
Dopo che Messico, Cina, Russia e Cuba hanno annunciato il loro sostegno a Nicolás Maduro, l'Occidente rischia di finire in minoranza all'Onu. Se America ed Europa si tireranno indietro scivoleranno verso l'irrilevanza.Aumenta il rischio che, nonostante il sostegno degli Stati Uniti e del Brasile, la mobilitazione pro democrazia in Venezuela venga repressa con violenza dal regime dittatoriale di Nicolás Maduro rinforzato da sostegni politici e militari esterni. Come aiutare le forze democratiche venezuelane nonché evitare una guerra civile?Parecchie nazioni democratiche che inizialmente avevano dato un forte sostegno alla ribellione contro la dittatura dei venezuelani sono diventate più caute perché Cina, Russia, Cuba e Messico hanno fatto intendere che la difenderanno. L'Europa ha dato un ultimatum chiedendo nuove elezioni, ma la richiesta potrebbe essere percepita come non abbastanza dura. Donald Trump mantiene aperte tutte le opzioni, ma evidentemente sta valutando il rischio di ingaggiare l'America in un sostegno diretto alle forze democratiche che implicherebbe una condanna mondiale. Il problema: la carta fondativa dell'Onu difende la sovranità delle nazioni, ma non la democrazia in una nazione. Pertanto un regime autoritario già insediato può ricevere sostegni militari esterni per difendersi e reprimere mentre l'aiuto a un movimento pro democratico emergente, anche quando sostenuto da una massa prevalente di cittadini come nel caso del Venezuela, sarebbe imputabile di violazione dello statuto dell'Onu. Non automaticamente. Ma la Cina ha comprato una gran quantità di voti all'Onu, a partire dal 2007 quando ha inaugurato il seguente scambio con molti regimi autoritari del Pianeta, particolarmente in Africa: Pechino li difenderà in cambio della gestione delle loro risorse e voto all'Onu. Si aggiungano altri regimi autoritari, nazioni democratiche condizionate a restare passive e alla fine si troverà che all'Onu le democrazie e la democratizzazione sono minoranza. Poiché in Venezuela il movimento pro democratico ha bisogno di sostegno esterno per difendersi dalle truppe speciali russe e cubane, e forse iraniane, inviate nelle ultime ore per aiutare quelle locali maduriane nella repressione, appare necessario fare del Venezuela il caso che compatti le democrazie del globo e crei a livello mondiale il fronte del capitalismo democratico contro quello autoritario.Sono un irresponsabile «neocon» nell'invocare una tale organizzazione offensiva della pressione democratizzante che potrebbe portare a un conflitto armato globale, trasformare il Venezuela in un luogo di guerra «proxy» tra i due schieramenti? Il punto realistico è che se si costruisce una forza poi si può graduarla pragmaticamente mentre una debolezza comporta accettazioni e sconfitte fino al punto di dover reagire con massima violenza per evitare le sconfitte stesse. In sintesi, la debolezza crea rischi maggiori della forza. Un secondo punto riguarda la dimensione morale del pensiero politico. Il mio contributo alla ricerca in materia è quello di unire etica e utilità. Per la stabilità e ricchezza di una democrazia è utile che il mondo delle democrazie si espanda sempre di più e che vi sia una convergenza economica e geopolitica tra loro: tale vantaggio coincide con la missione morale di estendere la libertà individuale, caricandola con accessi alle opportunità di ricchezza per tutti, cioè al capitalismo di massa. Nei regimi autoritari, dove il povero non vota, la ricchezza è per pochi. Per tale motivo il capitalismo democratico è buono mentre quello autoritario, dove la ricchezza è per pochi, è cattivo. E la guerra? Ripeto, la forza può essere graduata per minimizzarla, mentre la debolezza implica sconfitta o reazione estrema per evitarla. Pertanto le democrazie devono costruire una forza, che ora non c'è, talmente imbattibile da dissuadere i regimi autoritari ad accendere conflitti e calibrare la pressione democratizzante per tale scopo. Ritengo il Venezuela un primo luogo di sperimentazione di un'alleanza tra democrazie, istituzionalizzata fuori dall'Onu - spero con il nome di Free community (Libera comunità) - che sostenga sia il ripristino della democrazia dove è stata sospesa da dittature sia la graduale democratizzazione delle circa 200 nazioni del Pianeta con intelligenza pragmatica, ma anche determinazione, iniziando da una convergenza euroamericana per tale missione che sarebbe un complesso di forza militare ed economica maggiore della Cina e costringerebbe la Russia a riflettere più a fondo sulla sua collocazione internazionale. Non voglio qui entrare in dettagli operativi su come sconfiggere Maduro e allo stesso tempo evitare una guerra civile o minimizzarla, ma mi permetto di chiedere ai lettori espressioni che incitino la politica italiana ed europea all'interventismo pro democratico in Venezuela, dando all'America almeno un sostegno politico per la sua pressione democratizzante, alla Cuba comunista un segnale che se esagera sarà il prossimo caso e all'ambiguo Messico che se vuole rispetto deve favorire la rimozione di Maduro invece di ostacolarla.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






