2020-10-06
I pro Mincione puntano ancora su Enasarco
Nella partita per il rinnovo dei vertici della cassa pensionistica degli agenti di commercio, che si chiude domani, è in vantaggio la cordata vicina a Brunetto Boco, l'ex consigliere noto per i suoi investimenti nel fondo Athena e per lo scandalo dei furbetti Uil-Tucs.L'ex ausiliare di Theodore McCarrick deciderà pure quali attività finanziarie resteranno segrete.Lo speciale contiene due articoli.Si chiude domani la tornata elettorale per il rinnovo dei vertici di Enasarco, la cassa pensionistica degli agenti di commercio e consulenti finanziari, seconda in Italia solo all'Inps con un patrimonio da 7 miliardi di euro e 220.000 iscritti. Dal 24 settembre gli iscritti hanno avuto modo di scegliere i 60 delegati dell'assemblea, a cascata saranno poi decisi i 15 consiglieri di amministrazione che guideranno la fondazione per i prossimi quattro anni. Da quasi 20 anni dentro Enasarco comanda una sola persona, ovvero Brunetto Boco, garante della lista Enasarco Libera, uomo forte della Uil-Tucs e legato da tempo al finanziere Raffaele Mincione, quest'ultimo indagato nell'inchiesta che ha portato alle dimissioni del cardinale Angelo Becciu in Vaticano per gli investimenti immobiliari di Londra. Sulla vicenda indaga anche la Procura di Roma che negli anni ha aperto diversi fascicoli sempre sul finanziere romano che vive in Inghilterra. Boco non è candidato, ma ha fatto candidare una sua dirigente fidata, Annamaria Selvaggio (oggi direttore generale di Fonte). Non solo, vanta anche collegamenti con le tre liste legate ad Antonello Marzolla (Usarci e Solo agenti in Enasarco), tra cui Carlo Felice Maggi, attuale direttore generale di Auchan (di cui è proprietario Mincione insieme con Conad) all'epoca della presidenza Boco, direttore generale di Enasarco.Il segretario generale Uil-Tucs è nel consiglio di amministrazione dal 2001, nel 2007 fu eletto presidente e solo nel 2016 fu deposto anche per un'indagine della Corte dei conti e per le sottoscrizioni di prodotti finanziari per 780 milioni di euro con Lehman brothers, banca americana poi fallita. Lui si è sempre difeso mostrando bilanci in ordine, ma sta di fatto che negli ultimi anni il presidente è stato Gianroberto Costa, mentre Boco da consigliere è rimasto un «presidente ombra». Il punto è che adesso sta tornando alla carica. E ha creato non pochi allarmi nelle liste che si contendono un posto in assemblea. Del resto il cuore delle critiche che si abbattono su Boco è legato alla gestione della cassa pensionistica, finanziata da agenti di commercio e consulenti ogni anno con una media di 27.000 euro che dovrebbe garantire loro una pensione decente. Non ha fatto ben sperare gli iscritti il fatto che durante l'emergenza Covid non sia stata prevista alcun tipo di assistenza, se non in pochi casi. Per di più grava sulla gestione Enasarco un'indagine del Mef, con 17 accertamenti partiti da via XX Settembre a metà 2019, tutt'ora all'attenzione della Corte dei conti. Tra questi il Mef indica la necessità di aggiornare il sito istituzionale nella sezione trasparenza, parla di irregolare corresponsione dell'indennità di presenza, come di emolumenti o anche nelle procedure di assunzione del personale. Mette sotto la lente di ingrandimento anche «irregolarità delle procedure di assunzione del personale» e «criticità nell'attribuzione del compenso accessorio al personale dirigente». Ai tecnici del ministero risultano anche «illegittime liquidazioni di ferie non godute per mancato preavviso», come anche «illegittimità nell'affidamento di patrocinio legale e soprattutto evidenziano «criticità nella gestione del mercato immobiliare». D'altra parte Boco in questi anni è spesso balzato agli onori delle cronache, oltre che per lo scandalo dei furbetti Uil-Tucs (che acquistavano immobili a prezzo agevolato), per investimenti con il fondo Athena di Mincione. Tanto che alla fine del 2011 si calcolava che la fondazione previdenziale avesse investito nel finanziere romano quasi 185 milioni di euro. Insomma, Mincione negli ultimi dieci anni non ha avuto un rapporto diretto solo con Becciu e i fondi dell'Obolo di San Pietro, ma anche con Boco. Il problema è che parte dei soldi di Enasarco, finiti sotto indagine anche nella scalata di Mincione su Bpm nel 2013, si intrecciano con quelli del Vaticano destinati all'immobile di Londra, al civico 60 di Sloane avenue. Ma allo stesso tempo sia Enasarco sia lo Stato pontificio hanno negli anni effettuato altri investimenti simili, sempre sotto la regia di Mincione. Proprio Boco nel 2012 affidò al gruppo finanziario Gwm, senza alcuna gara circa 1,4 miliardi di euro, fra i quali l'obbligazione Anthracite da 780 milioni a fronte di una commissione dell'1,5% fuori dal mercato. Altro esempio della gestione Enasarco sotto Boco è quello con la Fondazione Sgr. Nel 2003 la fondazione ha affidato 50 milioni a Mainetti. Dal 2007 al 2015 sotto la gestione Boco l'investimento è arrivato fino a 500 milioni, alimentando un contenzioso di oltre 14 milioni. A fronte di tutto questo il bilancio 2019 risulta in attivo di 200 milioni, tale risultato non è dovuto agli investimenti o alla rendita immobiliare (gestione in perdita di circa 20 milioni annui) bensì all'aumento del contributo obbligatorio richiesto agli inscritti, aumentato del 17%.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-pro-mincione-puntano-ancora-su-enasarco-2648106480.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="papa-francesco-affida-a-farrell-la-commissione-sulle-gare-d-appalto" data-post-id="2648106480" data-published-at="1601924145" data-use-pagination="False"> Papa Francesco affida a Farrell la commissione sulle gare d'appalto
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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