2019-11-24
I pm serrano la tenaglia sui renziani. Ora è indagata anche Lady Leopolda
Lilian Mammoliti, per anni organizzatrice della kermesse fiorentina, è sotto inchiesta, come l'amico Patrizio Donnini, per i milioni dal gruppo Toto. I magistrati puntano pure le casseforti Open ed Eyu per finanziamento illecito.In piena tempesta di tribunali, l'ormai conferenziere di lusso continua il suo tour mediorientale. E si fa immortalare da Flavio Briatore a una cena super esclusiva a Riyad.Lo speciale contiene due articoliAltro indagato, altro giro. Dopo i genitori (Tiziano e Laura), il cognato (Andrea Conticini), l'ex braccio destro (Luca Lotti), il consigliere economico (Filippo Vannoni), l'autista del camper (Roberto Bargilli), i presidenti delle sue fondazioni (gli avvocati Alberto Bianchi e Francesco Bonifazi), l'uomo comunicazione (Patrizio Donnini), adesso è stata iscritta sul registro degli indagati anche Lady Leopolda, al secolo Lilian Mammoliti, la donna che con la sua agenzia, la Dot media, ha organizzato per anni la kermesse renziana e si è occupata di allestimento, merchandising e gestione dei social. Dunque, nonostante a Firenze Matteo Renzi presenzi alle feste degli «ottimisti», quasi tutto il Giglio magico è iscritto sul registro degli indagati per una lunga lista di addebiti: bancarotta, false fatture, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio, favoreggiamento, ma anche traffico di influenze e finanziamento illecito che sono reati che presuppongono la presenza di un pubblico ufficiale, nel caso specifico di un politico. Nonostante questa lenta manovra a tenaglia delle procure, per ora l'ex premier mostra di dormire sonni tranquilli, tra cene vip, conferenze retribuite e interviste.In realtà i suoi avvocati seguono con grandissima attenzione quanto gli sta accadendo intorno e in particolare le indagini che a Firenze e a Roma hanno messo sotto inchiesta gli uomini che gestivano sue casseforti «politiche», ovvero le fondazioni Open ed Eyu. Bianchi, ex presidente di Open, è accusato di finanziamento illecito e traffico di influenze, Bonifazi, (senatore di Italia viva) per finanziamento illecito e false fatture. Bianchi ha emesso quasi tre milioni di parcelle (per la precisione 2.948.691,20) per prestazioni professionali nei confronti della famiglia Toto, schiatta di imprenditori abruzzesi renziani. Per l'accusa però quei soldi nasconderebbero una ricompensa per una mediazione illecita verso il Giglio magico e finanziamenti all'attività politica di Renzi. Infatti parte di quel denaro (400.838 euro) è stato girato nel settembre 2016 sui conti di Open e del Comitato per il sì al referendum. Ma sotto la lente d'ingrandimento sono finiti anche i 4,3 milioni che un altro dei Renzi boys, Donnini, avrebbe ricevuto dal gruppo Toto, tra consulenze, plusvalenze e altro. Per quei pagamenti è adesso indagata anche la sua amica e socia Lilian Mammoliti.La premiata ditta Donnini-Mammoliti avrebbe incassato attraverso tre società: la Dot media, la Immobil green e la Pd consulting; quindi avrebbe investito il denaro in altre aziende, come la Keesy, ditta del settore turistico controllata per l'82 per cento dalla stessa Immobil green.La Mammoliti è la maggiore azionista: possiede il 95 cento della Immobil green e il 50 per cento della Dot media (il 20 è, invece, di Alessandro Conticini, altro indagato per appropriazione indebita e autoriclaggio, ma nella cosiddetta inchiesta Unicef).Donnini e la Mammoliti al momento sono accusati di appropriazione indebita e autoriciclaggio per una plusvalenza da 950.000 euro ottenuta grazie all'acquisto al prezzo di 68.200 euro di cinque società rivendute per più di un milione di euro alla Renexia spa dei Toto (l'ad Lino Bergonzi è indagato).A quanto risulta alla Verità l'inchiesta, però, sta rapidamente virando verso altri lidi e potrebbe portare a nuove accuse, come il traffico di influenze e il finanziamento illecito. Alfonso Toto, condannato a luglio per il mancato versamento di 27 milioni di Iva, a Ferragosto ha incontrato Bianchi a Cortina. Nell'occasione si sarebbe lamentato per tutti i soldi che Donnini gli avrebbe fatto spendere proponendosi come intermediario con il Giglio magico. Certo risulta difficile credere che un imprenditore esperto possa aver sganciato milioni senza «vedere cammello», anche se l'avvocato di Toto, Augusto La Morgia, sostiene che tutti i pagamenti (consulenze e plusvalenze) siano state regolarmente fatturate e giustificate. In ogni caso l'indagine toscana pare destinata a svelare il propellente della scalata al potere di Renzi e del suo Giglio magico. Ci risulta che dai pc e dai cellulari degli indagati siano stati estrapolati messaggi e email piuttosto compromettenti. Per esempio Donnini nelle sue agende annotava tutto alla virgola (incontri, pagamenti, ecc.) e sui suoi dispositivi elettronici i magistrati hanno trovato un'inaspettata quantità di documentazione.Nelle comunicazioni tra lui e Alfonso Toto viene nominato anche un noto politico del Giglio magico, che potrebbe portare (se non è già successo) all'incriminazione di Donnini per traffico di influenze. Anche in questo caso gli investigatori non escludono la pista del finanziamento illecito e hanno puntato l'attenzione sui pagamenti di Open (289.592 euro), del Comitato per il sì (122.000), ma anche di illustri politici renziani alla Dot media. Erano pagamenti reali oppure fatture che dovevano mascherare il sostegno economico di terzi all'attività politica di Matteo Renzi, magari in contanti?Se a Firenze è sotto esame la fondazione Open, a Roma i pm hanno rivoltato la fondazione Eyu, nata ufficialmente per promuovere «attività di ricerca scientifica che hanno l'obiettivo di elaborare un nuovo linguaggio e nuove pratiche per i decisori politici di oggi e di domani», in realtà altra macchina da fundraising dei renziani. I magistrati capitolini, guidati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, hanno contestato all'ex presidente Bonifazi (già tesoriere del Pd, ora in Italia viva) i reati di finanziamento illecito ed emissione di fatture per prestazioni inesistenti. In questo caso i soldi non provenivano dai Toto, ma dal costruttore Luca Parnasi, sospettato di corruzione dagli inquirenti capitolini e rinviato a giudizio nell'inchiesta sullo stadio della Roma. Resta da vedere se saranno solo Toto e Parnasi gli imprenditori accusati di aver finanziato sotto banco il fu Rottamatore. Giacomo Amadori<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/i-pm-serrano-la-tenaglia-sui-renziani-ora-e-indagata-anche-lady-leopolda-2641440654.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-senatore-se-la-spassa-al-billionaire" data-post-id="2641440654" data-published-at="1763767648" data-use-pagination="False"> Il senatore se la spassa al Billionaire Twitter Matteo Renzi Se i magistrati stanno indagando sui suoi vecchi forzieri «politici», Matteo Renzi sta diventando ricco di suo, grazie alle conferenze a pagamento. Nel 2017, quando non faceva l'oratore a gettone e il senatore, aveva dichiarato 29.000 euro, per poi acquistare nel 2018 una villa da 1,3 milioni di euro con una caparra da 400.000 in contanti. Adesso dovrà esibire la sua dichiarazione del 2018, che si annuncia importante. Sarà per festeggiare il nuovo status che l'altro ieri sera è stato pizzicato dal sito Dagospia, «attovagliato» con Flavio Briatore e l'imprenditore Tommaso Buti (finito ai domiciliari nel 2016 per bancarotta fraudolenta) al Billionaire di Riyad, in Arabia Saudita, (una cena promozionale tra pochi «eletti» dato che la nuova location del brand, stando ai social dell'imprenditore del lusso, dovrebbe aprire agli inizi del 2020) anche l'ex ragazzo del «contado di Rignano» (sic dixit Renzi). Pochi frame, di sfuggita, in una storia di Instagram pubblicata da Briatore stesso. E, con i tre, anche un buon numero di personaggi arabi non meglio identificati. Il 25 aprile La Verità aveva titolato così: «Renzi d'Arabia: il mistero del 25 aprile con il regime saudita». E nel sommario: «Omicidio Khasshoggi, 104 esecuzioni nel 2019, torture, crocifissioni: il mondo prende le distanze da Riyad, Matteo invece ci va. Perché? L'unica certezza per ora è il viaggio con la scorta. Quindi a spese nostre». Da allora è cambiato poco: il Bullo ha ancora otto gorilla, una Grand Cherokee nera blindata e una Passat grigia; le esecuzioni sono salite a 139; e i viaggi nel discusso Regno sono continuati. Da quando è pagato per fare il conferenziere e il lobbista, le sue mete preferite sono proprio l'Arabia e la Cina, governi che con le opposizioni non usano esattamente i guanti di velluto. L'erede al trono è lo spregiudicato vicepremier Mohammed Bin Salman, accusato di avere ordinato il terribile omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi. Il giovanotto nel 2017 ha speso 450 milioni di dollari si è accaparrato il Salvator mundi di Leonardo, passione che probabilmente condivide con Renzi. Peccato che Renzi su Twitter attacchi la Turchia per il trattamento riservato ai curdi: «Ciò che sta accadendo in Siria contro i curdi è orrore puro (…) Il regime di Erdogan va fermato. Il blocco delle armi è il minimo sindacale», diceva il 14 ottobre e il 22 ha rincarato la dose nella sua ultima Enews. Evidentemente il sultano Recep Erdogan non ha ancora avuto l'educazione di invitare Renzi al suo desco. Infatti, come notava il Financial times, il nostro, il 31 ottobre, ha partecipato alla cosiddetta Davos del deserto a cui hanno preso parte anche cinque presidenti, banchieri e alcuni «tra i più grandi produttori di armi del mondo». I giornali locali hanno riportato le sue parole: «L'Arabia saudita è una superpotenza, non solo nell'economia, ma anche in cultura, turismo, innovazione e sostenibilità». Il 9 novembre è tornato per tagliare il nastro di una delle linee della metropolitana di Riyad realizzata da industrie italiane e il 22 novembre era a cena al Billionaire. Questi i viaggi intercettati solo nell'ultimo mese. Ma il fu Rottamatore è di casa anche in Qatar e a Dubai. Se i magistrati e la Gdf hanno in mano le chiavi dei forzieri che hanno sostenuto la sua attività politica in Italia sino a pochi mesi fa, Renzi ha iniziato a macinare soldi all'estero con la sua attività di conferenziere (con il triplice ruolo di ex premier, parlamentare e azionista del governo) e al posto di una fondazione a maggio ha aperto una Srl, la Digistart (che al momento però risulta inattiva). La ragione sociale è sempre la stessa: raccogliere soldi per il signor Renzi. Fabio Amendolara
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci