2020-11-30
I ribelli del Covid
Dalle cene mattutine alle palestre nei parchi fino alla Dad in strada, monta ovunque la protesta creativa di chi non si arrende a fallire per lockdownLa leader dei commercianti toscani Anna Lapini: «Con incassi ridotti al 15% e spese che corrono, non possiamo rischiare il default per pagare le tasse: prima fornitori e dipendenti. Alcuni aspettano ancora la cassa integrazione»Lo speciale contiene due articoliTavole apparecchiate nelle piazze, cene spostate al mattino e aperitivi nel pomeriggio, decine di litri di birra versati nei tombini, sit in di studio davanti alle scuole, flash mob sportivi nei parchi e palestre che forniscono tamponi ai soci. Da Nord a Sud, mentre si avvicina il Natale e il governo è intenzionato a mantenere le chiusure, si sviluppano forme di protesta, dalle classiche manifestazioni con raduni organizzati sul Web a quelle più creative. Ma anche forme di resilienza da parte di chi, con grande flessibilità, ha cercato di adattarsi alle restrizioni tentando di arginare le perdite economiche. I ristoratori sono i più colpiti dal secondo lockdown, dovendo rinunciare alle cene che coprono circa l'80% degli incassi. Sul Web sono proliferate numerose iniziative con lo slogan «Adotta un ristorante» o «Adotta un bar» con appuntamenti in alcuni locali per colazioni programmate di gruppo, aperitivi anticipati o merende pomeridiane. A Mestre una cena di gala è stata proposta al mattino presto, con tanto di bollito e vino rosso e ospiti che si sono presentati in tuta o in pigiama perché ormai il lockdown ha anche fatto dimenticare il gusto di vestirsi per uscire. Un esempio, questo della colazione rinforzata versione anglosassone, seguito da tanti ristoranti e bistrot, che hanno rivisto i menù anche con un pizzico di creatività.Iniziative a metà tra la protesta e la ricerca alternativa per salvare un po' di incassi. Come l'esplosione dei servizi di asporto, perché se il cliente non può andare al ristorante è il ristorante che lo raggiunge a casa, con le formule più suggestive, dal box gourmet alla pizza fai da te, all'aperitivo che arriva a domicilio, freddo al punto giusto. Ma contro le chiusure c'è soprattutto la piazza. Oltre alle manifestazioni degenerate in scontri con la polizia, sono dilagate forme di protesta pacifiche e creative. Se il governo impone di sparecchiare alle 18, i ristoratori apparecchiano all'aperto. Così in 25 città, nelle piazze più famose, sono state stese a terra tovaglie bianche con tanto di piatti, bicchieri e posate. Davanti al Pantheon di Roma come al Duomo di Milano, in campo Santo Stefano a Venezia e a Santa Lucia a Napoli, con lo slogan «Siamo a terra», si sono dati appuntamento accanto ai proprietari dei ristoranti anche i camerieri e i cuochi, con i grembiuli e i cappelli che usano di solito davanti ai fornelli. A Napoli i manifestanti hanno consegnato all'ingresso di palazzo Santa Lucia un pacco regalo, destinato al presidente della Regione Vincenzo De Luca, con prodotti alimentari e un biglietto: «Ingresso sicuro». In Veneto, a seguito delle proteste dei commercianti, il presidente Luca Zaia ha modificato l'ordinanza anti assembramenti, rispetto alla prima stesura, accomunando i parametri per le grandi strutture di vendita oltre i 40 metri quadrati che avranno un cliente ogni 20 metri quadrati.A Roma la protesta è stata innaffiata da fiumi di birra. Ristoratori, proprietari di bar e pub hanno portato decine di fusti nelle piazze della movida della capitale e le hanno svuotate. Decine di litri sono stati versati da Trastevere a Campo de' Fiori, da San Lorenzo alla Garbatella al rione Monti. Fiumi di bionda sono stati gettati anche nei tombini davanti alla Regione Lazio: «Un simbolo di quello che siamo costretti a buttare e di quello che non si può più vendere», ha spiegato uno dei portavoce della protesta, Patrick Pistolesi del Drink Kong. Negli stessi giorni, un'altra categoria penalizzata dalle restrizioni, quella legata al mondo dei congressi e degli eventi, si è data appuntamento davanti a Montecitorio. A Cremona è stato celebrato il funerale del commercio: riposti dentro una bara grembiuli, pentole e chiavi dei locali. La bara è stata portata in spalla, in un corteo, dal Battistero fino alla piazza del Comune. L'esasperazione è stata messa in scena dopo oltre 100 giorni di chiusura da inizio pandemia e un fatturato ridotto fino all'80%. Sono sfilati volti noti dei locali della città, gli stessi che avevano manifestato il loro dissenso con la «pentolata» davanti alla prefettura e con la merenda a pane e salame.La protesta per la riapertura delle scuole ha visto in prima linea anche il cantautore prof, Roberto Vecchioni, con lo slogan «La scuola si fa a scuola» rimbalzato sul Web e fatto proprio dalle tante azioni di protesta degli studenti. Torino è diventata il megafono delle voci contro la Dad, la nuova sigla figlia del lockdown che sta a indicare la didattica a distanza. Hanno cominciato tre giovanissime, Anita e Lisa di fronte alla scuola media Italo Calvino e Maia davanti al liceo Gioberti in via Sant'Ottavio. Ogni giorno si presentano puntuali alle 8 del mattino con tavolini e quaderni davanti ai propri istituti per seguire le lezioni, nonostante siano state redarguite dai dirigenti scolastici perché la didattica a distanza è vietata in luoghi differenti dalla propria abitazione. A loro si sono uniti anche gli universitari. A Napoli gli studenti hanno disposto i banchi in piazza del Plebiscito in modo da formare la parola «No Dad» e hanno posto un cartello: «Scuola fantasma». Anche a Milano, davanti alla sede della Regione Lombardia, i ragazzi si sono radunati con computer portatili e tablet e hanno seguito le lezioni all'aperto.Protestano gli operatori del fitness. Palestre e piscine, dopo la riapertura estiva, sono state inserite tra le attività a rischio di propagazione del contagio. Non è ancora noto quando potranno riaprire. Il settore conta 100.000 centri sportivi, 1 milione di tecnici istruttori e 20 milioni di praticanti. A Milano l'Arisa, l'associazione regionale delle imprese dello sport, ha dato appuntamento ai soci davanti al cimitero Monumentale. Un luogo scelto con l'intento di fare una «cosa paradossale», come ha spiegato il segretario dell'associazione, Paolo Uniti, «perché non vogliamo essere seppelliti al Famedio».Ma c'è anche chi sfida il divieto e in modo del tutto legittimo continua gli allenamenti all'aperto. Le palestre dotate di spazi esterni hanno trasferito le attività fuori. Il proprietario del Dorian Gray di Maser, in provincia di Treviso, ha continuato a svolgere l'attività nel parcheggio della sua struttura, spostando gli attrezzi. A Roma ogni fine settimana tramite il Web vengono organizzate lezioni di yoga nei parchi pubblici guidate da professionisti in cassa integrazione o rimasti disoccupati. Alcune palestre, dotate di terrazze, le hanno sfruttate per corsi all'aperto e c'è chi ha realizzato un pacchetto che oltre agli ingressi comprende anche i tamponi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-ribelli-del-covid-2649072654.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-nostro-sciopero-fiscale-va-avanti-piu-che-rivolta-ormai-e-necessita" data-post-id="2649072654" data-published-at="1606636341" data-use-pagination="False"> «Il nostro sciopero fiscale va avanti. Più che rivolta, ormai è necessità» «Noi andiamo avanti con lo sciopero fiscale. Lo slittamento delle scadenze di novembre è un aiuto, è stata una vittoria per noi, ma non basta. Chiediamo la moratoria delle imposte per un anno. Le nostre imprese sono stremate e non ce la fanno a pagare. È ingenuo pensare che basteranno pochi mesi per tornare alla normalità. Anche la Sardegna ha condiviso questa iniziativa e altri, sono sicuro, ci seguiranno». Anna Lapini è il presidente della Confcommercio Toscana che ha promosso lo sciopero fiscale, un'iniziativa alla quale hanno aderito oltre 50.000 esercenti della regione. E ora alza il tiro. Il pagamento delle imposte di novembre slitta ad aprile, che significato ha ora uno sciopero fiscale? «Innanzitutto lo sciopero è un diritto sancito dalla Costituzione e questo delle imposte è una copertura politica ad atteggiamenti che il commercio avrebbe comunque dovuto adottare per la mancanza di incassi. Quanto deciso dal governo non basta. La situazione di qui ad aprile non sarà migliorata, non si rimettono in salute i bilanci nel giro di pochi mesi, chi non ha i soldi oggi non li avrà nemmeno ad aprile. Ci sono aziende sull'orlo del fallimento. I consumi e l'economia impiegheranno tempo per ripartire. La Toscana vive molto di turismo che ora è assente e chissà quando tornerà. Firenze, in una condizione di normalità, conta 15 milioni di presenze straniere l'anno che si sono azzerate. Ma intanto bisogna pagare l'affitto del negozio. Il canone mensile di un locale nel centro di Firenze supera i 40.000 euro». Cosa chiedete? «Serve una moratoria fiscale di un anno». Sarebbe un gettito importante che verrebbe a mancare nelle casse dello Stato. «C'è il rischio che quando la pandemia avrà esaurito il suo ciclo, la metà delle imprese siano scomparse. Con le poche risorse che abbiamo, preferiamo pagare i dipendenti e i fornitori, e poi lo Stato». Ma i dipendenti non usufruiscono della cassa integrazione? «Non tutti, e comunque quelli che hanno accesso a questo ammortizzatore sociale faticano a riceverlo. Tanti sono ancora in attesa dell'assegno del primo lockdown. Numerose imprese hanno anticipato la Cig e nel frattempo hanno dovuto far fronte agli oneri sociali». E i ristori? «La politica dei ristori è inadeguata, la gestione approssimativa dell'emergenza economica è solo italiana. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha disposto indennizzi pari al 70% del fatturato dell'anno precedente. A quelle condizioni si sta tranquillamente a casa. I ristori decisi dal premier Giuseppe Conte sono di qualche migliaio di euro a fronte di incassi attuali che sono solo il 15% del periodo pre Covid. Rivendichiamo aiuti più consistenti, al pari di altri Paesi europei». La situazione economica della Germania non è paragonabile a quella italiana. «È vero, ma quando ci sarà la ripartenza le imprese tedesche saranno pronte e noi no. Il tessuto produttivo italiano rischia di uscire dalla pandemia con il 30-40% di aziende in meno. Durante il primo lockdown, dovendo scegliere chi curare, sono stati lasciati al loro destino i più fragili; non vorremmo che anche nel secondo si sia fatta la medesima scelta, abbandonando i servizi per salvare l'industria manifatturiera». Sarebbe un'operazione folle. «Sicuramente. L'Italia non è più il Paese delle grandi industrie, ma è essenzialmente terziario e servizi, che meritano un'attenzione particolare da parte della politica». In che modo continuerete lo sciopero fiscale anche se le scadenze di novembre sono state spostate? «Lo slittamento da novembre ad aprile riguarda gli acconti Irpef, Irap e Ires. Non scioperiamo per le imposte per cui facciamo da tramite, come l'Iva, la tassa di soggiorno, le ritenute. Sospenderemo invece il pagamento dell'Imu, della Tari, del bollo auto e di tutte quelle tasse che le nostre aziende pagano direttamente. Non ci sono entrate ma le spese continuano a correre, non possiamo rischiare di andare in default per pagare il fisco. Lo sciopero non è un invito a delinquere ma per il commercio è diventato una necessità. Gli esercenti sono preoccupati di cosa accadrà ad aprile quando saranno chiamati a far fronte ai pagamenti slittati. Le prospettive sono buie. Nessuno sa quanto durerà la pandemia e che benefici porterà l'arrivo dei vaccini. Viviamo in un'incertezza totale». La Sardegna ha seguito il vostro esempio. Altre Regioni si uniranno allo sciopero? «Probabile. La Confcommercio della Sardegna ci dice che sono numerose le aziende che non hanno più riaperto dopo il primo lockdown. Da nove mesi lavorano pochissimo o per niente. È una decisione obbligata. Mentre con una mano lo Stato ci consente di indebitarci e ci dà ristori irrisori, con l'altra continua a imporre un prelievo fiscale esoso».