2025-01-18
I due volti di Arcuri: ora rivendica le scelte sulle mascherine, coi pm alzava le mani
Davanti la commissione d’inchiesta l’ex Invitalia fa lo spavaldo sulle forniture, ma con gli inquirenti ha sempre scaricato il barile.Ha sfogliato con calma un corposo documento corredato di slide per tutto il tempo dell’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia da Covid-19, alternando pause scenografica a uno stile da grand commis consumato, relazionando con convinzione sulla scelta della Struttura commissariale di annullare il contratto con la Jc Electronics azienda di Colleferro importatrice di mascherine, che è costata in primo grado una condanna alla presidenza del Consiglio dei ministri a oltre 200 milioni di euro. Tuttavia, l’atteggiamento fiero mostrato giovedì mattina da Domenico Arcuri, l’ex commissario per l’emergenza Covid e per lungo tempo alla guida di Invitalia, mentre era seduto accanto al presidente della commissione d’inchiesta Marco Lisei e di fronte ai parlamentari che ascoltavano la sua audizione, appare molto diverso rispetto alla figura che emerge dalle ricostruzioni della Procura di Roma che prima l’ha indagato per corruzione, poi per peculato e infine per abuso d’ufficio (reato cancellato dal legislatore e per il quale attende di essere giudicato con il rito abbreviato). Arcuri sembra sdoppiarsi: in Commissione appare come un uomo di scienza pronto a rivendicare le proprie scelte; davanti ai magistrati, invece, assume il ruolo del passante a cui le forniture delle mascherine farlocche per cui viene contestato il reato di frode in pubbliche forniture sono passate sotto il naso a sua insaputa.In commissione, per esempio, afferma con tono perentorio che gli «è d’obbligo precisare, a scanso di ogni equivoco», che il non essersi occupato della fornitura di Jc Electronics «direttamente» non lo «esime dal non rappresentare compiutamente (l’accaduto, ndr) a questa commissione». Poi in un certo senso si assume la responsabilità politica dei fatti, al punto da rivendicare che non avrebbe allontanato da sé «qualsiasi responsabilità circa il suo andamento (quello del contratto con la Jc, ndr) che come dovrebbe fare qualsiasi cittadino chiamato a ricoprire un incarico pubblico (quello di commissario all’emergenza che afferma di essere «fiero di aver ricoperto», ndr) anche in questa sede nella sua totalità». Quanto alla sentenza di primo grado, ha assicurato che fornirà una relazione analitica all’Avvocatura dello Stato, sottolineando che nella sua analisi emergeranno «profili di inadempimento taciuti nella prima risoluzione (la sentenza di primo grado, ndr)». Con una logica da manuale del perfetto funzionario pubblico, Arcuri ha insistito sul fatto che la struttura commissariale da lui gestita «non ha mai sottoscritto contratti con intermediari, mediatori o potenziali importatori, ma esclusivamente con produttori o, in misura assai minore, con accertati importatori di questi dispositivi». Ma qui non si spiega come i broker alla sbarra per la fornitura di 800 milioni di mascherine al prezzo di 1,2 miliardi di euro siano riusciti a incassare decine e decine di milioni di provvigioni. In ogni caso Arcuri appare come un impeccabile appartenente alla classe dirigente che difende con fermezza le scelte della struttura commissariale che ha guidato. Basta sfogliare il fascicolo della Procura di Roma, però, per leggere dell’altro Arcuri, quello che viene descritto come un uomo che delega tutte le responsabilità, pronto a sollevare le mani quando si parla di questioni operative. Le stesse che oggi invece descrive nei particolari e difende come se fossero state decisioni sue. Nella memoria inviata dai suoi avvocati, per esempio, si legge che Arcuri si sarebbe limitato a «prendere atto delle intenzioni di Mario Benotti (il giornalista poi deceduto che avrebbe mediato tra la struttura commissariale e le aziende per la maxifornitura da 1,2 miliardi di euro alla base dell’inchiesta, per la quale ha incassato delle importanti provvigioni), non avendo alcun motivo di respingerle, e successivamente solo a informarlo che avrebbe dovuto inviare le eventuali offerte alla mail di una sua sottoposta». Gli uffici della struttura commissariale, precisano i difensori di Arcuri, avrebbero poi valutato «la congruità delle offerte». E ancora: il manager, secondo i suoi difensori, «si è limitato a prendere in considerazione le offerte veicolate da Benotti, facendole valutare agli uffici preposti, che hanno infine deciso di procedere all’acquisto di quelle forniture per la semplice ragione che si trattava di offerte più vantaggiose di altre». Ed è in un passaggio successivo, mentre si precisa che dal mondo politico arrivavano segnalazioni di potenziali importatori, che appare emergere in modo netto un approccio clamorosamente diverso rispetto a quello ostentato in commissione d’inchiesta: «Di fronte a questa pluralità di offerte e di presentatori», scrivono gli avvocati, «Arcuri si è comportato sempre allo stesso modo e cioè demandando il giudizio sulla valutazione della loro congruità al personale della struttura commissariale». Lui direttamente, infine, nel corso dell’interrogatorio del 16 ottobre 2021 davanti ai pm, ribadisce questa linea: «Come sapete, Benotti afferma di avere possibilità di dare una mano al governo italiano per acquisire i dispositivi di protezione. Io gli comunico di inviare una email alla struttura, cosa che lui fa. Da quel momento in poi Benotti ed i suoi collaboratori interagiscono con le persone della struttura e iniziano una trattativa. Dello sviluppo di questa trattativa io non ne so nulla. Non era previsto che il commissario entrasse nel dettaglio delle trattative per le forniture». Non si capisce perché, allora, abbia chiesto di essere sentito in commissione, lui che sulla vicenda mascherine ha assunto la postura pilatesca di chi se ne lava le mani. E così tra audizioni fieramente rivendicative e interrogatori in stile scaricabarile, la figura di Arcuri, come un Giano bifronte, resta in bilico tra la strenua autodifesa e un rimpallo di responsabilità (non per forza penali) sui suoi sottoposti. Il principale dei quali è Antonio Fabbrocini, che già ai tempi di Invitalia, da dirigente, era assegnato allo staff dell’amministratore delegato, ovvero di Arcuri, e che da Responsabile del procedimento per quelle forniture di mascherine si ritrova accusato di frode nelle pubbliche forniture. Chissà lui cosa dirà quando verrà sentito in commissione.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.