2022-01-31
I falsari del covid: tutte le bugie numero per numero
Il bollettino giornaliero del ministero e l’Istituto superiore di sanità comunicano statistiche molto parziali. Il silenzio peggiore è non fare cenno alla situazione nelle diverse fasce di età. La «Verità» fa chiarezza.Contagi, vaccinazioni, ricoveri, morti. Ogni giorno si rincorrono i conteggi. Ma a due anni dallo scoppio della pandemia si scopre che il bollettino giornaliero, invece di darci una fotografia chiara e precisa dell’andamento, non fa che alimentare la confusione. La Verità ne parla da settimane e finalmente qualcosa si muove: in queste pagine facciamo il punto.Il caos nasce innanzitutto dal fatto che i numeri dei contagi non vengono comunicati per classi di età. La conseguenza è la diffusione di informazioni fuorvianti. Di recente, per esempio, è stata diffusa questa notizia: «Rischio terapia intensiva 39 volte maggiore per i non vaccinati». E a fine dicembre, gli stessi giornali scrivevano: «Rischio terapia intensiva 85 volte superiore per i no vax». Come ha fatto notare la Verità, questo dato riguardava la popolazione con più di 80 anni, non tutti gli italiani. Quindi non c’è stato un calo statistico dovuto alle vaccinazioni, ma semplicemente i dati sono stati comunicati disaggregandoli per età. I grafici e le curve dei contagi cambiano radicalmente da una classe anagrafica all’altra, ma il bollettino giornaliero dei contagi, dei ricoverati e dei decessi considera i numeri aggregati senza fare distinzioni. Il che contribuisce a mantenere alto lo stato di allarme e a giustificare il protrarsi della situazione di emergenza.L’Istituto superiore di sanità sforna dati aggregati che vengono poi rilanciati dai media creando allarmismo. In realtà, il dato consolidato è generico e non rispecchia le diverse situazioni. Le possibilità di finire in terapia intensiva o addirittura di morire sono molto diverse a seconda dell’età. Per chi ha meno di 40 anni i rischi sono di gran lunga inferiori rispetto a chi ha superato la boa degli 80. Ma siccome bisogna assoggettare l’intera popolazione, ecco che il super green pass diventa obbligatorio per tutti. Allo stesso modo è diventato serrato il pressing per vaccinare gli under 18 nonostante l’assenza di dati scientifici relativi a questa fascia di età e l’accertata bassissima percentuale di effetti gravi dal contagio. Mancano anche i dati su possibili reazioni avverse. Non avendo alle spalle una letteratura scientifica in materia, risulta impossibile fare una valutazione costi/benefici. Inoltre, fino a un paio di settimane fa i dati sugli under 12 venivano divisi per classi di età: meno di 3 anni, 3-5 anni e 6-11 anni. Questo consentiva di confrontare l’andamento. Così è emerso che poco più del 2% dei casi under 3 ha avuto necessità di un ricovero, mentre solo lo 0,3% dei casi fra 3 e 5 anni e lo 0,2% tra 6 e 11 ha richiesto cure ospedaliere. Numeri microscopici. Per le terapie intensive, i numeri sono ancora inferiori, con appena 9 casi nell’ultima settimana di rilevazione differenziata per i bambini sotto i 12 anni. «Ora il bollettino è stato cambiato e non è possibile fare un confronto tra settimane», fa notare Antonello Maruotti, ordinario di statistica alla Lumsa di Roma. Avanti con la confusione. E la paura.OspedalizzatiL’obbligo del green pass rafforzato, cioè della terza dose, agli ultra cinquantenni è stato deciso e spiegato sulla base di queste percentuali indicate dal ministro della Salute Roberto Speranza su dati dell’Istituto superiore di sanità: «I non vaccinati sono poco più del 10% degli over 12 e occupano i due terzi dei posti in terapia intensiva e il 50% dei posti letto in area medica. Su 100.000 persone, ce ne sono 23,2 che vanno in intensiva e sono i non vaccinati. Tra i vaccinati con due dosi da più di 4 mesi, il dato passa da 23 a 1,5 e scende a 1 quando la vaccinazione avviene in ciclo primario entro 4 mesi. Con il booster si va a 0,9». Ma questi dati, al momento in cui è stata presa la decisione dell’obbligo vaccinale (Consiglio dei ministri del 5 gennaio), erano vecchi di un mese: si riferivano al periodo compreso tra il 12 novembre e il 1° dicembre. È ormai noto che la variante Omicron circola con grande velocità e colpisce anche i vaccinati. È probabile quindi che quei dati non riflettessero la situazione aggiornata con un incremento dell’incidenza dei vaccinati nelle ospedalizzazioni. Non è tutto. Negli stessi giorni, uno studio della Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere), dava conto di una lettura della situazione diversa. Un paziente su 3 contagiato dal virus è ricoverato in ospedale per curare altre patologie come traumi, infarti, emorragie, tumori. «Il 34% dei pazienti positivi ricoverati non è malato di Covid, non è in ospedale per sindromi respiratorie o polmonari e non ha sviluppato la malattia da Covid, ma richiede assistenza sanitaria per altre patologie e al momento del tampone pre ricovero risulta positivo». La rilevazione era stata effettuata il 5 gennaio su un campione pari al 4% dei ricoverati negli ospedali italiani. Dei 550 pazienti monitorati il 66% risultava ospedalizzato per infezione polmonare e il 34% erano ricoverati non per il virus ma con il virus. Matteo Bassetti, primario di malattie infettive a Genova, ha espresso molte perplessità sulla modalità di gestione del Covid. «Non dobbiamo continuare a contare come malati Covid quelli che vengono ricoverati per un braccio rotto e risultano positivi al tampone». E poi ha sottolineato che ha poco senso dare il numero delle persone con tampone positivo mentre bisognerebbe specificare se sono sintomatici, asintomatici, ricoverati o in terapia domiciliare. Anche per il sottosegretario alla Salute Andrea Costa sarebbe necessario «soffermarsi essenzialmente sui dati delle ospedalizzazioni e occupazioni delle terapie intensive». Le Regioni hanno chiesto al governo la revisione della classificazione dei ricoveri, tenuto conto che al momento tutti i pazienti in ospedale, anche per altre patologie, se positivi vengono conteggiati come ospedalizzati per le conseguenze dal virus.DecessiL’Istituto superiore di Sanità riporta che chi non si è vaccinato rischia di morire 33,1 volte di più rispetto a un vaccinato con terza dose. Questo si riferisce a tutte le classi di età messe insieme, al totale della popolazione. Ricostruire come si arrivi al numero 33 è difficile; non si può desumere dai dati riportati nel bollettino ma, come spiegato nella Nota metodologica, bisogna prendere in considerazione la popolazione come indicato sul sito dell’Istat al 1° gennaio 2021. Antonello Maruotti, professore ordinario di statistica alla Lumsa e cofondatore di Statgroup 19, un gruppo interaccademico di studi statistici sul Covid, spiega: «Dal punto di vista statistico è corretto, ma bisognerebbe spiegarlo meglio. Ci sono piccole note in fondo alle tabelle e in una si dice che la popolazione è standardizzata per età». Questo significa che non è stata effettuata una differenziazione anagrafica. L’Iss spalma il rischio sull’intera popolazione. Il risultato è il seguente: al 12 dicembre scorso i non vaccinati erano 6.862.315; di questi, 1.774 erano morti per Covid. Si tratta quindi di 25,8 decessi per 100.000 abitanti. L’Iss però indica un’incidenza doppia, pari a 52,9 morti. Come mai i conti non tornano? Eppure il tasso di letalità per ogni fascia di età è corretto. Cioè 0,4 su 100.000 tra i non vaccinati da 12 a 39 anni, 5,4 tra 40 e 59 anni, 63,9 tra 70 e 79 anni e 415,4 per gli over 80. Il tasso di incidenza nel totale è di 52,9 e non 25,8 secondo una media aritmetica. La spiegazione è fornita dallo stesso Iss e cioè che la popolazione è «standardizzata per età».Per Maruotti sarebbe preferibile, perché più chiaro, limitarsi a dare il tasso di mortalità per singola fascia di età e non per dato aggregato, considerato che gli anziani sono più esposti a conseguenze gravi da contagio. Infatti i deceduti per Covid sono quasi 64 su 100.000 non vaccinati tra 60 e 79 anni e 415 tra gli over 80. Mentre sotto i 40 è morto lo 0,0004%. Indicare una percentuale sull’intera popolazione senza fare distinzioni anagrafiche risulta fuorviante e non chiarisce la reale incidenza del virus sui non vaccinati. Sarebbe utile sapere quanti muoiono tra giovani e meno giovani per comprendere l’utilità dell’obbligo vaccinale e delle altre misure di restriAnche per il tasso di mortalità tra coloro che hanno ricevuto il booster, la comunicazione non è coerente. L’Iss fa apparire un dato dimezzato, cioè 1,6 su 100.000, mentre facendo due conti, su una popolazione di 5.699.241 italiani con tripla vaccinazione - dei quali i morti sono 215 - il dato è 3,77. È stato poi indicato il rischio relativo di mortalità per i non vaccinati in 33,1 mentre, facendo i conti, risulta 6,85. Nel calderone dei decessi finiscono anche quanti sono morti con Covid insieme con quelli per Covid. Da tempo studiosi come Guido Silvestri e Matteo Bassetti, che di sicuro non possono essere etichettati come fiancheggiatori dei no vax, chiedono di fare una distinzione tra queste due categorie di soggetti. Sarebbe più facile comprendere quanti danni sta effettivamente causando il virus. Verrebbe alla luce la percentuale di coloro che sono deceduti per cause che non hanno nulla a che vedere con il Covid. Questo consentirebbe di tarare meglio la strategia di contrasto alla pandemia, rivedendo le restrizioni e ridimensionando l’allarmismo, tenuto conto anche dell’elevato tasso di vaccinazioni.VaccinatiSecondo l’Iss la mortalità da Covid tra i non vaccinati è superiore di 33 volte e il rischio di finire in rianimazione è 40 volte più elevato. I dati che arrivano dalla Spagna indicano però che il vaccino protegge meno rispetto all’Italia. Inoltre i più esposti risultano proprio gli immunizzati, specialmente anziani. Stessa situazione in Scozia e Inghilterra. Come mai il vaccino sembra proteggere così tanto nel nostro Paese, diversamente da quello che accade all’estero? La Verità ha messo a confronto i numeri. Nell’aggiornamento al 9 gennaio del ministero della Salute di Madrid, risulta che 1.093 over 80 con doppia dose sono morti rispetto a 456 non vaccinati. Risultavano ricoverati in terapia intensiva 96 con vaccino e 32 senza. Nella fascia di età 60-79 i deceduti immunizzati erano 637 contro 329 senza vaccino mentre in terapia intensiva risultavano rispettivamente 913 e 630. Nella fascia 30-59 si contavano 129 morti vaccinati rispetto a 90 no vax, con l’unico dato a sfavore per i non vaccinati: 548 in rianimazione rispetto ai 415 vaccinati. Va ricordato che in Spagna l’80,6% della popolazione ha fatto la doppia dose.In Scozia, con il 75% della popolazione vaccinata, secondo il report del 10 gennaio dell’agenzia governativa Public Health Scotland, i vaccinati con due e tre dosi erano nel periodo 4 dicembre-31 dicembre il 76,2% dei positivi totali e il 71,6% dei ricoverati. Percentuali simili le troviamo nel Regno Unito. Un articolo pubblicato sul British medical journal ha fatto le pulci ai dati. Nella settimana fino al 29 dicembre erano state ospedalizzate 815 persone con Omicron, di cui il 74% non aveva ricevuto tre dosi di vaccino, incluso il 25% (206) che non era vaccinato, il 6% (49) che aveva ricevuto una dose e il 43% (352) che aveva ricevuto due dosi. Il 23% (189) aveva ricevuto una dose di richiamo e il resto era sconosciuto o aveva ricevuto la prima dose meno di tre settimane prima. Il numero dei vaccinati finiti in ospedale non era affatto basso. Sembrerebbe quindi che il vaccino in Italia copra molto di più che altrove. C’è da chiedersi come mai nel nostro Paese muoiono 215 persone con tre vaccinazioni per ogni 1.774 no vax (dati al 25 gennaio) se l’efficacia del vaccino nei soggetti con booster raggiungerebbe il 97,5%, mentre in Scozia, con il 75% della popolazione vaccinata, la proporzione è 39 decessi di persone con booster contro 56 non vaccinati, come segnala il report del 10 gennaio del Public Health Scotland.
Jose Mourinho (Getty Images)