2022-07-10
Il cedro del Libano immerso nel cuore di Reggio Emilia
L’arbusto che svetta nel parco del popolo ha almeno 130 anni. Con l’ombra dei suoi rami, allieta le passeggiate nel verde.Della mia vita di prima non resta molto: un album di polaroid, due fotografie in bianco e nero del matrimonio dei miei, un vestito e qualche ricordo. Ma anche i ricordi nel tempo sbiadiscono, o quantomeno, i miei ricordi nel tempo sono sbiaditi. I volti si sono sfocati. Le voci sono scomparse. Non la ricordo più la voce di mia madre, e non ricordo nemmeno la voce di mio padre. Credo di averle sostituite con le voci di altre persone che ho conosciuto in questa mia chiamiamola seconda, o nuova vita.Molte persone si chiedono chi sono. Chi sei tu? Tu, con le tue manie, con le due bustine di zucchero nel caffè americano che ogni mattino vai a ordinare al bar sotto casa, o allo Starbucks nel palazzo dietro l’ufficio. Con i tuoi libri di Harry Potter che hai comprato proprio quando sono usciti e hai partecipato a quelle lunghe notti di attesa e di lettura dei nuovi capitoli, e poi hai fatto la fila col cestino di pop-corn alla prima proiezione del primo giorno del film? Tu, che preferisco il blu oltremare, tra tutte le sfumature di azzurro e di celeste e di blu soltanto blu oltremare. E i tuoi abiti, e le tue marche preferite, e le tue serie televisive preferite, i gatti e non i cani, i cani mai e poi mai…E poi beh, le tue idee politiche, come la pensi su questo e su quello, il quotidiano che leggi, la casa editrice che pubblica i libri che preferisci, la casa discografica che produce la musica che sta nel tuo cuore. Il tuo architetto preferito, i tuoi film, la tua fotografa preferita, e gli artisti che adori, la città dove più ti piace tornare, insomma sei tutto questo, o no? Che odio poi quelle persone che ti dicono: «Ma cosa vuoi che cambi?!». Una cosa o l’altra, quasi come quelli che dicono che i politici sono tutti uguali, e certo, come dire che gli uomini sono tutti uguali, che i ragazzi vogliono tutti la stessa cosa. E noi donne tutte...La mia vita mi piace, certo non assomiglia molto alla vita che mi immaginavo quand’ero ragazzina, a Zagabria, quando seguivo mia madre la domenica mattina alla messa nella chiesa di San Francesco. I nostri posti erano quasi sempre nella stessa panca sul fondo, a destra, accanto all’affresco di San Francesco che parla coi pesci. La mamma mi ripeteva sempre le frasi di San Francesco, era il suo santo preferito, non ho mai capito la ragione. Pensa a San Francesco col lupo di Gubbio, mi diceva. Pensa a San Francesco con le rondini ad Aviano. Pensa a San Francesco e il bastone di cipresso che pianta a terra laddove sarà costruito il monastero di Verucchio. Pensa San Francesco che piange ai piedi dei faggi a La Verna. Posso dire di aver conosciuto l’Italia da questi nomi che mamma mi ripeteva e che riguardavano la storia di San Francesco. Forse è anche per questo che sono venuta in Italia, quando ho potuto, e che ci sono rimasta. Se in un paese poteva vivere un uomo che parlava con le rondini, che ammaestrava lupi, e che poteva dialogare coi pesci appena arrivato al mare, forse, la vita sarebbe stata bella, piacevole, quantomeno curiosa. E poi Francesco: non senti come suona bene, è un nome che ti concilia con le cose, con la vita, Ciao Francesco, Come stai Francesco, Ti voglio bene Francesco.Inutile aggiungere che il mio moroso si chiama proprio Francesco. Ci siamo conosciuti, pensa, sotto un albero. Io lavoro come donna dei mestieri nella casa di un’anziana docente di lettere, si chiama Santina, ha insegnato tutta la vita proprio qui a Reggio Emilia, e ancora adesso in strada c’è chi si ferma a salutarla. Magari sono persone più grandi me, oppure ragazzi di vent’anni che al liceo l’hanno avuta. È in pensione da cinque anni, io lavoro con lei da tre. Nei mesi di maggio e giugno, quando gli scherzi primaverili oramai sono finiti e quando non fa ancora così caldo come in estate, all’ora di pranzo, usciamo di casa e arriviamo al Parco del Popolo, proprio nel centro di Reggio. Qui ci andiamo a sedere sul muretto che circonda un grande albero che domina i giardini. Spesso incontriamo un gruppo di donne tutte bionde che vengono qui a ritrovarsi e parlare dei loro problemi. Sono bionde come me e vengono dall’Est.«Sono del tuo stesso paese?», Mi chiede Santina.«No, sono polacche». «Quindi lingue diverse».«Eh sì, lingue diverse, modi diversi, due storie molto diverse».«Capisco. Magari comunque potresti conoscerle, mi sembrano delle brave persone». Paiono brave persone anche a me. Vedremo.Santina si preoccupa sempre per me, crede che tutti gli immigrati siamo sempre soli, soprattutto noi donne, ma non è così. Io mi sono trovata benissimo in Italia, ci vivo proprio bene e non tornerei mai indietro. E poi amo questo lavoro, mi piace fare i mestieri nelle case e prendermi cura, per quanto posso, di coloro che sono giunti all’ultima stagione della propria vita. Non farei nessun altro lavoro. Mi piace Reggio, come città, non è grandissima, ma c’è tutto, o quantomeno tutto quel che oggi mi occorre. E poi ci lavora e ci vive anche Francesco, il mio Francesco.«Quest’albero che ci protegge è molto grande». «Sai che albero è?».«No, non capisco niente di alberi».«I botanici lo chiamano Cedrus libani, cedro del Libano. Hai presente la bandiera del Libano?».«Forse….«Come forse, o sì o no!».«Sì, quella che ha l’albero al centro».«Esatto, vedi che la ricordi? Bene, questi alberi vengono dalle montagne di quel paese, là ve ne sono di millenari». «E questo quanti anni ha?».Il Parco del Popolo è stato costruito nella seconda metà del XIX secolo, pochi anni dopo la nascita dell’Italia unita. Probabilmente è stato piantato in quegli anni, quindi potrebbe avere 130, 140 anni.Rimaniamo lì coi nasi alti e gli occhi sospesi, a fissare i suoi rami. I disegni che puoi seguire sulle cortecce. Le fronde disposte a varie altezze, e il sole che gioca con tutti questi verdi per modularne l’intensità. Un giorno si è fermato qui con noi un ragazzo, era stato uno studente della Santina. Così ci siamo conosciuti, e poi ci siamo rivisti. Il sole sprigiona un profumo di aghi di pino che aleggia nell’aria. Mi è sempre piaciuto questo odore di foresta, mi ricorda mio padre che ci portava, quando ero bambina, la domenica, ogni tanto, a camminare nei boschi del monte Samobor. Sono alberi che si assomigliano, ma quelli andavano su dritti, questo invece si apre come un fiore.