2021-09-16
Il covid si cura, ecco le prove
L'analisi di Mario Menichella prova l'importanza dei protocolli basati su medicinali efficaci. Però qui s'è preferito puntare solo sulle iniezioni, ostacolando i trattamenti domiciliari Ieri mi ha scritto una lettrice, Alessandra Boni, per segnalarmi che, grazie alle cure domiciliari, è guarita del Covid. Mentre mi stavo per rallegrare con lei, Daniele Capezzone mi informava di un rapporto pubblicato sul sito della fondazione Hume, a firma di Mario Menichella, dedicato proprio all'argomento delle cure domiciliari precoci. Nelle pagine interne trovate nel dettaglio i risultati dello studio, che qui io mi limito a riassumere. Nella sostanza, Menichella spiega, con documenti inoppugnabili e ben 130 riferimenti bibliografici, come le cure in casa, appena si manifestano i primi sintomi di coronavirus, siano indispensabili per evitare che il paziente finisca in ospedale e in terapia intensiva. In particolare Menichella, che oltre a essere nipote dell'ex governatore della Banca d'Italia, è un fisico e un divulgatore scientifico, ma soprattutto è un analista di dati, mette a confronto gli effetti ottenuti dalle cure domiciliari precoci e pubblicati su riviste autorevoli e quelli dovuti ai soli vaccini, guardando le conseguenze sulle ospedalizzazioni. Il confronto mostra non solo che grazie ai farmaci somministrati nella prima fase della malattia si ottiene un abbattimento dei ricoveri, ma che ormai, in diversi Paesi, la cura preventiva serve a evitare il peggio, senza dover ricorrere ai soli vaccini. Menichella spiega di aver approfondito ciò che il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri, il più importante centro di ricerca farmacologica italiana, già all'inizio dell'estate descriveva citando cifre e studi. In pratica, analizzando i dati, lo studioso che collabora con la fondazione Hume si è reso conto che si possono raggiungere ottimi risultati con cure domiciliari basate su farmaci con un basso profilo di rischio. Vi sembra l'uovo di Colombo? Forse lo è, ma in tv, i vedovi inconsolabili del Covid, quelli che si sono costruiti una carriera grazie alla pandemia e faticano a confortare l'opinione pubblica preferendo continuare a spargere allarmi, evitano di parlarne, sponsorizzando terze e quarte dosi anche se nessuno, neanche gli esperti israeliani che per primi si sono avventurati nella rivaccinazione di chi si è già vaccinato, sa dire se siano utili oppure no. L'analisi di Menichella, al contrario, fa capire come sia importante avere un serio protocollo di cure domiciliari precoci, ovvero avere delle linee guida validate dall'Aifa e dal ministero della Salute da distribuire ai medici di base, perché possano prescrivere i farmaci sin dalla prima diagnosi di Covid, senza attendere dunque che il paziente peggiori e finisca in ospedale, dove spesso arriva in condizioni ormai estreme che rendono impossibile qualsiasi cura. Purtroppo, come è a tutti noto, noi non disponiamo di indicazioni precise, ma di una specie di invito alla rassegnazione o se volete a qualcosa di simile a un segno della croce, che il malato dovrebbe farsi quando scopre di essere stato contagiato. Stiamo parlando della famosa prescrizione basata sulla tachipirina e la vigile attesa. Queste sono state le indicazioni fin dal principio, quando ancora non si sapeva quasi nulla dell'epidemia di coronavirus, cioè quando Roberto Speranza rassicurava tutti che non sarebbe arrivata in Italia e sconsigliava la mascherina. Un anno e mezzo fa, la «vigile attesa», cioè il non far niente perché nessuno sapeva niente, si poteva forse capire, ma dopo 18 mesi no, la testardaggine con cui si insiste a somministrare il paracetamolo aspettando che qualche cosa accada, non solo non si comprende, ma è controproducente, come dimostrano i dati di Menichella, perché mette a rischio la vita dei pazienti. Il ricercatore non lo dice, ma lo fa intendere: se, dopo l'iniziale disorientamento, non si fosse adottato il «protocollo» della vigile attesa, ma si fosse scelto di curare i malati, probabilmente avremmo evitato molte vittime. Ormai i farmaci che funzionano contro il Covid sono sempre più numerosi, con sempre meno effetti collaterali. Non usarli, non consigliarli ai medici di base, i quali sono lasciati a loro stessi e in generale, da quando è scoppiata la pandemia, non visitano a casa i pazienti, si configura come una specie di «omissione di soccorso». Vi sembrano parole grosse? Beh, leggetevi nel dettaglio l'articolo di Capezzone che si rifà allo studio di Menichella e poi ditemi. Un'ultima cosa: Alessandra Boni, la lettrice guarita, la pensa alla stessa maniera e mi ha ricordato che il 24 aprile, dopo che il Tar aveva dato via libera alle cure domiciliari, Speranza ha ottenuto che il Consiglio di Stato ribaltasse la sentenza, ritornando alle cure con tachipirina e vigile attesa.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)