsi troppo sul merito del catcalling: secondo alcuni è una pratica nemmeno troppo offensiva che, per altro, sta sparendo dalla circolazione; secondo la Ramazzotti e altre celebrità del Web si tratta invece di molestia vera e propria, molto diffusa e temibile. Non ci è mai capitato che qualcuno ci fischiasse per la via (se non, qualche volta, per mandarci a quel paese), dunque non sappiamo dire se il catcalling sia realmente così terribile come viene dipinto. Abbiamo la sensazione, tuttavia, che da qualche tempo la scena del dibattito sulle questioni femminili sia occupata da questioni diciamo secondarie. Una volta si discute di come chiamare le donne che dirigono un'orchestra; un'altra volta ci si accapiglia per i ruoli di potere nei partiti; adesso c'è questa storia del richiamo animalesco sul marciapiede. E mentre il grande pubblico prosegue a bisticciare su queste faccende che, alla fine dei conti, incidono relativamente sull'esistenza quotidiana, altre e più pregnanti questioni passano quasi inosservate. O, peggio, godono di grande pubblicità ma sono completamente travisate.La questione dei fischi in strada si potrebbe chiudere rapidamente, stabilendo che un urlo belluino o un rumoreggiare scomposto possano in effetti risultare sgradevoli, specie in certi contesti (una donna che si trovi sola per strada la sera comprensibilmente potrebbe non apprezzare). Ma anche ammettendo che, forse, sulla percezione di insicurezza pesano - più dell'eventuale commento sopra le righe fatto da uno sconosciuto - altri fattori: degrado urbano e sociale, immigrazione di massa, assenza di forze dell'ordine sul territorio eccetera. In ogni caso, non esistono soltanto le violenze fisiche e verbali. Esistono anche violenze che potremmo definire intellettuali e culturali. Che magari sono meno plateali ma risultano ugualmente pericolose per le donne. Una di queste è il cosiddetto ddl Zan che Pd, Cinquestelle e persino alcuni esponenti del centrodestra vorrebbero a tutti i costi tramutare in legge. Purtroppo, mentre del catcalling si ragiona (e sragiona) fin nei minimi dettagli, sul ddl Zan l'esame è molto meno approfondito. Anzi, le stesse attiviste pronte a lottare contro i fischi in strada si dicono favorevoli alla norma arcobaleno, magari senza nemmeno averla letta. Vip e vippette come le cantanti Elodie e Levante si sono subito impegnate nella nuova e patinatissima battaglia di civiltà Lgbt, con feroci dichiarazioni contro Simone Pillon e persino editoriali sui giornali. Ieri, ad esempio, Levante si è scagliata contro «l'oscurantismo» di Lega e Fratelli d'Italia che si opporrebbero al ddl per «meri scopi propagandistici». Se invece di seguire l'onda del mainstream queste militanti della fama ascoltassero davvero le voci delle donne - tutte le donne - si renderebbero conto che il ddl Zan è una minaccia più inquietante di qualsiasi verso udito per strada. Non solo perché vuole togliere la libertà di espressione sui temi Lgbt, ma anche perché impone una visione ideologica che tende a cancellare l'identità femminile. Lo ha spiegato benissimo nei giorni scorsi Arcilesbica, che è divenuta ormai da mesi il bersaglio dell'odio arcobaleno proprio per via della sua posizione critica sulla proposta Zan. L'associazione (non certo ascrivibile all'universo destrorso) non chiede l'abolizione del ddl: ne chiede la sostanziale modifica (che ovviamente è stata negata). Arciblesbica nota che il ddl Zan non è esplicitamente «coerente con il divieto vigente di affitto dell'utero. Essere contro la gpa non è omofobia». Non solo. L'associazione avanza dubbi anche sulla definizione di identità di genere presente nella proposta. «Essere contrari/e all'autocertificazione di genere non è transfobia», ribadiscono le militanti lesbiche. Per intendersi, l'autocertificazione di genere consiste nella possibilità concessa a chiunque di cambiare sesso in base alla semplice volontà: a un uomo dovrebbe bastare un tratto di penna o il cambio di nome sui documenti per «diventare donna». Ed eccoci al punto. Il ddl Zan non serve a impedire i cosiddetti «crimini di odio». In compenso, contribuisce a quella che la femminista britannica Fiorella Nash, chiama «abolizione della donna». In che modo lo fa? Semplice: imponendo la mordacchia arcobaleno, impedisce ogni opposizione alla maternità surrogata e al gender. Vale la pena, a tal proposito, soffermarsi ancora un attimo su ciò che scrive la Nash. Costei è l'autrice di un robusto saggio che si intitola L'abolizione della donna, appena pubblicato in Italia dal sempre coraggioso editore D'Ettoris. Il sottotitolo del libro è eloquente: «Come il femminismo radicale tradisce le donne». A differenza della maggior parte delle militanti, la Nash è una pro life convinta, e si batte contro quello che lei chiama «femminismo radicale», ma che noi preferiamo chiamare «donnismo». A suo dire, il pensiero delle odierne donniste è «fermamente ancorato alle battaglie del passato, dittatoriale e ossessionato dal vittimismo». È una descrizione perfetta. Prendiamo il caso di Levante: prende posizione contro il catcalling di cui sopra, e allo stesso tempo tifa per il ddl Zan. Dunque, aderendo a una ideologia polverosa, considera più offensivo della dignità femminile un fischio per strada rispetto all'utero in affitto e alla possibilità di cambiare sesso con una firma. Pensateci: un commento volgare può offendere, e persino spaventare. Ma l'utero in affitto espropria la donna della maternità. L'autodefinizione di genere, poi, stabilisce che non esistano differenze fra i sessi: elimina la specificità del femminile, dunque fa sparire la donna. E di sicuro non basterà un fischio per farla ricomparire.
2025-11-16
Borghi: «Tassare le banche? Sostenibile e utile. Pur con i conti a posto l’Ue non ci premierà»
Claudio Borghi (Ansa)
Il senatore della Lega: «Legge di bilancio da modificare in Aula, servono più denari per la sicurezza. E bisogna uscire dal Mes».
«Due punti in più di Irap sulle banche? È un prelievo sostenibilissimo e utile a creare risorse da destinare alla sicurezza. Le pensioni? È passato inosservato un emendamento che diminuisce di un mese l’età pensionabile invece di aumentarla. La rottamazione? Alla fine, anche gli alleati si sono accodati». Claudio Borghi, capogruppo della Lega in commissione Bilancio del Senato e relatore alla legge di bilancio, sciorina a raffica gli emendamenti di «bandiera» del suo partito con una premessa: «Indicano una intenzione politica che va, poi, approfondita». E aggiunge: «Certo, la manovra avrebbe potuto essere più sfidante ma il premier Giorgia Meloni non ha fatto mistero di volerci presentare nella Ue come i primi della classe, come coloro che anticipano il traguardo di un deficit sotto il 3% del Pil. Io, però, temo che alla fine non ci daranno alcun premio, anche perché, ad esempio, la Bce ha già premiato la Francia che ha un deficit superiore al nostro. Quindi, attenti a non farsi illusioni».
Roberto Fico (Ansa)
Dopo il gozzo «scortato», l’ex presidente della Camera inciampa nel box divenuto casa.
Nella campagna elettorale campana c’è un personaggio che, senza volerlo, sembra vivere in una sorta di commedia politica degli equivoci. È Roberto Fico, l’ex presidente della Camera, candidato governatore. Storico volto «anticasta» che si muoveva in autobus mentre Montecitorio lo aspettava, dopo essere stato beccato con il gozzo ormeggiato a Nisida, oggi scaglia anatemi contro i condoni edilizi, accusando il centrodestra di voler «ingannare i cittadini». «Serve garantire il diritto alla casa, non fare condoni», ha scritto Fico sui social, accusando il centrodestra di «disperazione elettorale». Ma mentre tuona contro le sanatorie, il suo passato «amministrativo» ci racconta una storia molto meno lineare: una casa di famiglia (dove è comproprietario con la sorella Gabriella) è stata regolarizzata proprio grazie a una sanatoria chiusa nel 2017, un anno prima di diventare presidente della Camera.
Edmondo Cirielli e Antonio Tajani (Ansa)
L’emendamento alla manovra di Fdi mira a riattivare la regolarizzazione del 2003. Così si metterebbe mano a situazioni rimaste sospese soprattutto in Campania: all’epoca, il governatore dem Bassolino non recepì la legge. E migliaia di famiglie finirono beffate.
Nella giornata di venerdì, la manovra di bilancio 2026 è stata travolta da un’ondata di emendamenti, circa 5.700, con 1.600 presentati dalla stessa maggioranza. Tra le modifiche che hanno attirato maggiore attenzione spicca quella di Fratelli d’Italia per riaprire i termini del condono edilizio del 2003.
I senatori di Fdi Matteo Gelmetti e Domenico Matera hanno proposto di riattivare, non creare ex novo, la sanatoria introdotta durante il governo Berlusconi nel 2003. Obiettivo: sanare situazioni rimaste sospese, in particolare in Campania, dove la Regione, all’epoca guidata da Antonio Bassolino (centrosinistra), decise di non recepire la norma nazionale. Così migliaia di famiglie, pur avendo versato gli oneri, sono rimaste escluse. Fdi chiarisce che si tratta di «una misura di giustizia» per cittadini rimasti intrappolati da errori amministrativi, non di un nuovo condono. L’emendamento è tra i 400 «segnalati», quindi con buone probabilità di essere discusso in commissione Bilancio.
Friedrich Merz (Ansa)
Con l’ok di Ursula, il governo tedesco approva un massiccio intervento sul settore elettrico che prevede una tariffa industriale bloccata a 50 euro al Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio. Antonio Gozzi (Federacciai): «Si spiazza la concorrenza».
Ci risiamo. La Germania decide di giocare da sola e sussidia la propria industria energivora, mettendo in difficoltà gli altri Paesi dell’Unione. Sempre pronta a invocare l’unità di intenti quando le fa comodo, ora Berlino fa da sé e fissa un prezzo politico dell’elettricità, distorcendo la concorrenza e mettendo in difficoltà i partner che non possono permettersi sussidi. Avvantaggiata sarà l’industria energivora tedesca (acciaio, chimica, vetro, automobile).
Il governo tedesco ha approvato giovedì sera un massiccio intervento sul mercato elettrico che prevede un prezzo industriale fissato a 50 euro a Megawattora per tre anni, a partire dal prossimo gennaio, accompagnato da un nuovo programma di centrali «a capacità controllabile», cioè centrali a gas mascherate da neutralità tecnologica, da realizzare entro il 2031. Il sistema convivrebbe con l’attuale attuale meccanismo di compensazione dei prezzi dell’energia, già in vigore, come ha confermato il ministro delle finanze Lars Klingbeil. La misura dovrebbe costare attorno ai 10 miliardi di euro, anche se il governo parla di 3-5 miliardi finanziati dal Fondo per il clima e la trasformazione. Vi sono già proteste da parte delle piccole e medie imprese tedesche, che non godranno del vantaggio.






