2022-03-17
I non innocenti abbagli dell’informazione partigiana
«La Stampa» spaccia una strage di russofoni per un massacro di ucraini. E c’è chi dipinge falsamente Mosca sull’orlo del caos.La guerra della Russia contro l’Ucraina ha già fatto molte vittime, ma oltre ai tanti innocenti uccisi si segnala una serie di effetti collaterali che non sono di secondaria importanza. Non ho intenzione di parlare delle conseguenze economiche, che pure ci sono e che gli italiani hanno già avuto modo di toccare con mano. I rincari del prezzo della benzina, del gas e di molti generi alimentari sono noti, perché li raccontiamo da giorni. No, tra le ripercussioni di cui mi pare necessario scrivere c’è il sempre più evidente impatto che la guerra ha sull’informazione. Non alludo agli inviati che sono finiti nel mirino dei cecchini: a rischio della vita, raccontano con coraggio ciò che vedono e senza di loro non sapremmo nulla o quasi di ciò che realmente accade. Tuttavia, quando accendo la tv o sfoglio le pagine di alcune testate non posso fare a meno di notare la partigianeria che spinge certi colleghi a scrivere e mostrare dalle retrovie delle loro redazioni ciò che non risponde al vero. Capisco che idealmente cronisti e commentatori, pur al calduccio del loro salotto, vogliano dare prova di essere impegnati contro la guerra e dunque si schierino con i più deboli, cioè con gli ucraini, che in questo conflitto sono gli aggrediti. Ma un conto è partecipare al dramma e alla tragedia di milioni di civili che fuggono dalle loro case in cerca della pace e della libertà, un altro è propinare balle. A che cosa mi riferisco? Beh, prendete la prima pagina della Stampa di ieri, che oggi riproduciamo. Il giornale diretto da Massimo Giannini ha pubblicato la grande fotografia di un uomo che si copre il volto in mezzo ai cadaveri. Il titolo del quotidiano torinese era «La carneficina». Occhiello: «I russi tengono in ostaggio 400 persone all’ospedale di Mariupol. Nuova offensiva sulla capitale. Zelensky: non entreremo nella Nato. Uccisi altri due reporter». Commenti: «I traumi dei bimbi in fuga a Leopoli», «Così Kiev affronta l’assalto finale». Chiunque veda questa pagina non può che essere portato a pensare che la strage rappresentata dall’immagine sia avvenuta a Kiev, oppure a Mariupol o a Leopoli. E che comunque sia opera dei russi, i quali hanno sganciato uno dei loro micidiali missili in mezzo alla folla, uccidendo decine di civili. In realtà, quello scatto immortala il massacro avvenuto a Donetsk, cioè nella capitale di una delle autoproclamate repubbliche indipendenti del Donbass. In pratica, un missile balistico lanciato nel centro della città ha fatto strage di russofoni, cioè di ucraini di lingua russa. Dunque, la mattanza non ha a che fare con Kiev, Mariupol o Leopoli, ma tutto in quella pagina lascia intendere il contrario. Guardando il giornale si è infatti portati a concludere che le bombe di Putin abbiano fatto una carneficina. Non starò a dire che Mosca accusa Kiev dell’eccidio e che dalla capitale ucraina respingano al mittente gli addebiti, dicendo di non avere alcuna responsabilità. Né ho intenzione di addentrarmi sulla tipologia del razzo: non sono un esperto di armamenti e non so dire chi dei due schieramenti abbia a disposizione i missili a raggio corto Tocka. Secondo il fotografo che ha scattato la fotografia, il lancio sarebbe avvenuto dalla parte in cui sono acquartierati gli ucraini, ma il reporter potrebbe sbagliarsi, oppure non essere imparziale. Due cose, tuttavia, sono certe: la prima è che i morti sono una ventina e tra di loro ci sono bambini, donne e pensionati; la seconda è che il missile è caduto a Donetsk ed è facile immaginare che le vittime siano in maggioranza russofone. Un dettaglio? Non proprio, visto che da anni in quella provincia si combatte e si muore e che quanto è accaduto nella regione dal 2008 a oggi è alle origini della guerra o, per lo meno, è il pretesto per l’invasione. Ora, a parti rovesciate, spacciare una strage avvenuta a Kiev per una nel Donbass è una scelta che i supremi giudici della correttezza dell’informazione, cioè Riotta e compagni, bollerebbero come fake news, cioè manipolazione. Ma siccome si tratta del contrario, cioè di una carneficina di russi, alla Stampa si sorvola, così come sempre nel quotidiano sabaudo si sorvola sul fatto che il battaglione Azov, quello a cui stiamo consegnando le nostre armi in difesa dell’Ucraina, sia filo nazista. Anzi, oltre a sorvolare si fa sparire l’articolo che ne parlava. Aggiungo un’ultima cosa che ho notato da quando i giornalisti hanno messo l’elmetto, entrando in guerra con le notizie. Da giorni si parla del fallimento della Russia e delle persone ridotte, se non alla fame, per lo meno a lunghe file per ritirare soldi al bancomat o accaparrarsi i pochi generi alimentari ancora disponibili nei supermercati. L’altra sera a Fuori dal coro ho visto un servizio dall’interno di una banca russa e non solo non ho scorto alcun segnale dell’imminente default, ma nemmeno ho visto persone disperate dare l’assalto agli sportelli. Non solo: lo scrittore Nicolai Lilin, autore di L’educazione siberiana e oggi residente in Italia, ha inviato un commento e un video sulla vita a Mosca e in nessuno dei due ho trovato traccia di ciò che abitualmente viene raccontato sui giornali e in tv. Naturalmente a nessuno è vietato di fare il tifo per gli ucraini e nemmeno di pensare che Vladimir Putin si muova come Hitler (altro titolo della Stampa) o che lo zar russo sia un fascista di sinistra (sempre La Stampa: chissà perché anche un ex comunista è fascista e mai stalinista). Tuttavia, alimentare l’idea che il numero uno del Cremlino sarà fermato da una rivolta di piazza o che la guerra la vincerà il mercato, facendo fallire le ambizioni espansionistiche russe, temo che non sia informazione, ma soltanto un’illusione. Peraltro sulla pelle di gente che, a differenza di tante nostre penne armate, combatte davvero e rischia la vita.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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