2020-11-12
I morti dimenticati da chi urla all’islamofobia
A cinque anni dalla mattanza al Bataclan e per le strade di Parigi, si giustifica ancora il vittimismo musulmano in nome del rispetto delle tradizioni. Così, spiega l'autrice franco-algerina Fatiha Agag-Boudjahlat, si fa il gioco dei fanatici che nelle moschee arruolano i kamikaze.Fu un anno vissuto pericolosamente, il 2015, per i francesi. I più colpiti in Europa da un rosario di atti terroristici di matrice islamica fondamentalista. L'anno si aprì infatti con la strage di Charlie Hebdo e si concluse il 13 novembre con l'eccidio del Bataclan.Cinque anni fa l'incubo iniziò alle 21.20 fuori dallo Stade De France dove si stava disputando l'amichevole Francia-Germania, alla presenza del capo dello Stato Francois Hollande, con un kamikaze che si fece esplodere quando fu individuato per il comportamento sospetto. Era purtroppo solo il primo di una serie di attacchi coordinati, tra bar, bistrot e fast-food nel centro di Parigi, che lasciò per terra 40 vittime.Il peggio però doveva ancora arrivare. Con la mattanza all'interno del teatro - dove si stava esibendo il gruppo rock americano Eagles of Death Metal - che partì alle 21.40 e terminò, 90 vittime dopo, con l'uccisione dei componenti del commando e la rivendicazione da parte dell'Isis. Bilancio complessivo della notte di sangue: 130 morti di 26 nazionalità diverse, tra cui l'italiana Valeria Solesin, 28 anni.Oggi il clima in Francia è tutt'altro che migliorato, e non solo per i tre morti sgozzati di Nizza. Quando si è trattato di ricordare con un minuto di silenzio nelle scuole Samuel Paty, professore decapitato per aver mostrato le vignette sull'Islam all'origine del massacro nella redazione di Charlie Hebdo, ci sono stati ragazzi musulmani che sono usciti dalle aule. È avvenuto per esempio a Tolosa, città insanguinata (insieme a Montauban) da una serie di omicidi già nel 2012: tre militari e quattro persone, tra cui tre bambini, fuori da una scuola ebraica, autore un 23enne franco-algerino di fede musulmana, ucciso dalla polizia.Lo racconta Fatiha Agag-Boudjahlat che nella scuola media di quella città insegna Storia e Geografia come Paty, e si è fatta un nome per come si è pubblicamente schierata a difesa dei valori di laicità incarnati dalla Repubblica francese, tanto che l'anno scorso è stata insignita del Prix de la laicité de Comité Laicité République.Quando un anno fa, il 10 novembre 2019, fu organizzata una grande manifestazione contro l'islamofobia, lei prese le distanze sia dal tenore dell'appello alla mobilitazione sia dai discorsi pronunciati in piazza, sostenendo che così si otteneva, per l'eterogenesi dei fini, un solo obiettivo: amalgamare ancora di più la comunità musulmana nel segno della radicalizzazione. Perché se tu urli, sbagliando, che la società è islamofoba, offri su un piatto d'argento un argomento a chi vuole arruolare kamikaze nelle moschee. Quaranta anni, nata in Francia da genitori algerini, musulmana («molto credente spiritualmente, ma non mi sogno certo di vivere nel VII secolo»), con sette fratelli di cui due islamisti, ha pubblicato i suoi due libri con una casa editrice cattolica, le Editions du Cerf, fondata nel 1929 e specializzata in opere religiose e gestita dall'ordine domenicano. Nel primo, Le grande detournement (Il grande diversivo), attaccava -lei femminista- l'ipocrisia di quanti, uomini e donne, sedicenti sostenitori del movimento di liberazione della donna, giustificano l'uso del velo integrale come scelta autonoma e indipendente. Velo che per esempio sua madre, quando arrivò in Francia dall'Algeria, non portava: «Ci sono femministe in Francia che denunciano il velo alle donne in Iran, ma lo tollerano qui come espressione di libertà femminile», quando invece è un omaggio al patriarcato più vetusto.Nel secondo, appena uscito, torna sul tema: Combattre le voilement (Contrastare il velo), allargando la riflessione sugli effetti perversi di un malinteso multiculturalismo. Per cui, è questo il suo j'accuse, con l'argomento del «rispetto delle tradizioni» si accetta per esempio che alle ragazze musulmane sia richiesto o imposto il certificato di verginità.Fatiha Agag-Boudjahlat teme innanzi tutto l'assuefazione all'orrore: «Negli ultimi anni abbiamo avuto molteplici episodi cui le persone stanno facendo via via l'abitudine. Alla fine, rassegnati, finiscono per dire: facciano un po' come vogliono, gli integralisti; se intendono applicare la sharia si accomodino, purché non si mescolino con noi e ci lascino in pace». Solo che così si demoliscono le fondamenta della Repubblica laica: si abdica ai propri principi e si approva la nascita di una sorta di comunità separata, un apartheid non imposto ma accettato, addirittura sollecitato, per quieto vivere. Un atteggiamento che fa solo il gioco di quelli che la professoressa definisce «iper-musulmani», suoi familiari compresi («i miei 20 nipoti, figli dei miei fratelli, non li considero più recuperabili»), che non accettano la dissidenza: «Chi non è con loro è contro di loro, un traditore». Così, è il ragionamento conseguente, invece di essere grati alla Francia per aver consentito loro condizioni di vita comunque migliori rispetto a quelle che vivrebbero in molte delle realtà da cui provengono loro o i loro genitori, si esercitano nel vittimismo, «bevendosi» i discorsi violenti e talvolta farneticanti degli imam nelle moschee.Da ultimo, ma non per ultimo (già nel 2016 ha preso la parola in un dibattito per stigmatizzare i «faux amis de la laicité et idiots utiles», i falsi amici della laicità e gli utili idioti: il video è su Youtube), sul banco degli imputati finisce il politicamente corretto in salsa transalpina, quella che Agag-Boudjahlat bolla come «schizofrenia» di una certa elite di sinistra, l'attitudine «islamogauchista» nel segno del terzomondismo pret-a-porter.Il corollario è sconfortante: vanno bene striscioni, stendardi e bandiere arcobaleno, arabe, palestinesi, tutte purché non quella francese, perché fa tanto «nazionalismo lepenista». «Bisogna insegnare ai ragazzi che per il terrorismo non ci sono scusanti», conclude. Altrimenti passerà il messaggio che Charlie Hebdo pubblicando le vignette, e Paty facendole vedere in classe, «in fondo se la sono andata a cercare, e il loro tragico destino se lo sono meritato».
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)