2022-03-16
Il cronista che amava i «perdenti»
È morto Gianluca Ferraris, giornalista ironico e gentile. Romanziere emergente, nei suoi noir sapeva fare galleggiare le debolezze e i lati oscuri dell’animo umano.Ho conosciuto Gianluca poco prima del G8 di Genova del 2001. Lavorava per una microscopica agenzia di stampa. Era colto, appassionato di ogni genere musicale, a partire dal punk, sia «red» che «nazi», come diceva lui. Era di sinistra, ma riusciva a ragionare con tutti. All’epoca si vestiva di nero e aveva i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo. Era sovrappeso, ma timidezza e garbo lo rendevano quasi aggraziato. Fumava troppo ed era curioso di tutto. In queste ore, tra chi lo ricorda, l’aggettivo più usato per descriverlo è «perbene». Gianluca Ferraris se ne è andato via a 45 anni alla sua maniera, senza fare rumore. Era un genovese vero, di quelli riservati, che non amano esibire gli stati d’animo. Non ricordo un alterco, un urlaccio di Gianluca in un mondo, quello del giornalismo, dove, spesso, le discussioni si vincono alzando i decibel. Lui no. Sorrideva con quel suo sguardo dolce. I colleghi lo apprezzavano per la sua cultura, la sua posatezza, la sua battuta sempre pronta. Sui social sfoderava una grinta particolare e le sue freddure erano delle sentenze. Nei giorni scorsi mi aveva scritto, premuroso, per farmi sapere che la sua lotta contro la malattia era persa. Me lo disse in modo diretto e quasi sereno. Per iscritto, per «togliere entrambi dall’imbarazzo», essendogli rimasto solo un filo di voce. Non voleva che lo sapessi da qualcun altro, «magari dai social». «Non lo sa quasi nessuno e vorrei tenere il segreto fino alla fine» aveva precisato. Questo era Gianluca: stava morendo e si preoccupava di non imbarazzare. E alla fine della conversazione si era scusato per avermi «fottuto il sabato» con quella notizia. Anche in quella conversazione mi aveva regalato qualche commento dei suoi, ironici, ma mai livorosi.Aveva un riguardo per il prossimo che non ritroverò in nessun altro collega. Anche quando si doveva occupare di inchieste che penetravano nella vita delle persone si premurava, prima ancora di raggiungere il risultato, di non travalicare mai il limite del rispetto. Sarà per questo che dopo aver iniziato la sua carriera nel giornalismo investigativo aveva poi spostato le sue migliori energie nella scrittura letteraria, nei romanzi noir, un settore in cui era considerato uno dei migliori talenti emergenti. Era nei suoi personaggi che poteva approfondire al meglio l’aspetto psicologico, le sfumature dei caratteri delle persone, le loro fragilità, i loro lati oscuri. Gianluca aveva perso il padre da bambino ed era rimasto da solo con la dolcissima madre. Ma quel lutto mi ha sempre dato l’impressione che gli avesse lasciato il segno. Negli anni ’90 aveva abbandonato il popolare quartiere di San Fruttuoso, dove era cresciuto, per andare a studiare e lavorare a Londra e poi per tentare la fortuna a Milano. Aveva vinto una borsa di studio per il master di giornalismo della Mondadori, aveva conquistato un premio dell’Unione europea con il libro inchiesta Le cellule della speranza, si era buttato, con la consueta passione, a studiare i legami tra criminalità e calcio. Poi i romanzi, la trasfusione nel suo alter ego Gabriele Sarfatti, protagonista di una trilogia. Nella sua opera, che qualcuno paragona a quella di Giorgio Scerbanenco, un occhio di riguardo era sempre rivolto agli sconfitti, ai Perdenti, come era intitolato il suo ultimo libro. Il penultimo per la verità, perché in ospedale ha cercato con l’aiuto del suo agente di completare un nuovo testo, che, credo, uscirà postumo. E che sarà impossibile non leggere immaginando in sottofondo la sua lieve e meravigliosa còccina genovese.Aveva tre grandi amori Gianluca: la compagna Laura, giornalista come lui, sposata in ospedale, la mamma Osvana con i suoi manicaretti e il Genoa, che ogni volta che poteva andava a tifare in quello stadio che porta il suo stesso cognome. In uno dei suoi ultimi messaggi mi aveva dato l’ennesima lezione: «Dice (la psicologa) che tutti vogliono tre cose in questo momento: niente sofferenza fisica, niente rimpianti e conti in sospeso e le persone che si amano di più accanto. E io tutto questo ce l’ho». Il 23 dicembre scorso, già sfibrato dalla malattia, aveva detto addio alla Mondadori e in un suo post, aveva «lasciato la parola» a Francesco Guccini: «Ho tante cose ancora da fare, tante da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto». Sì Gianluca, a culo tutto il resto.
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
Rifugiati attraversano il confine dal Darfur, in Sudan, verso il Ciad (Getty Images)
Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.