2023-11-17
Il crollo dell’ex Fiat anche in Borsa. Da sola Ferrari vale più di Stellantis
Il Cavallino è di nicchia e incide poco sul Pil eppure ha superato il colosso dell’auto.La Ferrari scavalca Stellantis. Adesso occupa il secondo posto per valore di mercato alla Borsa di Milano. Il gioello di Maranello capitalizza 64 miliardi di euro. Il colosso italo-fancese 62,6 miliardi. In testa alla classifica c’è Enel con circa 70 miliardi. Se il titolo Ferrari continuerà a salire alla velocità attuale potrebbe scavalcare il colosso elettrico. Magari facesse lo stesso Leclerc con Verstappen. La novità deve far riflettere: una fabbrica di automobili di gran lusso che produce 13.000 auto l’anno (ma fino a pochi anni fa erano meno 10.000) potrebbe essere fra qualche settimana il titolo di maggior valore della Borsa di uno dei Paesi del G7. Si potrà sempre obiettare che Piazza Affari non rispecchia il panorama industriale dell’Italia essendo piccola e, fino a qualche anno fa neanche tanto ben frequentata. Tutto vero. Ma il tema resta. Soprattutto nel confronto con Stellantis. Sempre più evidente che John Elkann ha deciso di tenersi il gioiello di color rosso lasciando ai francesi il compito di gestire il problematico futuro dell’azienda che un tempo si chiamava Fiat e poi Fca. La situazione di oggi è la seguente: la Ferrari, nel suo unico stabilimento in provincia di Modena con 5.000 dipendenti contribuisce ad una creazione valore maggiore di Stellantis, quarto costruttore mondiale di auto, con decine di stabilimenti in tutto il mondo e 86.000 dipendenti.Poi si potranno fare mille precisazioni e spaccare il capello in otto: ma la realtà è questa. Com’è potuto succedere? Dalle fabbriche italiane della Fiat uscivano 2 milioni di auto l’anno. Adesso a stento si arriva 600.000. La Fiat era una parte determinante del Pil italiano. Addirittura essenziale. Enrico Cuccia, gran patron di Mediobanca non aveva dubbi: «Quello che va bene alla Fiat va bene anche all’Italia». Tutto questo ora non c’è più. Il Cavallino Rampante regalato dalla madre di Francesco Baracca disegnato sul cofano ha un peso sul Pil italiano pari a zero. Molto emozionante, per carità, ma poi? Tutto molto glamour ma di consistenza economica molto limitata. Eco mediatica immensa: una Ferrari Gto del 1962 è stata venduta la settimana scorsa a 51,7 milioni di euro. E non importa se quelle auto erano tanto potenti quanto inguidabili. Cambio impossibile, frizione durissima, abitabilità problematica. Attorno a quei motori però è stato costruito il Mito. Nel frattempo la Fiat è stata demolita. Certo ci sono stati errori imprenditoriali colossali (su tutti il licenziamento di Vittorio Ghidella, padre della Punto e della Thema) il cui costo è stato costantemente scaricato sulla collettività. Oggi i veri azionisti del gruppo dovrebbero essere i contribuenti italiani. Tutto questo, con la complicità di partiti, governo (Prodi che ferma il passaggio dell’Alfa alla Ford) e del sindacato. A cominciare da Maurizio Landini che ormai preferisce farsi intervistare a giorni alterni dai giornali del gruppo Agnelli anzichè affrontare i problemi delle fabbriche del gruppo Agnelli. E forse non è nemmeno la peggior tragedia. Quando si è occupato di Fiat è stato dalla parte sbagliata. Come dimenticare Landini segretario generale della Fiom in lotta con Sergio Marchionne con scioperi e ricorsi in tribunale senza capire che aveva di fronte l’ultimo difensore delle fabbriche italiane del gruppo (lo stabilimento di Termini Imerese che fu chiuso era stato un azzardo fin dall’inizio). Non a caso la fioritura di Ferrari nasce proprio dalla decisione del supermanager italo canadese di darle vita autonoma lontano dal resto. Eppure la storia della Cgil è in simbiosi con Mirafiori, la città industriale che al momento del massimo splendore contava 50.000 dipendenti. Il più grande impianto industriale d’Europa e forse del mondo. Intorno a quelle catene di montaggio sono state costruite le pagine più importanti della storia del sindacato e della sinistra italiana. Dall’autunno caldo del 1979 che segna l’inizio dell’egemonia sindacale in fabbrica fino alla marcia dei 40.000 che ne segna la fine. Oggi sono arrivate 15.000 mail agli impiegati per incentivarli a lasciare l’azienda. Sono gli eredi dei 40.000 del 1980. La rivalsa di Cgil, Cisl e Uil. La firma però è quella di Carlo Tavares, amministratore delegato Stellantis.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)