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2020-10-12
I padroni del mondo
Mark Zuckerberg (Ansa)
Hanno avuto enormi successi professionali, hanno pagato pochissime tasse, hanno messo al sicuro montagne di soldi nei paradisi fiscali, e ora ce li ritroviamo come maestri di vita, con i conti in banca rigonfi e la coscienza candeggiata, a capo di fondazioni filantropiche intente a migliorare le tristi sorti dell'umanità più debole. È una bontà strana quella dei paperoni. Accumulano fortune spremendo milioni di lavoratori, oppure piegando le leggi a loro vantaggio, o ancora sfruttando rendite di posizione, e poi fanno la morale al mondo dall'alto dei loro capitali.
I miliardari filantropici sono i veri vincitori della globalizzazione, i colonizzatori del ventunesimo secolo. I loro nomi sono noti: ci sono
Bill Gates e sua moglie Melinda, i coniugi Bill e Hillary Clinton, Ted Turner, Mark Zuckerberg, Warren Buffett, George Soros, Michael Bloomberg, Amancio Ortega, Jeff Bezos; nei decenni scorsi, dinastie come i Rockefeller, i Ford o i Carnegie. Capitani d'azienda, innovatori, boss della finanza, giganti di Internet, ex politici che restano nel giro investendo i loro beni in fondazioni benefiche. Nel mondo si contano oltre 200.000 organizzazioni di questo tipo, di cui oltre 87.000 negli Stati Uniti e 85.000 in Europa occidentale. Le masse di denaro movimentate sono colossali: dall'inizio dell'attività, la fondazione Gates ha spostato 50,1 miliardi di dollari e nel triennio 2013-15 ha destinato 11,6 miliardi allo sviluppo globale, più di quanto non abbiano fatto le Nazioni Unite.
Sono cifre contenute in un libro inchiesta di
Nicoletta Dentico appena pubblicato, dal titolo Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (edizioni Emi, 20 euro), in libreria da giovedì. L'autrice, giornalista esperta di cooperazione internazionale ed ex consigliera di amministrazione della Banca popolare etica, per la prima volta scandaglia in profondità questo mondo in cui progresso e solidarismo, potere e assistenza, povertà e business si intrecciano in modo spesso inestricabile. Con tutti i soldi che hanno fatto, un po' di generosità di lorsignori verso alcune cause nobili appare inevitabile. Negli Stati Uniti, poi, il regime fiscale favorisce i ricchi che trasferiscono i propri averi in un fondo benefico piuttosto che nelle tasche dei figli. Noi ci siamo fatti da soli, pensano i multimiliardari, e la nostra prole faccia altrettanto. Il fatto è che il fenomeno del «filantrocapitalismo» non è semplicemente un modo per evitare che la prole sperperi ciò che i genitori hanno creato, o per ripulire un'immagine macchiata da sospetti di sotterfugi fiscali. Queste macchine della bontà colonizzano le menti ed esercitano una crescente influenza sulle istituzioni internazionali e sui singoli governi.
Prendiamo il caso della pandemia, che per moltissime aziende del mondo è un flagello mentre per quelle del settore biomedicale è una manna.
Bill Gates fu tra i primi, nel 2015, a paventare il rischio di un virus che avrebbe contagiato milioni di persone e squassato il pianeta iperglobalizzato. «Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni», aveva detto Gates (il video è disponibile sul Web), «è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi». Il fondatore di Microsoft, azienda da cui ora è uscito, spiegava che «abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un'epidemia. Non siamo pronti». Alla fine del 2019 si è materializzato il Sars-Cov-2 e una sola persona al mondo si è fatta trovare pronta davanti a questo scenario, cioè il monopolista filantropo di Seattle.
La sua fondazione ha immediatamente messo sul piatto 300 milioni di dollari, poi saliti a 530 milioni, e di fatto
Bill Gates governa le attività internazionali per la ricerca di un vaccino contro il Covid al pari di Organizzazione mondiale della sanità, Banca mondiale e Commissione europea. Sulla scia di Gates, il magnate Michael Bloomberg ha stanziato 331 milioni di dollari per aiutare a combattere il virus. Bloomberg, proprietario di un impero nei servizi finanziari e nei media, vanta un patrimonio netto di 55 miliardi di dollari ed è uno dei leader del Partito democratico Usa: è stato sindaco di New York per 12 anni e a metà settembre si è impegnato a donare 100 milioni di dollari per sostenere la campagna elettorale di Joe Biden in Florida contro Donald Trump.
Nel governo di fenomeni globali, come la lotta a una pandemia, sono precedenti pericolosi. Ma è anche il consolidarsi di una tendenza in atto da tempo: le antiche e nobili pratiche della filantropia e del mecenatismo hanno ceduto il passo a un business della solidarietà tutt'altro che disinteressato. Per cominciare, le fondazioni dei paperoni dal cuore d'oro godono di forti agevolazioni fiscali e le donazioni fatte a questi enti diventano una valvola di sfogo attraverso la quale vengono investiti (detassati) gli smisurati profitti accumulati spesso con operazioni di elusione fiscale. I giganti del Web ne sono un chiaro esempio, ma naturalmente non sono gli unici. Una ricerca degli economisti
Emmanuel Saez e Gabriel Zucman evidenzia che le 400 famiglie più ricche d'America hanno pagato nel 2018 un'aliquota effettiva del 23%, cioè un punto percentuale in meno di quello versato dalle famiglie delle fasce sociali meno abbienti, che è pari al 24,2%.
C'è di più.
Dentico cita un rapporto del 2016, il Wealth-X and Arton capital philanthropy report: esso rivela che le donazioni dei super ricchi erano aumentate del 3% nel 2015, e soprattutto che gli imprenditori i quali hanno versato almeno 1 milione di dollari hanno finito per ammassare più profitti dei loro pari di classe. Più si versa, più si guadagna: il tutto applicando i criteri della cultura d'impresa al mondo dei bisogni umani che devono essere colmati. E oltre ad accumulare altri capitali si conquista sempre più potere, al punto da condizionare in misura crescente le azioni degli Stati: «Libere da ogni costrizione territoriale, le fondazioni filantrocapitaliste sono riuscite a occupare un campo d'azione sconfinato», si legge nel libro. «Esercitano un ruolo ingombrante nella produzione di conoscenza, nell'affermazione di modelli, nella definizione di nuove strutture della governance globale».
Nate per colmare le disuguaglianze, le fondazioni dei ricchi buoni finiscono dunque per acuirle perché tendono a voler cambiare il mondo secondo i propri desideri e le proprie visioni, anziché accrescere la dignità dei più poveri. «Mai prima, nella sua storia, l'umanità ha dovuto fare i conti con una ricchezza tanto spropositata, assiepata in così poche mani», scrive l'economista
Vandana Shiva nella prefazione del volume, «e la filantropia è divenuta lo strumento per dirottare la democrazia e colonizzare le vite delle persone al fine di estrarne soldi. Non è “dare", è sofisticata appropriazione».
Bill Clinton: conferenziere da 500.000 dollari. L’ex presidente tiene stretto il potere
La nuova vita da filantropo di Bill Clinton nasce nel gennaio 2005, quando l'ex presidente statunitense annuncia al forum di Davos, in Svizzera, la Cgi (Clinton global initiative) che diventerà l'emblema del potere clintoniano e lancerà la carriera politica della moglie Hillary Rodham, senatrice, segretaria di Stato Usa con Barack Obama e due volte candidata (invano) alla presidenza.
L'evento ebbe luogo in settembre, con un successo enorme di partecipanti famosi (industriali, cantanti, attori, manager di mezzo mondo) che per accedere al palco dovettero formulare un progetto di sviluppo da attuare. Per esempio, Starbucks promise di adoperarsi a favore dei coltivatori di caffè poveri, mentre Goldman Sachs s'impegnò a intervenire per le foreste della Terra del fuoco. La Cgi, che ha sviluppato un'agenda di intervento parallela e più influente di quella delle Nazioni Unite, è una costola della Fondazione Clinton, istituita nel 1997 con un profilo provinciale: curare la biblioteca dell'ex presidente in Arkansas.
Esaurito nel 2001 il doppio mandato di Clinton, la fondazione è diventata lo strumento con cui raccogliere fondi e capitalizzare le competenze acquisite negli otto anni alla Casa Bianca. Dal 2002 al 2012 Clinton raccolse 105,5 milioni di dollari come conferenziere: nei periodi migliori, il suo gettone poteva raggiungere i 500.000 dollari.
La gestione è stata piuttosto opaca: dal 2009 al 2013 la fondazione non ha inviato al dipartimento di Stato la lista dei donatori né ha notificato l'ammontare dei fondi ricevuti da Paesi stranieri. Nel 2015 aveva raccolto oltre 2 miliardi di dollari da imprese, governi, imprenditori e gruppi di interesse.
Micheal Bloomberg ha costruito l’impero sui dati finanziari. Adesso è un trampolino verso la politica
Seduto su un patrimonio personale di quasi 55 miliardi di dollari, molto più cospicuo di quello posseduto da Donald Trump, il settantottenne Mike Bloomberg ha costruito la sua immensa fortuna su un impero che spazia dai dati della finanza al mondo dell'informazione.
Laureato ad Harvard, nel 1981 Bloomberg ha fondato l'omonima società che opera nel settore media a livello internazionale e comprende tv, radio, agenzia di stampa e un canale Web per le notizie economiche. È stato anche sindaco di New York per tre mandati (eletto con la casacca repubblicana) e l'anno scorso ha tentato, senza successo, di dare la scalata alla nomination democratica per sfidare l'arcinemico Trump.
Dal 2004 Bloomberg è apparso ripetutamente sul Chronicle of Philanthropy, la lista dei 50 americani che donano la maggior parte dei soldi nel corso dell'anno. Come altri miliardari anch'egli si è impegnato a donare metà della sua ricchezza a The Giving Pledge, l'iniziativa filantropica lanciata dai coniugi Gates con Warren Buffett. Alla propria fondazione, Bloomberg Philanthropies, il magnate ha donato 9,5 miliardi di dollari.
La fondazione «lavora per assicurare una vita migliore e più lunga al maggior numero di persone». Cinque gli ambiti di intervento: arti, educazione, ambiente, innovazione di governo e salute pubblica. Gli investimenti sono sparsi in 510 città di 129 Paesi nel mondo. Tra le ultime iniziative si segnala la partecipazione a un pool di 16 donatori che hanno destinato 156 milioni di dollari per sostenere organizzazioni di artisti neri, latini, asiatici e indigeni americani.
Bloomberg si è pure impegnato in una campagna per fare chiudere tutte le centrali Usa a carbone entro il 2030 e ha donato 100 milioni di dollari alle scuole di medicina più frequentate da studenti di colore per aumentare il numero di dottori neri negli Usa.
Mark Zuckerberg regala internet ai poveri (per portarli su Facebook)
Mark Zuckerberg, 36 anni, è il più giovane filantropo della storia: ha esordito nel 2010 con una donazione di 100 milioni di dollari per le scuole pubbliche di Newark, la più grande città del New Jersey. Nel 2012 lui e la moglie Priscilla Chan hanno annunciato di voler restituire la «maggior parte delle loro ricchezze» per «fare avanzare il potenziale umano e promuovere l'uguaglianza».
Nel 2015, dopo la nascita della prima figlia, la coppia ha fondato la Chan Zuckerberg initiative (Czi) cui era destinato il 99% della ricchezza accumulata, che oggi vale 45 miliardi di dollari. I settori di interventi sono l'educazione, la scuola e il mondo giovanile, soprattutto nelle comunità più povere e nelle carceri. Naturalmente, la finalità principale è diffondere l'accesso alla Rete e l'utilizzo delle reti sociali tra le famiglie che ne sono prive.
Secondo la Czi, Internet «ti offre la possibilità di istruzione se non vivi vicino a una scuola. Ti assicura le informazioni sanitarie su come prevenire le malattie e crescere i figli in salute, se non hai un medico a portata di mano. Ti garantisce l'accesso ai servizi finanziari, se sei lontano da una banca. Offre accesso al mercato del lavoro e opportunità simili se non hai la fortuna di vivere in un'economia dei beni».
Insomma, gli Zuckerberg fanno in modo che chi non è ancora sui loro network (Facebook, Instagram, Whatsapp) vi approdi quanto prima. Anche le altre iniziative finanziate dalla Initiative hanno un forte valore di presenza politica: riforma dell'immigrazione, programmi per l'educazione al digitale dei bambini, creazione di piattaforme governative online, maggiore accesso a risorse finanziarie «grazie alla tecnologia».
Anche per questo molti osservatori ipotizzano che il giovane mago del Web possa preparare uno sbarco in politica con la sua fondazione e la capacità di orientare la pubblica opinione.
Ted Turner: con lui gli interessi di lobby e privati sono entrati nell’agenda dell’Onu
Il miliardario statunitense Ted Turner è il fondatore della Cnn e poi copresidente della Time Warner inc. Nel 1997 aveva annunciato l'intenzione di donare 1 miliardo di dollari a favore dell'Onu e delle sue cause, con un versamento di 100 milioni di dollari all'anno per 10 anni tramite la sua Un Foundation (fondazione Nazioni Unite).
Nella storia dell'Onu non era mai esistita una erogazione così consistente da un privato. Il tycoon disse che era stato spinto dalla decisione del Congresso Usa di sospendere l'erogazione degli arretrati che gli Stati Uniti dovevano corrispondere al Palazzo di Vetro.
La donazione sarebbe stata effettuata in azioni Time Warner, che però persero valore dopo la fusione con Aol. A quel punto, Turner non aumentò la quantità di azioni destinate all'Onu, ma si trasformò in cercatore di fondi. Il profilo finanziario delle sue erogazioni ha continuato ad assottigliarsi, finché tra il 2015 e il 2016 i finanziamenti diretti del magnate alla sua fondazione si sono ridotti a zero: i flussi di denaro erano tutti da donatori esterni.
Al 2019 la Un Foundation contava 90 multinazionali come partner, tra cui colossi come Bank of America, Chevron, Goldman Sachs, Jp Morgan, Nestlè.L'evoluzione della fondazione di Turner ha contribuito a trasformare l'Onu: nei suoi obiettivi, ora le Nazioni Unite debbono considerare non solo la pace e lo sviluppo dei popoli, ma anche gli interessi, quasi mai convergenti, dei colossi industriali e finanziari privati.
I funzionari della Un Foundation sono consiglieri ordinari del segretario generale dell'Onu e partecipano regolarmente agli incontri settimanali del suo staff. Altri ingenti fondi (992,5 milioni di dollari tra il 1998 e il 2016) sono finiti all'Oms e all'Unicef.
Bill Gates. L'ex Microsoft adesso governa le ricerche sui vaccini
Il fondatore di Microsoft, Bill Gates, e la moglie Melinda sono gli apripista del moderno filantrocapitalismo. Nel 2005 la rivista Time li nominò «persone dell'anno» per l'impegno benefico con la rockstar Bono. L'anno dopo il finanziere Warren Buffett (allora l'uomo più ricco del mondo) versò alla loro fondazione una parte cospicua del suo patrimonio, al punto che Gates decise di dedicarsi a tempo pieno alla beneficenza.
Furono loro tre nel 2009 a lanciare la campagna The giving pledge chiedendo ai più ricchi del pianeta di destinare gran parte delle loro sostanze alla filantropia: a settembre 2020 l'iniziativa aveva raccolto 211 firmatari di 24 Paesi. Per la rivista Fortune è la più massiccia azione di raccolta fondi della storia.
Nel 2010 il segretario generale dell'Onu Ban Ki moon nomina Gates tra i suoi consiglieri per definire gli obiettivi del millennio. Ora è tra i principali investitori nelle aziende di biotecnologia che ospitano le ricerche per il vaccino contro il Covid-19, avendo donato 530 milioni di dollari all'Organizzazione mondiale della sanità.
Alla sua fondazione fa capo la Global alliance for vaccine immunisation, la maggiore iniziativa pubblico privata globale per produrre vaccini nel mondo, e la Coalition for epidemic preparedness innovations nata nel 2017 dopo l'epidemia di ebola. Nel 2009 sono stati iniettati 1,5 miliardi di dollari nell'industria biotech acquistando rilevanti partecipazioni azionarie. La Fondazione Gates nacque nel 2000 con una dotazione di 15,5 miliardi di dollari, celebrata dai media planetari e osannata dai governi di tutto il mondo. Essa viene alimentata con i giganteschi profitti capitalizzati da Gates come fondatore di Microsoft.
Nel 2012 un rapporto del Senato Usa calcolava in quasi 21 miliardi di dollari la quantità di denaro che l'azienda era riuscita a trafugare nei paradisi fiscali in un periodo di tre anni. Il danno prodotto alle casse erariali è stimato superiore a quando la fondazione ha investito ogni anno in azioni di filantropia, peraltro ottenendo notevoli agevolazioni o esenzioni fiscali.In questo modo, l'ente può permettersi di erogare più fondi alla salute globale di qualsiasi grande Paese donatore ed è il quinto donatore mondiale per promuovere l'agricoltura industriale nei Paesi in via di sviluppo, agendo come una vera superpotenza globale.
Al 31 dicembre 2017, la fondazione contava 1.541 dipendenti distribuiti in 8 sedi (Seattle, Washington, Londra, New Delhi, Pechino, Addis Abeba, Johannesburg, Abuja) e una dotazione di 50,7 miliardi di dollari (valori 2017), composta dalla donazione di Gates (35,8 miliardi di dollari in azioni Microsoft) e dai 30,7 miliardi elargiti dal finanziere Warren Buffett, che rappresentano l'83% del suo patrimonio personale. La fondazione è divisa in due entità: quella che seleziona gli obiettivi ed eroga i fondi, e un fondo fiduciario gestito da Buffett che impiega al meglio il resto dei soldi.
Il trust ha investito 466 milioni di dollari nella Coca cola, 837 milioni nella catena alimentare Walmart, 280 milioni nella multinazionale Walgreen Boots alliance per la vendita di farmaci al dettaglio, 650 milioni in due grandi produttori di schermi televisivi. Inoltre, tramite Buffett, un quarto del patrimonio è investito nella Berkshire Hathaway inc., la holding del finanziere americano.
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Hanno guadagnato fortune pagando poche tasse e ora vengono additati a modelli di comportamento perché investono in beneficenza. Che consente loro di eludere ancora il fisco. E ripulire la coscienza. Bill Clinton: conferenziere da 500.000 dollari. L'ex presidente tiene stretto il potere Mike Bloomberg ha costruito l'impero sui dati finanziari. Adesso è un trampolino verso la politica. Mark Zuckerberg regala internet ai poveri (per portarli su Facebook) Ted Turner: con lui gli interessi di lobby e privati sono entrati nell'agenda dell'Onu Bill Gates. L'ex Microsoft adesso governa le ricerche sui vaccini Lo speciale contiene sei articoli. Hanno avuto enormi successi professionali, hanno pagato pochissime tasse, hanno messo al sicuro montagne di soldi nei paradisi fiscali, e ora ce li ritroviamo come maestri di vita, con i conti in banca rigonfi e la coscienza candeggiata, a capo di fondazioni filantropiche intente a migliorare le tristi sorti dell'umanità più debole. È una bontà strana quella dei paperoni. Accumulano fortune spremendo milioni di lavoratori, oppure piegando le leggi a loro vantaggio, o ancora sfruttando rendite di posizione, e poi fanno la morale al mondo dall'alto dei loro capitali. I miliardari filantropici sono i veri vincitori della globalizzazione, i colonizzatori del ventunesimo secolo. I loro nomi sono noti: ci sono Bill Gates e sua moglie Melinda, i coniugi Bill e Hillary Clinton, Ted Turner, Mark Zuckerberg, Warren Buffett, George Soros, Michael Bloomberg, Amancio Ortega, Jeff Bezos; nei decenni scorsi, dinastie come i Rockefeller, i Ford o i Carnegie. Capitani d'azienda, innovatori, boss della finanza, giganti di Internet, ex politici che restano nel giro investendo i loro beni in fondazioni benefiche. Nel mondo si contano oltre 200.000 organizzazioni di questo tipo, di cui oltre 87.000 negli Stati Uniti e 85.000 in Europa occidentale. Le masse di denaro movimentate sono colossali: dall'inizio dell'attività, la fondazione Gates ha spostato 50,1 miliardi di dollari e nel triennio 2013-15 ha destinato 11,6 miliardi allo sviluppo globale, più di quanto non abbiano fatto le Nazioni Unite. Sono cifre contenute in un libro inchiesta di Nicoletta Dentico appena pubblicato, dal titolo Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo (edizioni Emi, 20 euro), in libreria da giovedì. L'autrice, giornalista esperta di cooperazione internazionale ed ex consigliera di amministrazione della Banca popolare etica, per la prima volta scandaglia in profondità questo mondo in cui progresso e solidarismo, potere e assistenza, povertà e business si intrecciano in modo spesso inestricabile. Con tutti i soldi che hanno fatto, un po' di generosità di lorsignori verso alcune cause nobili appare inevitabile. Negli Stati Uniti, poi, il regime fiscale favorisce i ricchi che trasferiscono i propri averi in un fondo benefico piuttosto che nelle tasche dei figli. Noi ci siamo fatti da soli, pensano i multimiliardari, e la nostra prole faccia altrettanto. Il fatto è che il fenomeno del «filantrocapitalismo» non è semplicemente un modo per evitare che la prole sperperi ciò che i genitori hanno creato, o per ripulire un'immagine macchiata da sospetti di sotterfugi fiscali. Queste macchine della bontà colonizzano le menti ed esercitano una crescente influenza sulle istituzioni internazionali e sui singoli governi. Prendiamo il caso della pandemia, che per moltissime aziende del mondo è un flagello mentre per quelle del settore biomedicale è una manna. Bill Gates fu tra i primi, nel 2015, a paventare il rischio di un virus che avrebbe contagiato milioni di persone e squassato il pianeta iperglobalizzato. «Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni», aveva detto Gates (il video è disponibile sul Web), «è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi». Il fondatore di Microsoft, azienda da cui ora è uscito, spiegava che «abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un'epidemia. Non siamo pronti». Alla fine del 2019 si è materializzato il Sars-Cov-2 e una sola persona al mondo si è fatta trovare pronta davanti a questo scenario, cioè il monopolista filantropo di Seattle. La sua fondazione ha immediatamente messo sul piatto 300 milioni di dollari, poi saliti a 530 milioni, e di fatto Bill Gates governa le attività internazionali per la ricerca di un vaccino contro il Covid al pari di Organizzazione mondiale della sanità, Banca mondiale e Commissione europea. Sulla scia di Gates, il magnate Michael Bloomberg ha stanziato 331 milioni di dollari per aiutare a combattere il virus. Bloomberg, proprietario di un impero nei servizi finanziari e nei media, vanta un patrimonio netto di 55 miliardi di dollari ed è uno dei leader del Partito democratico Usa: è stato sindaco di New York per 12 anni e a metà settembre si è impegnato a donare 100 milioni di dollari per sostenere la campagna elettorale di Joe Biden in Florida contro Donald Trump. Nel governo di fenomeni globali, come la lotta a una pandemia, sono precedenti pericolosi. Ma è anche il consolidarsi di una tendenza in atto da tempo: le antiche e nobili pratiche della filantropia e del mecenatismo hanno ceduto il passo a un business della solidarietà tutt'altro che disinteressato. Per cominciare, le fondazioni dei paperoni dal cuore d'oro godono di forti agevolazioni fiscali e le donazioni fatte a questi enti diventano una valvola di sfogo attraverso la quale vengono investiti (detassati) gli smisurati profitti accumulati spesso con operazioni di elusione fiscale. I giganti del Web ne sono un chiaro esempio, ma naturalmente non sono gli unici. Una ricerca degli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman evidenzia che le 400 famiglie più ricche d'America hanno pagato nel 2018 un'aliquota effettiva del 23%, cioè un punto percentuale in meno di quello versato dalle famiglie delle fasce sociali meno abbienti, che è pari al 24,2%. C'è di più. Dentico cita un rapporto del 2016, il Wealth-X and Arton capital philanthropy report: esso rivela che le donazioni dei super ricchi erano aumentate del 3% nel 2015, e soprattutto che gli imprenditori i quali hanno versato almeno 1 milione di dollari hanno finito per ammassare più profitti dei loro pari di classe. Più si versa, più si guadagna: il tutto applicando i criteri della cultura d'impresa al mondo dei bisogni umani che devono essere colmati. E oltre ad accumulare altri capitali si conquista sempre più potere, al punto da condizionare in misura crescente le azioni degli Stati: «Libere da ogni costrizione territoriale, le fondazioni filantrocapitaliste sono riuscite a occupare un campo d'azione sconfinato», si legge nel libro. «Esercitano un ruolo ingombrante nella produzione di conoscenza, nell'affermazione di modelli, nella definizione di nuove strutture della governance globale». Nate per colmare le disuguaglianze, le fondazioni dei ricchi buoni finiscono dunque per acuirle perché tendono a voler cambiare il mondo secondo i propri desideri e le proprie visioni, anziché accrescere la dignità dei più poveri. «Mai prima, nella sua storia, l'umanità ha dovuto fare i conti con una ricchezza tanto spropositata, assiepata in così poche mani», scrive l'economista Vandana Shiva nella prefazione del volume, «e la filantropia è divenuta lo strumento per dirottare la democrazia e colonizzare le vite delle persone al fine di estrarne soldi. Non è “dare", è sofisticata appropriazione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-padroni-del-mondo-2648169851.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bill-clinton-conferenziere-da-500-000-dollari-lex-presidente-tiene-stretto-il-potere" data-post-id="2648169851" data-published-at="1602444359" data-use-pagination="False"> Bill Clinton: conferenziere da 500.000 dollari. L’ex presidente tiene stretto il potere La nuova vita da filantropo di Bill Clinton nasce nel gennaio 2005, quando l'ex presidente statunitense annuncia al forum di Davos, in Svizzera, la Cgi (Clinton global initiative) che diventerà l'emblema del potere clintoniano e lancerà la carriera politica della moglie Hillary Rodham, senatrice, segretaria di Stato Usa con Barack Obama e due volte candidata (invano) alla presidenza. L'evento ebbe luogo in settembre, con un successo enorme di partecipanti famosi (industriali, cantanti, attori, manager di mezzo mondo) che per accedere al palco dovettero formulare un progetto di sviluppo da attuare. Per esempio, Starbucks promise di adoperarsi a favore dei coltivatori di caffè poveri, mentre Goldman Sachs s'impegnò a intervenire per le foreste della Terra del fuoco. La Cgi, che ha sviluppato un'agenda di intervento parallela e più influente di quella delle Nazioni Unite, è una costola della Fondazione Clinton, istituita nel 1997 con un profilo provinciale: curare la biblioteca dell'ex presidente in Arkansas. Esaurito nel 2001 il doppio mandato di Clinton, la fondazione è diventata lo strumento con cui raccogliere fondi e capitalizzare le competenze acquisite negli otto anni alla Casa Bianca. Dal 2002 al 2012 Clinton raccolse 105,5 milioni di dollari come conferenziere: nei periodi migliori, il suo gettone poteva raggiungere i 500.000 dollari. La gestione è stata piuttosto opaca: dal 2009 al 2013 la fondazione non ha inviato al dipartimento di Stato la lista dei donatori né ha notificato l'ammontare dei fondi ricevuti da Paesi stranieri. Nel 2015 aveva raccolto oltre 2 miliardi di dollari da imprese, governi, imprenditori e gruppi di interesse. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-padroni-del-mondo-2648169851.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="micheal-bloomberg-ha-costruito-limpero-sui-dati-finanziari-adesso-e-un-trampolino-verso-la-politica" data-post-id="2648169851" data-published-at="1602444359" data-use-pagination="False"> Micheal Bloomberg ha costruito l’impero sui dati finanziari. Adesso è un trampolino verso la politica Seduto su un patrimonio personale di quasi 55 miliardi di dollari, molto più cospicuo di quello posseduto da Donald Trump, il settantottenne Mike Bloomberg ha costruito la sua immensa fortuna su un impero che spazia dai dati della finanza al mondo dell'informazione. Laureato ad Harvard, nel 1981 Bloomberg ha fondato l'omonima società che opera nel settore media a livello internazionale e comprende tv, radio, agenzia di stampa e un canale Web per le notizie economiche. È stato anche sindaco di New York per tre mandati (eletto con la casacca repubblicana) e l'anno scorso ha tentato, senza successo, di dare la scalata alla nomination democratica per sfidare l'arcinemico Trump.Dal 2004 Bloomberg è apparso ripetutamente sul Chronicle of Philanthropy, la lista dei 50 americani che donano la maggior parte dei soldi nel corso dell'anno. Come altri miliardari anch'egli si è impegnato a donare metà della sua ricchezza a The Giving Pledge, l'iniziativa filantropica lanciata dai coniugi Gates con Warren Buffett. Alla propria fondazione, Bloomberg Philanthropies, il magnate ha donato 9,5 miliardi di dollari. La fondazione «lavora per assicurare una vita migliore e più lunga al maggior numero di persone». Cinque gli ambiti di intervento: arti, educazione, ambiente, innovazione di governo e salute pubblica. Gli investimenti sono sparsi in 510 città di 129 Paesi nel mondo. Tra le ultime iniziative si segnala la partecipazione a un pool di 16 donatori che hanno destinato 156 milioni di dollari per sostenere organizzazioni di artisti neri, latini, asiatici e indigeni americani. Bloomberg si è pure impegnato in una campagna per fare chiudere tutte le centrali Usa a carbone entro il 2030 e ha donato 100 milioni di dollari alle scuole di medicina più frequentate da studenti di colore per aumentare il numero di dottori neri negli Usa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-padroni-del-mondo-2648169851.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="mark-zuckerberg-regala-internet-ai-poveri-per-portarli-su-facebook" data-post-id="2648169851" data-published-at="1602444359" data-use-pagination="False"> Mark Zuckerberg regala internet ai poveri (per portarli su Facebook) Mark Zuckerberg, 36 anni, è il più giovane filantropo della storia: ha esordito nel 2010 con una donazione di 100 milioni di dollari per le scuole pubbliche di Newark, la più grande città del New Jersey. Nel 2012 lui e la moglie Priscilla Chan hanno annunciato di voler restituire la «maggior parte delle loro ricchezze» per «fare avanzare il potenziale umano e promuovere l'uguaglianza». Nel 2015, dopo la nascita della prima figlia, la coppia ha fondato la Chan Zuckerberg initiative (Czi) cui era destinato il 99% della ricchezza accumulata, che oggi vale 45 miliardi di dollari. I settori di interventi sono l'educazione, la scuola e il mondo giovanile, soprattutto nelle comunità più povere e nelle carceri. Naturalmente, la finalità principale è diffondere l'accesso alla Rete e l'utilizzo delle reti sociali tra le famiglie che ne sono prive. Secondo la Czi, Internet «ti offre la possibilità di istruzione se non vivi vicino a una scuola. Ti assicura le informazioni sanitarie su come prevenire le malattie e crescere i figli in salute, se non hai un medico a portata di mano. Ti garantisce l'accesso ai servizi finanziari, se sei lontano da una banca. Offre accesso al mercato del lavoro e opportunità simili se non hai la fortuna di vivere in un'economia dei beni». Insomma, gli Zuckerberg fanno in modo che chi non è ancora sui loro network (Facebook, Instagram, Whatsapp) vi approdi quanto prima. Anche le altre iniziative finanziate dalla Initiative hanno un forte valore di presenza politica: riforma dell'immigrazione, programmi per l'educazione al digitale dei bambini, creazione di piattaforme governative online, maggiore accesso a risorse finanziarie «grazie alla tecnologia». Anche per questo molti osservatori ipotizzano che il giovane mago del Web possa preparare uno sbarco in politica con la sua fondazione e la capacità di orientare la pubblica opinione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-padroni-del-mondo-2648169851.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="ted-turner-con-lui-gli-interessi-di-lobby-e-privati-sono-entrati-nellagenda-dellonu" data-post-id="2648169851" data-published-at="1602444359" data-use-pagination="False"> Ted Turner: con lui gli interessi di lobby e privati sono entrati nell’agenda dell’Onu Il miliardario statunitense Ted Turner è il fondatore della Cnn e poi copresidente della Time Warner inc. Nel 1997 aveva annunciato l'intenzione di donare 1 miliardo di dollari a favore dell'Onu e delle sue cause, con un versamento di 100 milioni di dollari all'anno per 10 anni tramite la sua Un Foundation (fondazione Nazioni Unite). Nella storia dell'Onu non era mai esistita una erogazione così consistente da un privato. Il tycoon disse che era stato spinto dalla decisione del Congresso Usa di sospendere l'erogazione degli arretrati che gli Stati Uniti dovevano corrispondere al Palazzo di Vetro. La donazione sarebbe stata effettuata in azioni Time Warner, che però persero valore dopo la fusione con Aol. A quel punto, Turner non aumentò la quantità di azioni destinate all'Onu, ma si trasformò in cercatore di fondi. Il profilo finanziario delle sue erogazioni ha continuato ad assottigliarsi, finché tra il 2015 e il 2016 i finanziamenti diretti del magnate alla sua fondazione si sono ridotti a zero: i flussi di denaro erano tutti da donatori esterni. Al 2019 la Un Foundation contava 90 multinazionali come partner, tra cui colossi come Bank of America, Chevron, Goldman Sachs, Jp Morgan, Nestlè.L'evoluzione della fondazione di Turner ha contribuito a trasformare l'Onu: nei suoi obiettivi, ora le Nazioni Unite debbono considerare non solo la pace e lo sviluppo dei popoli, ma anche gli interessi, quasi mai convergenti, dei colossi industriali e finanziari privati. I funzionari della Un Foundation sono consiglieri ordinari del segretario generale dell'Onu e partecipano regolarmente agli incontri settimanali del suo staff. Altri ingenti fondi (992,5 milioni di dollari tra il 1998 e il 2016) sono finiti all'Oms e all'Unicef. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem5" data-id="5" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-padroni-del-mondo-2648169851.html?rebelltitem=5#rebelltitem5" data-basename="bill-gates-l-ex-microsoft-adesso-governa-le-ricerche-sui-vaccini" data-post-id="2648169851" data-published-at="1602444359" data-use-pagination="False"> Bill Gates. L'ex Microsoft adesso governa le ricerche sui vaccini Il fondatore di Microsoft, Bill Gates, e la moglie Melinda sono gli apripista del moderno filantrocapitalismo. Nel 2005 la rivista Time li nominò «persone dell'anno» per l'impegno benefico con la rockstar Bono. L'anno dopo il finanziere Warren Buffett (allora l'uomo più ricco del mondo) versò alla loro fondazione una parte cospicua del suo patrimonio, al punto che Gates decise di dedicarsi a tempo pieno alla beneficenza. Furono loro tre nel 2009 a lanciare la campagna The giving pledge chiedendo ai più ricchi del pianeta di destinare gran parte delle loro sostanze alla filantropia: a settembre 2020 l'iniziativa aveva raccolto 211 firmatari di 24 Paesi. Per la rivista Fortune è la più massiccia azione di raccolta fondi della storia. Nel 2010 il segretario generale dell'Onu Ban Ki moon nomina Gates tra i suoi consiglieri per definire gli obiettivi del millennio. Ora è tra i principali investitori nelle aziende di biotecnologia che ospitano le ricerche per il vaccino contro il Covid-19, avendo donato 530 milioni di dollari all'Organizzazione mondiale della sanità. Alla sua fondazione fa capo la Global alliance for vaccine immunisation, la maggiore iniziativa pubblico privata globale per produrre vaccini nel mondo, e la Coalition for epidemic preparedness innovations nata nel 2017 dopo l'epidemia di ebola. Nel 2009 sono stati iniettati 1,5 miliardi di dollari nell'industria biotech acquistando rilevanti partecipazioni azionarie. La Fondazione Gates nacque nel 2000 con una dotazione di 15,5 miliardi di dollari, celebrata dai media planetari e osannata dai governi di tutto il mondo. Essa viene alimentata con i giganteschi profitti capitalizzati da Gates come fondatore di Microsoft. Nel 2012 un rapporto del Senato Usa calcolava in quasi 21 miliardi di dollari la quantità di denaro che l'azienda era riuscita a trafugare nei paradisi fiscali in un periodo di tre anni. Il danno prodotto alle casse erariali è stimato superiore a quando la fondazione ha investito ogni anno in azioni di filantropia, peraltro ottenendo notevoli agevolazioni o esenzioni fiscali.In questo modo, l'ente può permettersi di erogare più fondi alla salute globale di qualsiasi grande Paese donatore ed è il quinto donatore mondiale per promuovere l'agricoltura industriale nei Paesi in via di sviluppo, agendo come una vera superpotenza globale. Al 31 dicembre 2017, la fondazione contava 1.541 dipendenti distribuiti in 8 sedi (Seattle, Washington, Londra, New Delhi, Pechino, Addis Abeba, Johannesburg, Abuja) e una dotazione di 50,7 miliardi di dollari (valori 2017), composta dalla donazione di Gates (35,8 miliardi di dollari in azioni Microsoft) e dai 30,7 miliardi elargiti dal finanziere Warren Buffett, che rappresentano l'83% del suo patrimonio personale. La fondazione è divisa in due entità: quella che seleziona gli obiettivi ed eroga i fondi, e un fondo fiduciario gestito da Buffett che impiega al meglio il resto dei soldi. Il trust ha investito 466 milioni di dollari nella Coca cola, 837 milioni nella catena alimentare Walmart, 280 milioni nella multinazionale Walgreen Boots alliance per la vendita di farmaci al dettaglio, 650 milioni in due grandi produttori di schermi televisivi. Inoltre, tramite Buffett, un quarto del patrimonio è investito nella Berkshire Hathaway inc., la holding del finanziere americano.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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