2021-10-10
I manager caduti nella rete dei pm
Paolo Barletta cercava fondi per l'hotel di Maratea affidato al figlio dell'ex socio di D'Alema jr. Nei guai pure l'inventore dei semafori intelligenti e l'ex banchiere amico di Francesco Cossiga.Sulla stampa patinata viene spesso definito come un investitore visionario. Al punto da puntare otto anni fa su Chiara Ferragni, la regina delle influencer, e sulla UFirst, l'app saltafila tra le più scaricate durante il lockdown. Poi, nel 2020, Paolo Barletta imprenditore trentenne originario dei Castelli Romani fonda con Nicola Bulgari la Arsenale, società in cui sono confluiti alcuni importanti progetti imprenditoriali: Soho House Roma, Rosewood Venezia e Santavenere a Maratea. Per quest'ultimo il visionario è finito nei guai per aver puntato, questa volta, sui cavalli sbagliati: gli avvocati Luca Di Donna e Gianluca Esposito e la cricca del 5 per cento. E si è ritrovato indagato per traffico illecito di influenze. Qualcuno del gruppo deve avergli promesso che grazie alle entrature in Invitalia avrebbe potuto contare su 30-40 milioni di euro per il suo Santavenere. Dall'ufficio stampa di Invitalia, contattato dalla Verità, fanno sapere che «non è mai stata presentata alcuna pratica né alcuna richiesta di finanziamento».Ma sarebbe arrivata una parcella dagli avvocati della cricca, che il Gruppo Barletta contesta. Finirà probabilmente con un contenzioso. Anche perché, prendendo tutti in contropiede, lo stesso Barletta nel gennaio scorso annunciò una importante ristrutturazione dell'iconico hotel di Maratea affidato ad Aldo Melpignano, figlio di Sergio, il fiscalista arrestato durante Tangentopoli che iniziò Massimo D'Alema, all'epoca presidente del Copasir, alla nobile arte della produzione del vino con la sua azienda agricola Madeleine di Narni, in Umbria. Prima del trasferimento di tutte le quote dell'azienda ai D'Alema, nel 2009, «per dieci mesi Melpignano è stato socio di fatto di Francesco D'Alema (figlio minore di Massimo, ndr) con il 60 per cento delle quote. Ed è rimasto dentro l'impresa per un altro anno con l'1 per cento».Ma a scorrere l'elenco degli indagati - oltre ai tre avvocati, un'altra decina tra imprenditori e manager - si scopre chi accompagna Barletta in questa avventura giudiziaria.Nella rete dei pm c'è finito pure Raoul Cairoli da Rovellasca, inventore dei semafori T-red, quelli che multano automaticamente chi passa col rosso, che nel 2008 fu arrestato in un'inchiesta sugli impianti truccati e poi assolto nel 2014. Per lui e per la sua socia, Monica Francesca Barlusconi, l'accusa è di traffico illecito di influenze. Sono i soci della israeliana Batm advanced communication che detiene il 95 per cento del capitale sociale della Adaltis, società che, secondo l'accusa, grazie alle intermediazioni della cricca sarebbe riuscita a piazzare test molecolari alla struttura del Commissario per l'emergenza Covid.Stessa accusa per Lorenzo Gragnaniello da Napoli, classe 1957, che sul suo curriculum fa sfoggio di essere «l'inventore dell'indice di performance delle strutture complesse di Medicina di Laboratorio (Lcp) Logistic chain process», e che di Adaltis è consulente. E anche il presidente dei revisori della Fondazione per i beni culturali ebraici Roberto Steinhaus, commercialista romano, si è trovato in mezzo in qualità di manager strategico della Adaltis. Società della quale risultano indagati anche i consiglieri d'amministrazione Marco e Daniele Spadaccioli. Ci sono poi Nicola Adile Diego Vacca, militante di Meritocrazia Italia e amministratore della Splendida Cortina srl, società in affari con Barletta. E, dulcis in fundo, l'ex banchiere più giovane d'Italia Claudio Calza, amico fraterno del presidente Francesco Cossiga, che dopo il suo lancio dal Cda del Banco di Sardegna a soli 38 anni è finito nei crac di Italease e del costruttore Danilo Coppola. Anche per lui c'è l'ipotesi di traffico illecito di influenze. Viene indicato dagli inquirenti come «uomo di fiducia e consulente» di Barletta.