2018-08-29
I motivi di chi parla non sono importanti. Conta solo la verità
Dal Watergate a Mani pulite, la storia è piena di clamorose vendette. Più che i moventi di Carlo Maria Viganò, a noi interessano i fatti.Alcuni agitatori di turibolo stanno spandendo colonne di fumo per coprire lo scandalo dell'arcivescovo pedofilo di Washington ed evitare di alzare il velo sulle coperture anche altissime di cui ha goduto all'interno della Chiesa. La vicenda è nota. Monsignor Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, in un dossier pubblicato in esclusiva sulla Verità ha puntato il dito anche contro papa Francesco, rimproverandogli di aver saputo delle accuse di molestie rivolte contro il cardinale Theodore Edgar McCarrick e di averlo lasciato agire indisturbato invece di destituirlo. Il Pontefice, nonostante fosse stato avvertito dallo stesso Viganò già nel 2013, avrebbe coperto e insabbiato il caso, fino a quando una vittima del prelato, pochi mesi fa, si rivolse al New York Times, costringendo Bergoglio a intervenire e a togliere la berretta cardinalizia al discusso McCarrick. Perché il Papa, pur sapendo dell'esistenza di un dossier contro l'arcivescovo di Washington, non agì? Come mai non diede seguito a ciò che aveva già deciso Benedetto XVI, il quale prima di dimettersi dispose che il cardinale lasciasse il seminario in cui viveva e si ritirasse in penitenza e isolamento? Esiste davvero, come sostiene Carlo Maria Viganò, un rapporto sulla potente lobby gay all'interno della Chiesa, una lobby di cui farebbero parte alti prelati?Queste sono alcune delle domande che a seguito della pubblicazione della sconvolgente testimonianza dell'ex nunzio apostolico abbiamo rivolto direttamente al Papa. Il quale, di ritorno dal viaggio in Irlanda dove ha chiesto scusa per gli abusi commessi da uomini di Chiesa, si è rifiutato di rispondere, invitando i giornalisti a leggere e valutare il documento scritto di proprio pugno da monsignor Viganò. La decisione di non parlare e di ritenere non credibili le accuse dell'ambasciatore della Santa Sede negli Stati Uniti ovviamente ha un senso: delegittimare la testimonianza del vescovo che dice di aver avvertito il Papa dei comportamenti scandalosi del cardinale di Washington. Il messaggio di Bergoglio ovviamente è stato subito raccolto e ieri sulle pagine di diversi giornali si è provato a fare a pezzi l'ex nunzio, accusandolo di nutrire rancori verso il Pontefice che lo avrebbe pensionato. Viganò sarebbe un corvo, un uomo di Chiesa roso dall'ambizione e dalla frustrazione per non essere diventato cardinale. Anzi, no: alle origini del suo risentimento contro il Papa ci sarebbe la storia dell'appartamento vaticano che avrebbe dovuto lasciare, trasferendosi a Varese. E poi, per gettare altro fango contro il monsignore che ha parlato, ecco spuntare una faccenda di liti in famiglia per una questione di soldi, ossia di un'eredità di cui l'ex nunzio si sarebbe appropriato.Insomma, il grande accusatore sarebbe poco attendibile, perché ci sarebbero ombre sul suo passato. Ma nonostante l'agitare di turiboli sulla stampa italiana, il problema non è il passato di monsignor Viganò, ma quello di Bergoglio. Il Papa nel 2013 sapeva degli abusi di cui si era macchiato il cardinal McCarrick con giovani seminaristi oppure no? Era a conoscenza del fatto che l'arcivescovo, approfittando della sua posizione, si portava a letto gli aspiranti sacerdoti? E se lo sapeva perché non mosse un dito? Cosa ci importa delle ragioni per cui Viganò si è deciso a parlare? Può essere che lo abbia fatto perché volesse indossare a sua volta la porpora oppure perché essendo vicino agli ottanta non voglia portarsi i segreti nella tomba, ma questo non influisce minimamente sul suo racconto. Ogni talpa ha le sue motivazioni quando decide di passare informazioni riservate alla stampa. Quando l'ex vicedirettore dell'Fbi, Mark Felt, spifferò i segreti del Watergate non lo fece per nobili motivi, ma perché non era stato promosso. Successivamente finì anche nei guai e dovette intervenire Ronald Reagan che lo graziò. Ma al di là della sua controversa figura, ciò che raccontò a proposito di Richard Nixon e dei suoi uomini era vero. Quando scoppiò Mani pulite a mettere i pm sulla pista di Mario Chiesa non fu il caso ma una moglie tradita, la quale reclamava gli alimenti e non ottenendoli raccontò del fiume di denaro che scorreva in casa dell'ex marito. Volete altre storie di gole profonde che per motivi vari hanno messo nei guai i potenti? L'ultima è Stormy Daniels, la pornostar che ha accusato Donald Trump di averla pagata per tacere la sua relazione con il presidente. La donna non lo ha fatto certo per nobili motivi, ma per tornare un po' in auge e incassare un po' di grano con qualche comparsata in tv. Tuttavia, nonostante le meschine ragioni della sua conversione all'antitrumpismo, a nessuno degli schizzinosi colleghi che oggi storcono il naso di fronte alle parole di monsignor Viganò è venuto da chiedersi perché una pornostar attaccasse il capo della Casa Bianca. Una donna a luci rosse va bene e passa anche per eroina se mette nei guai Trump, un prete che accenda la luce gialla sulle scelte del Papa invece finisce per essere un corvo. È la doppia morale dei paladini del Me too. Un produttore che molesta un'attrice è un maiale e va cacciato dall'Academy. Un cardinale che molesta un seminarista è al massimo un peccatore e va tenuto in seminario. Ma così è come mettere uno squalo in un acquario con i pesciolini. Con la benedizione del Papa?
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