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2024-10-27
«Il capo di Fondazione Fiera vendeva dati segreti a tutti». Iscritti Arpe e Del Vecchio jr
Enrico Pazzali (Ansa)
L’inchiesta della Dda antimafia e della procura di Milano su quello che il procuratore Giovanni Melillo ha definito il «gigantesco mercato nero delle informazioni riservate», rischia di sollevare il gigantesco vaso di pandora delle agenzie di investigazione e di come vengono ottenuti e venduti dati sensibili o riservati. Sono lontani i tempi in cui gli investigatori privati si camuffavano con parrucche e nasi finti, provando a scoprire i segreti di mogli, parenti o dipendenti di azienda infedeli. Ora quello che conta sono solo i dati, che non vengono raccolti solo con trojan (o cimici) inseriti nei dispositivi elettronici (smartphone o pc), intercettazioni illegali o finti profili sui social network. Avere accesso abusivo alle banche dati strategiche nazionali - come lo Sdi che contiene i precedenti di polizia dei cittadini, o Serpico, Punto fisco, Anagrafe, Inps o ancora il sistema delle Sos di Bankitalia -, è un valore aggiunto che è possibile sfruttare per avere una clientela più ampia e soprattutto molto esigente. In teoria le agenzie dovrebbero sempre segnalare alla prefettura questo tipo di accessi, in modo anche da non accavallarsi con indagini delle forze dell’ordine. Ma negli ultimi anni avviene sempre di meno. E così c’è chi ne approfitta. Equalize, la società di consulenza attorno a cui ruota tutta l’inchiesta, forniva a chi si rivolgeva a loro, oltre a una fornitura di apparecchi di intercettazione all’avanguardia, un tariffario ben preciso a seconda dei report e delle informazioni richieste. I dossier potevano servire anche come ricatto. C’erano dei pacchetti base, definiti nell’ordinanza di custodia cautelare come Tips che valevano 1000 euro, i Kyc invece costavano 5000, mentre gli Eidd arrivavano a costare 15.000 euro. A detta degli inquirenti quelli che costavano di più contenevano sempre informazioni acquisite illecitamente, mentre i Tips solo alcune. Per di più Equalize aveva una piattaforma denominata Beyond, capace di raccogliere tutti i dati raccolti e assemblarli anche tramite intelligenza artificiale. Non solo. L’agenzia era anche capace di «mimetizzare» le informazioni «illegali», in modo tale da renderle spendibili tanto che veniva anche millantata un’autorizzazione da parte del ministero degli Interni. E’ un giro d’affari da decine di milioni di euro. La procura ha messo sotto indagine più di 50 persone per i reati, tra gli altri, di associazione per accesso abusivo al sistema telematico, atti di corruzione, intercettazione illecita e persino detenzione illecita di apparecchi per le intercettazioni. È indagato Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano ma soprattutto azionista di maggioranza di Equalize.È finito ai domiciliari Carmine Gallo, storico poliziotto della mobile di Milano (famoso per indagini su ’ndrangheta, delitto Gucci e liberazione di Alessandra Sgarella), una vita in procura al fianco di magistrati come Alberto Nobili, marito di Ilda Boccassini. «Se ti faccio vedere i report di Enrico (...) ne ho fatti a migliaia ho fatto di report a Enrico» spiegava in un’intercettazione proprio Gallo. Era lui, a detta degli investigatori, la persona capace anche grazie alla sua rete di conoscenze nel settore della polizia giudiziaria, ad avere accesso a qualsiasi tipo di dato e a preparare dossier molto approfonditi. È lui a parlare spesso della piattaforma Beyond ai clienti e a rassicurarli sui dati che «non sono pubblicamente disponibili ma sono pubblici… devi solo andarli a cercare negli uffici[...]». Il lavoro di Gallo, considerato dai pm «il braccio operativo» e uno dei capi dell’associazione, sarebbe stato proprio quello di portare avanti le indagini, sia con i tecnici di Equalize ma soprattutto grazie alle entrate nella polizia di Stato (come Marco Malerba sovrintendente di polizia a Rho-Pero) come anche con l’aiuto di marescialli della Guardia di Finanza, tra cui Giuliano Schiano (in forza alla Dia di Lecce). L’altro vero protagonista dell’indagine è Nunzio Samuele Calamucci, classe 1979, (anche lui ai domiciliari) capace di utilizzare un gruppo di hacker per ottenere ogni tipo di informazione e coordinava tutte «le attività criminose del sodalizio». È proprio Calamucci, in un’intercettazione, a dire di «tenere in mano il Paese. Tutta Italia inculiamo». Calamucci sa muoversi molto bene tanto da utilizzare il Ced Interforze del Ministero dell’Interno per consultare le banche dati ministeriali. Anzi, si legge nell’ordinanza, «dimostra di conoscere tutti i dettagli della relativa infrastruttura informati ca e, tramite i propri “ragazzi”, ha accesso, come si è visto, anche a sezioni che nemmeno tutte le Forze dell’ordine possono consultare». È sempre Calamucci a spiegare ai suoi interlocutori come creare account falsi sui social network «al fine di acquisire dati e informazioni delle persone oggetto dell’attività di dossieraggio» in modo da entrare direttamente nei profili degli spiati. «Ti fai un profilo fake con scritto “Lina Dambroge”» spiega Calamucci intercettato «ti logghi su, quella vede l’amicizia per sbaglio, è matematico che te la dà per sbaglio. Come te la dà, magari poi ti fa blocca basta ma l’importante è che te la dà una volta sola o che va a vedere il tuo profilo, se ti vede il tuo profilo per diritto noi possiamo vedere il suo...». Grazie al loro lavoro si erano ritagliati una certa fama nel settore, tanto da aver costruito una «di una rete relazionale di livello, costituita da imprenditori, manager di importanti industrie, persone del mondo della politica e dello spettacolo, attraverso la quale la Equalize» ha «progressivamente costituito un importante bacino di clientela». Tra gli indagati compare anche Leonardo Maria Del Vecchio, uno dei sei figli del fondatore di Luxottica, o il banchiere Matteo Arpe, insieme con il fratello Fabio.
Tra i cari più eclatanti c’è quello legato a Barilla. Quando la storica azienda di pasta italiana avrebbe contattato Equalize per acquisire illecitamente dati del traffico telefonico di alcuni dipendenti, sospettati di aver passato informazioni a un giornalista di Milano Finanza per un articolo sul cambio dell’amministratore delegato Claudio Colzani con Gianluca Tondo. È Giuseppe De Angelis, ex questore di Como, a mettere in contatto gallo con il responsabile della sicurezza di Barilla, ovvero Maurizio D’Anna.
I due avvieranno una serie di incontri per portare avanti l’incarico e anche per fornire a Barilla la piattaforma Beyond. C’è poi la questione legata a Erg, azienda che decide di affidarsi a Equalize, per alcune intercettazioni illegali sui dispositivi in uso ad alcuni dipendenti dell’azienda, «sospettati di effettuare operazioni di trading online abusando delle informazioni acquisiste nell’ambito del rapporto lavorativo». A parlarne a Gallo è un dirigente di Erg che, dopo aver ricevuto una lettera anonima, avverte l’ex superpoliziotto che in azienda un gruppo di persone utilizza la piattaforma di trading online Ig Europe. Cosa che verrà effettivamente scoperta dagli investigatori privati che sul lavoro erano, a quanto pare, imbattibili.
Il protagonista dell’indagine
«Non riesco a crederci». Chi ha conosciuto Enrico Pazzali ha commentato con stupore la notizia dell’indagine che potrebbe travolgere la sua carriera di manager che lo ha portato ad essere un possibile candidato alla successione di Domenico Arcuri al vertice di Invitalia. Sessant’anni, Pazzali è al vertice della Fondazione Fiera Milano dal luglio del 2019. È quindi sotto la sua guida che è nato l’ospedale Covid nei padiglioni della Fiera. Dal 2009 al 2015 il manager era stato amministratore delegato di una controllata della Fondazione, la Fiera di Milano Spa, poi 5 anni a Roma, al vertice di Eur Spa, controllata del Mef e del Comune di Roma che gestisce il patrimonio immobiliare dell’omonimo quartiere, compresa la «Nuvola di Fuksas». Pochi mesi prima del suo ritorno a Milano Pazzali fonda la Equalize Srl, della quale detiene il 95% delle quote, con le restanti in mano all’ex poliziotto Carmine Gallo. Nell’inchiesta sulle banche dati hackerate la Procura di Milano lo accusa nell’inchiesta sulle banche dati hackerate perché avrebbe voluto «danneggiare l’immagine dei competitors» o degli «avversari politici» suoi o di «persone a lui legate». Nell’ordinanza si legge infatti che Pazzali avrebbe dato incarico ad altri indagati di «introdursi abusivamente nei telefoni, pc e tablet di giornalisti economico-finanziari», del presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini e del suo consulente per le relazioni istituzionali in via Goito, Guido Rivolta. Sarebbero stati attenzionati anche i dispositivi del giornalista di Repubblica Giovanni Pons. Spiati anche ci sono il presidente del Milan ed ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni e il giornalista come Giovanni Dragoni del Sole 24 Ore. Gli hacker avrebbero dovuto acquisire «informazioni sui contatti dei titolari di tali sistemi e sui loro spostamenti nonché esfiltrando, mediante utilizzo delle parole chiave “Pazzali”, “Eur”, “Fiera”, “Fontana” e “Bonomi”, le conversazioni WhatsApp intercorse tra loro e con terzi. Nello specifico, Pazzali richiedeva a Gallo l’abusiva acquisizione dei dati e delle conversazioni WhatsApp». Su richiesta del manager Gallo, l’ex superpoliziotto ora ai domiciliari nell’inchiesta della Dda di Milano e della Dna, avrebbe effettuato «accertamenti» su persone «vicine politicamente» a Letizia Moratti, quando era candidata alle Regionali lombarde del 2023. Per i pm, Pazzali, voleva «reperire qualche notizia» da banche dati «idonea a mettere in cattiva luce l’immagine di Letizia Moratti, favorendo così la candidatura di Attilio Fontana». Nelle intercettazioni i suoi presunti complici chiamavano Pazzali indifferentemente «zio bello», «il Capo», il «Presidente». Per i pm il manager milanese «ricopriva un ruolo di vertice all’interno del sodalizio, quale ideatore, promotore organizzatore dell’associazione» Secondo la Procura, In particolare, anche in virtù della fitta rete di relazioni e di conoscenze di cui godeva anche in ragione del proprio incarico di presidente di Fondazione Fiera Milano, Pazzali si occupava del procacciamento d’importanti clienti per la società Equalize». In un’intercettazione Gallo parla così del suo socio nella Equalize: « «Se ti faccio vedere i report di Enrico (...) ne ho fatti a migliaia ho fatto di report a Enrico». La Procura aveva chiesto per Pazzali una misura cautelare, ma il gip scrive nell’ordinanza che «non è necessaria» e che è «completamente ininfluente ai fini della prosecuzione, o meno, dell’attività criminosa». E sarebbe «unicamente» una «anticipazione del giudizio di merito e dell’eventuale condanna».
L’erede spiava fidanzata e familiari
Uno degli indagati eccellenti è di sicuro Leonardo Maria Del Vecchio che si sarebbe rivolto a Equalize per spiare i suoi famigliari e costruire dossier che potessero comprometterli nella battaglia sull’eredità del fondatore, morto nel giugno del 2022. Il ventinovenne è uno degli otto azionisti della cassaforte Delfin che custodisce EssilorLuxottica che in Borsa vale da sola più di 100 miliardi e di cui è chief strategy officer. Gli altri eredi del fondatore sono sua madre Nicoletta Zampillo e altri sei fratelli, quattro dei quali si sono appunto messi di traverso sull’eredità. Fra questi ultimi c’è il primogenito Claudio sul quale proprio Leonardo Maria avrebbe commissionato un falso dossier dove si raccontava anche di un transessuale accusato di crimini sessuali. Secondo i pm, in pratica, dietro questo falso rapporto della polizia di New York, ci sarebbe stato proprio Leonardo Maria che aveva l’obiettivo di a offuscare l’immagine di Claudio Del Vecchio, fratellastro dell’indagato e primogenito del fondatore. Nel finto atto informatico, realizzato da un altro indagato, «si dava atto, contrariamente al vero, di un controllo eseguito in quella città nei confronti di Claudio Del Vecchio nel mentre si trovava in compagnia di un cosiddetto “travestito”, di nome Ralph A. Thompson, registrato sul National sex offender public website del Dipartimento di giustizia americano (sito pubblico contenente la lista nazionale dei sex offender) per crimini sessuali». Allo stesso tempo il rampollo avrebbe fatto spiare anche la fidanzata Jessica Michel Serfaty, a cui il compagno, si legge in uno dei capi d’imputazione, avrebbe tentato nel giugno 2023 di far installare un trojan, un captatore informatico nel cellulare della donna. L’accordo, secondo i pm, «prevedeva l’esecuzione di intercettazioni telematiche attive illegali sul dispositivo telefonico in uso alla Serfaty, poi non eseguite per ragioni tecniche (si trattava di un IPhone di ultima generazione) che impedivano l’inoculazione del captatore informatico nel dispositivo stesso». Allo stesso tempo, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, sul dispositivo della donna vennero formati «falsamente i contenuti di conversazioni telematiche e informatiche apparentemente intercorrenti» tra lei e David Blaine, «illusionista di fama mondiale», in realtà creati ad arte. Tra gli spiati ci sono anche gli altri fratelli, Clemente Del Vecchio, Luca Del Vecchio, Marisa Del Vecchio e Paola Del Vecchio. Tra gli indagati c’è anche Marco Talarico, l’amministratore delegato della banca d’investimenti Lmdv capital di Del Vecchio jr che negli ultimi tempi è stata accostata al Twiga di Flavio Briatore. Nel portafoglio di Lmdv c’è anche altro. Per esempio una quota in Leone Film Group e il controllo di Boem la start-up nata per lanciare nuove bibite, dove ci sono soci anche i cantanti Fedez e Lazza, già noti per l’inchiesta sulle curve di Inter e Milan.
Secondo il suo difensore Maria Emanuela Mascalchi, Del Vecchio junior «sembrerebbe essere piuttosto persona offesa» e «altri sarebbero eventualmente i responsabili di quanto ipotizzato dagli inquirenti». E aggiunge: «ll dottor Leonardo Maria Del Vecchio attende serenamente lo svolgimento delle indagini preliminari che auspica si concludano rapidamente in modo da poter subito dimostrare la propria totale estraneità ai fatti e l’infondatezza delle accuse ipotizzate a proprio carico».
Il banchiere
Saranno gli ulteriori sviluppi dell’indagine della Dda di Milano a stabilire se il banchiere Matteo Arpe, indagato insieme al fratello Fabio è stato un semplice cliente inconsapevole della Equalize Srl o se invece i due fratelli erano consapevoli dei metodi illeciti (secondo la Procura) usati dagli investigatori della società fondata dal presidente della Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali e dall’ex poliziotto Carmine Gallo. Ai due fratelli Arpe vengono contestati, in concorso con Gallo e con altri 4 indagati, due accessi abusivi alla banca dati Sdi e tre accessi a quella dell’Agenzia delle entrate. Le intrusioni contestate, effettuate da un pubblico ufficiale che aveva le credenziali per ragioni di servizio, sarebbero risalenti al periodo tra settembre e dicembre 2022 riguardano i nominativi di Gianfranco Arpe, il defunto padre dei due fratelli e di Fulvia Giovanna Bergamaschi compagna dell’uomo. La contestazione più grave mossa a Matteo Arpe e al fratello riguarda però un vero e proprio presunto hackeraggio. Gli altri indagati si sarebbero infatti introdotti nei «sistemi informatici protetti da misure di sicurezza» della «Banca Bpm Spa filiale di Alessandria [..] o nella Banca Dati del sistema dell’anagrafe dei conti correnti acquisendo i dati informativi» contenuti, coperti da segreto d’ufficio «relativi alle informazioni bancarie riservate riguardanti i conti correnti di Fulvia Giovanna Bergamaschi». «Nello specifico» scrive il gip Fabrizio Filice, uno degli indagati «agiva collegato in videoconferenza, guidando Carmine Gallo e Gabriel Malerba i quali, tramite un computer istallato all’interno degli uffici della Equalize Srl accedevano agli archivi della banca». Arrivato alla soglia dei sessant’anni, Matteo Arpe è stato per anni l’enfant prodige del mondo bancario italiano. Alle spalle ha infatti una lunga carriera con ruoli di primo piano in Mediobanca, Lehman Brothers e Banca di Roma poi diventata Capitalia, di cui nel 2003, a 39 anni, è stato nominato amministratore delegato. Uscito nel 2007 dalla banca, dopo la fusione che ha portato alla nascita di Unicredit, Matteo Arpe ha poi fondato Sator, ora in liquidazione, il fondo di private equity azionista di Banca Profilo, messa in vendita da qualche anno e ancora in cerca di un acquirente. Alla base del cambio di rotta c’è stata una vicenda giudiziaria che per nove anni ha impedito al banchiere di fare il suo lavoro. Si tratta della condanna per il caso Ciappazzi-Parmalat, legata a un finanziamento del 2002 fatto dalla Banca di Roma al gruppo alimentare. Da poco Arpe ha riottenuto il requisito di onorabilità e in un’intervista ha detto che non pensa di andare in pensione. Il coinvolgimento nell’inchiesta sulle banche dati potrebbe però mettere un nuovo freno alla carriera del banchiere, che tramite il suo legale si è definito «stupito perché si è trattato di un incarico professionale della famiglia limitato a una vicenda privata successiva alla scomparsa del padre», verosimilmente legata a questioni inerenti la successione. Anche Banca Profilo risulta coinvolta nell’inchiesta, per un episodio non collegato a quello dei fratelli Arpe. Ieri l’amministratore delegato Fabio Candeli ha segnalato da parte sua di aver firmato con la società di investigazioni Equalize, al centro della vicenda, un regolare contratto.
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Riduci
Maxi inchiesta a Milano: Enrico Pazzali avrebbe ordinato accessi abusivi ad archivi ufficiali con un ex poliziotto e un finanziere. Banchiere e rampollo tra i loro presunti «clienti» Il manager che inventò l’ospedale Covid accusato di collezionare info sui «nemici»Il falso dossier sul fratello maggiore il figlio del patron di LuxotticaL’ex enfant prodige di Capitalia avrebbe fatto spiare dei conti correntiLo speciale contiene quattro articoliL’inchiesta della Dda antimafia e della procura di Milano su quello che il procuratore Giovanni Melillo ha definito il «gigantesco mercato nero delle informazioni riservate», rischia di sollevare il gigantesco vaso di pandora delle agenzie di investigazione e di come vengono ottenuti e venduti dati sensibili o riservati. Sono lontani i tempi in cui gli investigatori privati si camuffavano con parrucche e nasi finti, provando a scoprire i segreti di mogli, parenti o dipendenti di azienda infedeli. Ora quello che conta sono solo i dati, che non vengono raccolti solo con trojan (o cimici) inseriti nei dispositivi elettronici (smartphone o pc), intercettazioni illegali o finti profili sui social network. Avere accesso abusivo alle banche dati strategiche nazionali - come lo Sdi che contiene i precedenti di polizia dei cittadini, o Serpico, Punto fisco, Anagrafe, Inps o ancora il sistema delle Sos di Bankitalia -, è un valore aggiunto che è possibile sfruttare per avere una clientela più ampia e soprattutto molto esigente. In teoria le agenzie dovrebbero sempre segnalare alla prefettura questo tipo di accessi, in modo anche da non accavallarsi con indagini delle forze dell’ordine. Ma negli ultimi anni avviene sempre di meno. E così c’è chi ne approfitta. Equalize, la società di consulenza attorno a cui ruota tutta l’inchiesta, forniva a chi si rivolgeva a loro, oltre a una fornitura di apparecchi di intercettazione all’avanguardia, un tariffario ben preciso a seconda dei report e delle informazioni richieste. I dossier potevano servire anche come ricatto. C’erano dei pacchetti base, definiti nell’ordinanza di custodia cautelare come Tips che valevano 1000 euro, i Kyc invece costavano 5000, mentre gli Eidd arrivavano a costare 15.000 euro. A detta degli inquirenti quelli che costavano di più contenevano sempre informazioni acquisite illecitamente, mentre i Tips solo alcune. Per di più Equalize aveva una piattaforma denominata Beyond, capace di raccogliere tutti i dati raccolti e assemblarli anche tramite intelligenza artificiale. Non solo. L’agenzia era anche capace di «mimetizzare» le informazioni «illegali», in modo tale da renderle spendibili tanto che veniva anche millantata un’autorizzazione da parte del ministero degli Interni. E’ un giro d’affari da decine di milioni di euro. La procura ha messo sotto indagine più di 50 persone per i reati, tra gli altri, di associazione per accesso abusivo al sistema telematico, atti di corruzione, intercettazione illecita e persino detenzione illecita di apparecchi per le intercettazioni. È indagato Enrico Pazzali, presidente di Fondazione Fiera Milano ma soprattutto azionista di maggioranza di Equalize.È finito ai domiciliari Carmine Gallo, storico poliziotto della mobile di Milano (famoso per indagini su ’ndrangheta, delitto Gucci e liberazione di Alessandra Sgarella), una vita in procura al fianco di magistrati come Alberto Nobili, marito di Ilda Boccassini. «Se ti faccio vedere i report di Enrico (...) ne ho fatti a migliaia ho fatto di report a Enrico» spiegava in un’intercettazione proprio Gallo. Era lui, a detta degli investigatori, la persona capace anche grazie alla sua rete di conoscenze nel settore della polizia giudiziaria, ad avere accesso a qualsiasi tipo di dato e a preparare dossier molto approfonditi. È lui a parlare spesso della piattaforma Beyond ai clienti e a rassicurarli sui dati che «non sono pubblicamente disponibili ma sono pubblici… devi solo andarli a cercare negli uffici[...]». Il lavoro di Gallo, considerato dai pm «il braccio operativo» e uno dei capi dell’associazione, sarebbe stato proprio quello di portare avanti le indagini, sia con i tecnici di Equalize ma soprattutto grazie alle entrate nella polizia di Stato (come Marco Malerba sovrintendente di polizia a Rho-Pero) come anche con l’aiuto di marescialli della Guardia di Finanza, tra cui Giuliano Schiano (in forza alla Dia di Lecce). L’altro vero protagonista dell’indagine è Nunzio Samuele Calamucci, classe 1979, (anche lui ai domiciliari) capace di utilizzare un gruppo di hacker per ottenere ogni tipo di informazione e coordinava tutte «le attività criminose del sodalizio». È proprio Calamucci, in un’intercettazione, a dire di «tenere in mano il Paese. Tutta Italia inculiamo». Calamucci sa muoversi molto bene tanto da utilizzare il Ced Interforze del Ministero dell’Interno per consultare le banche dati ministeriali. Anzi, si legge nell’ordinanza, «dimostra di conoscere tutti i dettagli della relativa infrastruttura informati ca e, tramite i propri “ragazzi”, ha accesso, come si è visto, anche a sezioni che nemmeno tutte le Forze dell’ordine possono consultare». È sempre Calamucci a spiegare ai suoi interlocutori come creare account falsi sui social network «al fine di acquisire dati e informazioni delle persone oggetto dell’attività di dossieraggio» in modo da entrare direttamente nei profili degli spiati. «Ti fai un profilo fake con scritto “Lina Dambroge”» spiega Calamucci intercettato «ti logghi su, quella vede l’amicizia per sbaglio, è matematico che te la dà per sbaglio. Come te la dà, magari poi ti fa blocca basta ma l’importante è che te la dà una volta sola o che va a vedere il tuo profilo, se ti vede il tuo profilo per diritto noi possiamo vedere il suo...». Grazie al loro lavoro si erano ritagliati una certa fama nel settore, tanto da aver costruito una «di una rete relazionale di livello, costituita da imprenditori, manager di importanti industrie, persone del mondo della politica e dello spettacolo, attraverso la quale la Equalize» ha «progressivamente costituito un importante bacino di clientela». Tra gli indagati compare anche Leonardo Maria Del Vecchio, uno dei sei figli del fondatore di Luxottica, o il banchiere Matteo Arpe, insieme con il fratello Fabio. Tra i cari più eclatanti c’è quello legato a Barilla. Quando la storica azienda di pasta italiana avrebbe contattato Equalize per acquisire illecitamente dati del traffico telefonico di alcuni dipendenti, sospettati di aver passato informazioni a un giornalista di Milano Finanza per un articolo sul cambio dell’amministratore delegato Claudio Colzani con Gianluca Tondo. È Giuseppe De Angelis, ex questore di Como, a mettere in contatto gallo con il responsabile della sicurezza di Barilla, ovvero Maurizio D’Anna. I due avvieranno una serie di incontri per portare avanti l’incarico e anche per fornire a Barilla la piattaforma Beyond. C’è poi la questione legata a Erg, azienda che decide di affidarsi a Equalize, per alcune intercettazioni illegali sui dispositivi in uso ad alcuni dipendenti dell’azienda, «sospettati di effettuare operazioni di trading online abusando delle informazioni acquisiste nell’ambito del rapporto lavorativo». A parlarne a Gallo è un dirigente di Erg che, dopo aver ricevuto una lettera anonima, avverte l’ex superpoliziotto che in azienda un gruppo di persone utilizza la piattaforma di trading online Ig Europe. 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Nell’ordinanza si legge infatti che Pazzali avrebbe dato incarico ad altri indagati di «introdursi abusivamente nei telefoni, pc e tablet di giornalisti economico-finanziari», del presidente di Cdp Giovanni Gorno Tempini e del suo consulente per le relazioni istituzionali in via Goito, Guido Rivolta. Sarebbero stati attenzionati anche i dispositivi del giornalista di Repubblica Giovanni Pons. Spiati anche ci sono il presidente del Milan ed ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni e il giornalista come Giovanni Dragoni del Sole 24 Ore. Gli hacker avrebbero dovuto acquisire «informazioni sui contatti dei titolari di tali sistemi e sui loro spostamenti nonché esfiltrando, mediante utilizzo delle parole chiave “Pazzali”, “Eur”, “Fiera”, “Fontana” e “Bonomi”, le conversazioni WhatsApp intercorse tra loro e con terzi. Nello specifico, Pazzali richiedeva a Gallo l’abusiva acquisizione dei dati e delle conversazioni WhatsApp». Su richiesta del manager Gallo, l’ex superpoliziotto ora ai domiciliari nell’inchiesta della Dda di Milano e della Dna, avrebbe effettuato «accertamenti» su persone «vicine politicamente» a Letizia Moratti, quando era candidata alle Regionali lombarde del 2023. Per i pm, Pazzali, voleva «reperire qualche notizia» da banche dati «idonea a mettere in cattiva luce l’immagine di Letizia Moratti, favorendo così la candidatura di Attilio Fontana». Nelle intercettazioni i suoi presunti complici chiamavano Pazzali indifferentemente «zio bello», «il Capo», il «Presidente». Per i pm il manager milanese «ricopriva un ruolo di vertice all’interno del sodalizio, quale ideatore, promotore organizzatore dell’associazione» Secondo la Procura, In particolare, anche in virtù della fitta rete di relazioni e di conoscenze di cui godeva anche in ragione del proprio incarico di presidente di Fondazione Fiera Milano, Pazzali si occupava del procacciamento d’importanti clienti per la società Equalize». In un’intercettazione Gallo parla così del suo socio nella Equalize: « «Se ti faccio vedere i report di Enrico (...) ne ho fatti a migliaia ho fatto di report a Enrico». La Procura aveva chiesto per Pazzali una misura cautelare, ma il gip scrive nell’ordinanza che «non è necessaria» e che è «completamente ininfluente ai fini della prosecuzione, o meno, dell’attività criminosa». 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Gli altri eredi del fondatore sono sua madre Nicoletta Zampillo e altri sei fratelli, quattro dei quali si sono appunto messi di traverso sull’eredità. Fra questi ultimi c’è il primogenito Claudio sul quale proprio Leonardo Maria avrebbe commissionato un falso dossier dove si raccontava anche di un transessuale accusato di crimini sessuali. Secondo i pm, in pratica, dietro questo falso rapporto della polizia di New York, ci sarebbe stato proprio Leonardo Maria che aveva l’obiettivo di a offuscare l’immagine di Claudio Del Vecchio, fratellastro dell’indagato e primogenito del fondatore. Nel finto atto informatico, realizzato da un altro indagato, «si dava atto, contrariamente al vero, di un controllo eseguito in quella città nei confronti di Claudio Del Vecchio nel mentre si trovava in compagnia di un cosiddetto “travestito”, di nome Ralph A. Thompson, registrato sul National sex offender public website del Dipartimento di giustizia americano (sito pubblico contenente la lista nazionale dei sex offender) per crimini sessuali». Allo stesso tempo il rampollo avrebbe fatto spiare anche la fidanzata Jessica Michel Serfaty, a cui il compagno, si legge in uno dei capi d’imputazione, avrebbe tentato nel giugno 2023 di far installare un trojan, un captatore informatico nel cellulare della donna. L’accordo, secondo i pm, «prevedeva l’esecuzione di intercettazioni telematiche attive illegali sul dispositivo telefonico in uso alla Serfaty, poi non eseguite per ragioni tecniche (si trattava di un IPhone di ultima generazione) che impedivano l’inoculazione del captatore informatico nel dispositivo stesso». Allo stesso tempo, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, sul dispositivo della donna vennero formati «falsamente i contenuti di conversazioni telematiche e informatiche apparentemente intercorrenti» tra lei e David Blaine, «illusionista di fama mondiale», in realtà creati ad arte. Tra gli spiati ci sono anche gli altri fratelli, Clemente Del Vecchio, Luca Del Vecchio, Marisa Del Vecchio e Paola Del Vecchio. Tra gli indagati c’è anche Marco Talarico, l’amministratore delegato della banca d’investimenti Lmdv capital di Del Vecchio jr che negli ultimi tempi è stata accostata al Twiga di Flavio Briatore. Nel portafoglio di Lmdv c’è anche altro. Per esempio una quota in Leone Film Group e il controllo di Boem la start-up nata per lanciare nuove bibite, dove ci sono soci anche i cantanti Fedez e Lazza, già noti per l’inchiesta sulle curve di Inter e Milan. Secondo il suo difensore Maria Emanuela Mascalchi, Del Vecchio junior «sembrerebbe essere piuttosto persona offesa» e «altri sarebbero eventualmente i responsabili di quanto ipotizzato dagli inquirenti». E aggiunge: «ll dottor Leonardo Maria Del Vecchio attende serenamente lo svolgimento delle indagini preliminari che auspica si concludano rapidamente in modo da poter subito dimostrare la propria totale estraneità ai fatti e l’infondatezza delle accuse ipotizzate a proprio carico». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-capo-di-fondazione-fiera-vendeva-dati-segreti-a-tutti-iscritti-arpe-e-del-vecchio-jr-2669488127.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-banchiere" data-post-id="2669488127" data-published-at="1729971982" data-use-pagination="False"> Il banchiere Saranno gli ulteriori sviluppi dell’indagine della Dda di Milano a stabilire se il banchiere Matteo Arpe, indagato insieme al fratello Fabio è stato un semplice cliente inconsapevole della Equalize Srl o se invece i due fratelli erano consapevoli dei metodi illeciti (secondo la Procura) usati dagli investigatori della società fondata dal presidente della Fondazione Fiera Milano Enrico Pazzali e dall’ex poliziotto Carmine Gallo. Ai due fratelli Arpe vengono contestati, in concorso con Gallo e con altri 4 indagati, due accessi abusivi alla banca dati Sdi e tre accessi a quella dell’Agenzia delle entrate. Le intrusioni contestate, effettuate da un pubblico ufficiale che aveva le credenziali per ragioni di servizio, sarebbero risalenti al periodo tra settembre e dicembre 2022 riguardano i nominativi di Gianfranco Arpe, il defunto padre dei due fratelli e di Fulvia Giovanna Bergamaschi compagna dell’uomo. La contestazione più grave mossa a Matteo Arpe e al fratello riguarda però un vero e proprio presunto hackeraggio. Gli altri indagati si sarebbero infatti introdotti nei «sistemi informatici protetti da misure di sicurezza» della «Banca Bpm Spa filiale di Alessandria [..] o nella Banca Dati del sistema dell’anagrafe dei conti correnti acquisendo i dati informativi» contenuti, coperti da segreto d’ufficio «relativi alle informazioni bancarie riservate riguardanti i conti correnti di Fulvia Giovanna Bergamaschi». «Nello specifico» scrive il gip Fabrizio Filice, uno degli indagati «agiva collegato in videoconferenza, guidando Carmine Gallo e Gabriel Malerba i quali, tramite un computer istallato all’interno degli uffici della Equalize Srl accedevano agli archivi della banca». Arrivato alla soglia dei sessant’anni, Matteo Arpe è stato per anni l’enfant prodige del mondo bancario italiano. Alle spalle ha infatti una lunga carriera con ruoli di primo piano in Mediobanca, Lehman Brothers e Banca di Roma poi diventata Capitalia, di cui nel 2003, a 39 anni, è stato nominato amministratore delegato. Uscito nel 2007 dalla banca, dopo la fusione che ha portato alla nascita di Unicredit, Matteo Arpe ha poi fondato Sator, ora in liquidazione, il fondo di private equity azionista di Banca Profilo, messa in vendita da qualche anno e ancora in cerca di un acquirente. Alla base del cambio di rotta c’è stata una vicenda giudiziaria che per nove anni ha impedito al banchiere di fare il suo lavoro. Si tratta della condanna per il caso Ciappazzi-Parmalat, legata a un finanziamento del 2002 fatto dalla Banca di Roma al gruppo alimentare. Da poco Arpe ha riottenuto il requisito di onorabilità e in un’intervista ha detto che non pensa di andare in pensione. Il coinvolgimento nell’inchiesta sulle banche dati potrebbe però mettere un nuovo freno alla carriera del banchiere, che tramite il suo legale si è definito «stupito perché si è trattato di un incarico professionale della famiglia limitato a una vicenda privata successiva alla scomparsa del padre», verosimilmente legata a questioni inerenti la successione. Anche Banca Profilo risulta coinvolta nell’inchiesta, per un episodio non collegato a quello dei fratelli Arpe. Ieri l’amministratore delegato Fabio Candeli ha segnalato da parte sua di aver firmato con la società di investigazioni Equalize, al centro della vicenda, un regolare contratto.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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