2021-03-13
Il ConteDraghi richiude l’Italia
Questo governo usa i decreti e non i dpcm, ma la sostanza è uguale: in un anno di pandemia Roberto Speranza e il Cts hanno la stessa soluzione: la serrata. Linea durissima fino a Pasqua, le zone gialle diventano arancioni, asili e scuole sbarrati in mezzo Paese. Il premier si fa vivo (senza domande): pronto altro extradeficit, pressing su ristori e vaccini. Tutti dentro, un'altra volta. Per ricordare l'anniversario del primo, omerico lockdown di Giuseppe Conte non c'è niente di più originale che rifarlo.Con il sorriso professionale di chi sta per venderti una giacca di due taglie più piccola («tanto lei dimagrisce di sicuro»), Mario Draghi ha battezzato i nuovi provvedimenti che somigliano pericolosamente a quelli vecchi, sulla base «delle evidenze scientifiche». E qui cominciamo a preoccuparci. Poiché un anno di sacrifici e prostrazioni ha evidenziato scientificamente che le chiusure isteriche servono a poco (nessuno può umanamente sostenere che 100.000 morti siano un successo); poiché i parametri sui quali si basano le decisioni sono 21 numeri ballerini, tre colori con sfumature magrittiane e soprattutto gli allarmismi mediatici, siamo di fronte ancora una volta a un atto di fede. Siamo davanti a qualcosa di messianico che dovrebbe metterci l'animo in pace e aiutarci a metabolizzare un'altra Pasqua in zona rossa. La credibilità di Draghi è certamente superiore a quella del docente di diritto privato di Volturara Appula, quindi se si presenta con l'idoletto in mano potremmo finire per grattarci la pera come avrebbe fatto Arthur Schopenhauer e poi provare a crederci. Ma pur sapendo che l'aggressività del virus va temuta, che l'imprevedibilità delle varianti va rispettata e che la saturazione delle terapie intensive sarebbe una tragedia, prendiamo atto che il nuovo governo non sta mostrando discontinuità nella strategia sanitaria. Perché trasformare le Regioni gialle in arancioni e quelle arancioni in rosse, più che un colpo d'ala è una trovata da marketing della paura. Non ci siamo spostati di un millimetro dal dogma dei virologi da talk show: chiudiamo adesso per salvare il primo maggio. Come accadde a novembre per (non) salvare il Natale, a gennaio per (non) salvare la settimana bianca e a febbraio per (non) salvare la Pasqua. Pure con una coda inquietante nel discorso del premier al Centro vaccinale di Roma: «I sacrifici sono necessari per evitare un peggioramento che renderebbe inevitabili provvedimenti ancora più stringenti». Il commercio è in ginocchio, le piccole imprese sono in bilico, le città sono ridotte a ghost town e noi restiamo appesi all'anatema di Walter Ricciardi («Il lockdown permanente è bello») come Romano Prodi 15 anni fa a quello di Tommaso Padoa Schioppa sulle tasse. Purtroppo la ripartenza è lontana e il «dobbiamo tornare a vivere» che sembrava essere il claim della stagione Draghi rimane una buona intenzione che lastrica le vie dell'inferno economico. Serviva uno scossone e si è visto nello stile, nell'aderenza alla politica del fare (soprattutto Giancarlo Giorgetti e Renato Brunetta hanno pigiato sull'acceleratore nei loro rispettivi ministeri), nell'abbandono della pratica incostituzionale dei dpcm, nell'affrontare le priorità vaccinali, nel rapporto con il Paese reale e con l'Europa. Ma nella gestione della pandemia siamo al giorno uno, con un reset di tutto tranne che delle cattive abitudini. Siamo ancora succubi del riflesso pavloviano «contagi uguale chiusure», che affonda le radici nel più grave peccato originale del nuovo corso: la permanenza di Roberto Speranza alla guida dell'ambulanza. Il ministro della Salute laureato in scienze politiche, con fregole letterarie, timoroso di suo, punta di diamante di un partito (Leu) che non esiste, incapace in 12 mesi di dettare le regole dell'emergenza pandemica, senza un piano strutturale da applicare (era fermo al 2006), senza l'umiltà di imparare da esempi esteri meno chiusuristi, continua a galleggiare sull'emergenza con una sola soluzione: gli arresti domiciliari. Confermarlo nel ruolo ha significato per Draghi affidarsi a uno dei maggiori responsabili politici del disastro, dare continuità al peggio. Napoleone Bonaparte aveva una fissazione: «Non mi bastano i generali bravi, li voglio fortunati». Ecco, sarebbero andati bene tutti tranne il teorico d'una iellata passività della serie «l'intervento è riuscito ma il paziente è morto». Invece lui è ancora sulla tolda e l'équipe che fa scorrere il catenaccio oggi è la stessa di ieri: il Cts della Speranza, titolo di una brutta serie tv. Cupi, monocordi, meno evoluti di Galeno, un anno dopo gli scienziati del Comitato tecnico scientico paiono burocrati stanchi e meriterebbero una vacanza. Su 20 membri solo uno (Giuseppe Ippolito) è specializzato in malattie infettive e un'inchiesta del nostro giornale ha rivelato che nelle graduatorie internazionali la maggioranza di loro è in zona retrocessione per curriculum. Stando ai numeri, il ministro non si è affidato al meglio ma a un team prigioniero di una coazione a ripetere: «I contagi salgono e io chiudo», l'Rt conta ma solo quando sale, le regioni sbagliano a prescindere, il prossimo picco sarà sempre il peggiore. Il Paese è sfinito, la politica dei ristori è perdente, i genitori hanno saputo che dovranno gestire a casa anche i bambini più piccoli (chiusi pure gli asili nido) mentre lavorano in smart working o tengono aperto un negozio senza clienti. Se sarà un mezzo disastro dovrà intestarselo il premier che per la partita più dura ha confermato una squadra perdente. Tutti dentro un'altra volta, ma lasciamo perdere le «evidenze scientifiche». Dopo un anno di strazi e di inganni siamo diventati come Sancho Panza, preferiamo conoscere prima la soluzione e poi l'indovinello.
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