2023-01-11
I medici a gettone finiscono in tribunale
Una dottoressa calabrese specializzata in «ritocchi» è stata spedita in pronto soccorso a Novi Ligure: lì ha dimesso una donna morta poche ore dopo. Adesso indaga la Procura. Nel cda della cooperativa c’è anche un politico cacciato dalla Meloni per frasi omofobe. Il governatore della Regione Calabria, il forzista Roberto Occhiuto, sul nostro giornale è andato all’attacco delle cooperative che forniscono alle Asl medici «a gettone», con costi che avrebbero mandato a picco i conti dell’ente. Questo genere di «cottimisti» viene utilizzato soprattutto nei pronto soccorso e, ha spiegato il presidente, per tre turni arrivano a costare 108.000 euro al mese, contro i 21.000 di tre assunti chiamati a coprire gli stessi orari. Un’esagerazione che fa ricche le coop, ma affossa i bilanci regionali.Ma c’è chi dalla Calabria va a fare il medico «a gettone» al Nord con risultati non sempre entusiasmanti. È il caso della dottoressa M. B., 37 anni, «esperta di medicina estetica», la quale, pur senza specializzazione, è stata spedita in prima linea da una cooperativa di Vercelli nel pronto soccorso di Novi Ligure. Ma il 26 dicembre una paziente arrivata con i sintomi dell’enfisema è stata dimessa rapidamente. Risultato la donna sarebbe deceduta circa due ore dopo e per questo il medico è stato iscritto sul registro degli indagati per omicidio colposo. Più precisamente, alle 12:54 del giorno di Santo Stefano R. S., settantaseienne residente a Genova, ma in villeggiatura in Piemonte, affetta da una «broncopneumopatia cronica ostruttiva», si presenta «con mezzi propri» al pronto soccorso dell’ospedale San Giacomo di Novi Ligure. Il triage della struttura la classifica come codice arancione, ovverosia come «urgenza indifferibile», e indica come motivo di accesso «altre malattie». Dopo i controlli, tra cui un elettrocardiogramma, l’anziana signora viene dimessa da M. B. Nel foglio di uscita della donna si legge: «Si rimanda al medico curante; si consiglia visita pneumologica di controllo; si consiglia aerosol una volta al giorno». Il 27 dicembre la stazione dei Carabinieri di Gavi ligure invia alla Procura di Alessandria un’informativa di reato (a modello 45), che subito viene protocollata. Ai magistrati i militari comunicano il decesso di R. S., avvenuto il giorno prima, a poche ore dalla sua dimissione dal Pronto soccorso. Il 27 la dottoressa era già tornata in Calabria dove risulta avere uno studio di medicina estetica. Nella biografia sul suo sito è così presentata: «Laureata in Scienze biologiche nel 2010, curriculum patologico-molecolare, coltiva la sua passione per le scienze e prende la seconda laurea in Medicina e chirurgia nell’ottobre del 2018. Amante del mondo scientifico, iscritta presso la scuola internazionale di Medicina estetica del Fatebenefratelli a Roma, attualmente al secondo anno. Lavora come medico di guardia medica e come medico estetico nella sua terra natale in Calabria». Sul suo profilo Facebook i follower sono invitati a fare un «ritocchino dopo Natale», consigliato per «ridare luminosità al volto, a ridefinirne le linee e a rinfrescare lo sguardo» grazie a «botox e filler». Il messaggio è del 28 dicembre, ovvero di due giorni dopo la morte di R. S., ma le proposte di intervento proseguono anche nei giorni successivi sulla pagina che conta 2.301 mi piace e 2.315 follower. Purtroppo, se in Calabria dopo Natale si pensa ai miglioramenti estetici, in Piemonte bisogna preoccuparsi di organizzare i funerali. La ditta per cui lavora la dottoressa M. B., la Amaltea società cooperativa sociale, non è nuova alle polemiche. Nell’ottobre scorso la testata online lospiffero.com ha svelato il caso di «un medico ingaggiato» proprio dalla cooperativa «che avrebbe prestato servizio al Pronto soccorso di Novi Ligure benché sospeso dall’esercizio della professione con un provvedimento dell’Ordine dei medici di Genova». «Ma il provvedimento era stato taciuto alla cooperativa e quando ne siamo venuti a conoscenza abbiamo interrotto immediatamente la collaborazione e chiesto un risarcimento che abbiamo ottenuto nella misura di circa 20.000 euro» ci ha spiegato l’avvocato Giuseppe Fiore, legale dell’azienda, la quale nei mesi scorsi si è aggiudicata il servizio «esternalizzato di assistenza medica d’urgenza in Dea/Ps (Dipartimento di emergenza, urgenza e accettazione/pronto soccorso» presso la Asl di Alessandria, per operare negli ospedali di Novi Ligure, Acqui, Ovada, Tortona e Valenza. La presidente è Patrizia Piantavigna, ex assessore in un Comune del Vercellese, e il vicepresidente si chiama Guglielmo La Mantia, sessantaduenne ex consigliere comunale di Fratelli d’Italia. Completa il cda il siracusano Giuseppe Cannata, specialista in chirurgia vascolare e tuttora consigliere di Forza Italia. Cannata, marito della Piantavigna ed eletto da indipendente nelle fila di Fdi, nel 2019 finì su giornali e tv a causa di questo post: «Ammazzateli tutti ’ste lesbiche, gay e pedofili». Giorgia Meloni lo mise immediatamente alla porta: «Le sue affermazioni non rispecchiano in nessun modo il pensiero di Fdi. Non c’è posto per chi scrive certe cose in Fratelli d’Italia». E lui è tornato in Forza Italia.Per quelle frasi è stato indagato per diffamazione, ha patteggiato 4 mesi di reclusione e ha pagato un rimborso all’Arcigay Vercelli di 3.000 euro «per spiegare che non aveva intenti omofobi, ma che si era trattata di una polemica sopra le righe». Ma nel curriculum di Cannata c’è anche un altro patteggiamento a 5 mesi e 10 giorni per falso ideologico, pena sostituita con una multa di 40.000 euro dopo che la Polizia avrebbe accertato che per aiutare un’associazione vercellese ad aggiudicarsi il servizio di ambulanze, Cannata avrebbe attestato falsamente la frequentazione di un corso per soccorritori da parte di due aspiranti volontari, nonché il superamento dell’esame «attraverso verbali fasulli».«Non comprendo quale possa essere la rilevanza dei precedenti penali del dottor Cannata in merito all’attività svolta dalla cooperativa in provincia di Alessandria» protesta l’avvocato Fiore. E a proposito della vicenda di M. B., il legale conclude: «Non siamo stati informati né dalla Procura, né dalla Asl, ma nessuna contestazione è stata mossa nei confronti della cooperativa». La dottoressa, con La Verità, non si è nascosta: «Credo che sia stato fatto tutto quello che c’era da fare, se non di più. Purtroppo sono complicanze che possono succedere». Poi ha continuato: «La signora ha insistito per andarsene e, quindi, visto che in quel momento stava bene l’abbiamo dimessa. Se ci fosse stato anche un solo parametro fuori posto penso che chiunque l’avrebbe trattenuta». Quando le ricordiamo il suo curriculum senza alcuna specializzazione rivendica di avere svolto «corsi in medicina d’urgenza». E il lavoro da pendolare? «Sono andata solo a Novi Ligure. Sono tre o quattro mesi che lavoro lì, faccio sopra e sotto. Non è la mia prima esperienza, esercito anche in un reparto normale, in ospedale a Cosenza». Un impiego, con un contratto di collaborazione, che la donna non ha evidenziato nel suo curriculum in Rete. Alla fine della chiacchierata l’indagata puntualizza: «Uno non lavora se si sente stanco». Insomma se errore c’è stato (e a suo giudizio non c’è stato) la colpa non sarebbe del lavoro a cottimo.
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