2021-06-27
I grillini tormentati: «Per farci candidare è meglio scegliere Conte o l’Elevato?»
Gli eletti calcolano i seggi a rischio in caso l'ex premier lasci. E tra i mediatori, con Roberto Fico e Luigi Di Maio, spunta anche Domenico De Masi.Al prossimo giro gli elettori ci falcidiano di più se andiamo da soli dietro a Beppe il Visionario, come si è definito giovedì tra una sparata e l'altra, o se diventiamo un partito come gli altri grazie all'avvocato normalizzatore? È questa la domanda che si fanno deputati e senatori del Movimento 5 stelle in questo fine settimana di tensione, in attesa di vedere se domani Giuseppe Conte avrà il coraggio di mandare a stendere Beppe Grillo e fonderà il suo partito con Rocco Casalino. Sondaggi alla mano, se oggi si votasse, i grillini starebbero intorno al 15-17%, ovvero alla metà dello storico risultato del marzo 2018, con la parte alta della forchetta che sarebbe toccata solo nel caso in cui l'ex premier fosse alla guida del Movimento. In ogni caso, complice la riduzione del numero dei parlamentari da 900 a 600 alle prossime politiche, due terzi degli attuali deputati a 5 stelle rimarrebbero a casa. Conte cerca di mantenere i nervi saldi, fa dire che lui è «tranquillissimo» e ai suoi fedelissimi nel M5s ha spiegato che non intende rispondere a Grillo «scendendo al suo livello», che giovedì è stato quello degli insulti. Per questo motivo avrebbe deciso di aspettare almeno fino a domani prima di spiegare, in modo «il più possibile fattuale», le proprie ragioni sul nuovo statuto, sul ruolo del garante Grillo, sul posizionamento del partito in politica estera (Conte teme un appiattimento su Pechino che perfino Luigi Di Maio ha capito non essere più redditizio di questi tempi) e, naturalmente, sulla questione del doppio mandato. Non se ne parla da giorni, ma è quella che più interessa i gruppi parlamentari. Conte vuole abolire il tetto e sa di avere con sé il grosso dei deputati e di essere l'unico che può farlo senza prendersi gl'insulti della base, per il semplice fatto che lui all'epoca del Movimento «anticasta» era ancora un semplice avvocato di simpatie piddine. Grillo invece resta contrario all'abolizione della tagliola, anche se negli ultimi giorni ha fatto capire che si possono allargare le maglie se la base (consultata chissà come, ora che Rousseau non c'è più) è d'accordo su poche e selezionate eccezioni «per meriti indiscutibili». A Montecitorio come a Palazzo Madama, tra i pentastellati, girano elaborazioni sui seggi di un prossimo Parlamento sulla base dei sondaggi attuali. Con la premessa che ovviamente valgono quel che valgono perché mancano quasi due anni e i sondaggi stessi, ormai, sono uno smaccato strumento di marketing politico, questi sono i numeri che circolano e che aiutano a capire lo stato d'animo del deputato medio a 5 stelle, che assiste muto e basito allo scontro tra i capi. Dopo le espulsioni di chi non ha votato la fiducia al governo Draghi, il gruppo M5s è rimasto con 162 onorevoli e quello a Palazza Madama conta 75 senatori. Con la riduzione dei seggi a quota 600, come da legge voluta fortemente dagli stessi grillini nell'ottobre del 2019, e con il temuto dimezzamento dei consensi nelle urne, in caso di alleanza con il centrosinistra si arriverebbe a circa 65 deputati e 35 senatori. Se invece il Movimento andasse da solo (ipotesi più probabile con Grillo, o il «destrorso» Di Maio, al comando) i numeri scenderebbero ancora e M5s potrebbe portare alle Camere non più di 75-80 rappresentanti in totale. Perciò molti deputati attuali, con il cuore, starebbero sempre con il fondatore, ma con il pallottoliere (e la cadrega) vedono in Conte una possibile ancora di salvezza dal cupio dissolvi dell'ultimo Grillo.Intanto, per provare a ricucire lo strappo, scendono in campo i «mediatori». Tra i quali compare, oltre a Di Maio e Roberto Fico, addirittura il sociologo Domenico De Masi, considerato vicino all'Elevato. Questi numeri, e questi delicati equilibri, li conosce bene pure Conte. Anche se i suoi detrattori, a cominciare dal comico genovese, non credono che se ne andrà sbattendo la porta e neppure che da solo possa andare oltre il 5%. «Conte al 10% con una sua lista è una favola che raccontano al Pd e sui giornaloni che da sempre ci vogliono morti», sostiene un sottosegretario grillino. Sarà, ma nel Movimento di oggi nessuno sembra avere la lanterna giusta per illuminare la notte. Tanto è vero che in attesa delle famose «scuse» che Conte pretenderà da Grillo, nessuno ha voglia di parlare. E quei pochi che parlano non dicono nulla. Come Paola Taverna, che con Conte ha un filo diretto, e ieri ha detto: «Abbiamo bisogno di lasciare a Giuseppe Conte qualche giorno di riflessione e poi sarà lui a dire come sono andate le cose». Poi, alla domanda se l'ex premier sia ancora disposto a caricarsi questa croce, la vicepresidente del Senato ha risposto così: «Conte ci ha espresso la volontà che le cose vadano per il meglio, poi lo dirà lui». Ma il problema non è se le cose andranno per il meglio, ma per quanti andranno per il meglio.