True
2021-04-26
I disastri di Emiliano
Michele Emiliano (Ansa)
Un capolavoro lo ha fatto. Il governatore pugliese Michele Emiliano è riuscito ad accendere i riflettori della stampa internazionale. Il Financial Times, il 10 aprile, ha dedicato un lungo articolo alla sua Regione. Ha scritto che è «il migliore esempio del sistema disfunzionale delle vaccinazioni in Italia con il 98% delle persone tra i 70 e i 79 anni che ancora, alla fine della settimana, aspettavano la prima dose, così come quasi la metà degli over 80». Nelle ultime settimane c'è stata un'accelerazione nella campagna vaccinale ma, accusa l'Anaao (il sindacato dei medici), il sistema sanitario continua a pagare la «disorganizzazione e improvvisazione» con cui l'amministrazione di Emiliano ha affrontato la terza ondata della pandemia.
Fratelli d'Italia ha chiesto il commissariamento della gestione Covid in Puglia mentre la Lega ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti dell'assessore alla Sanità Pier Luigi Lopalco, voluto da Emiliano in quanto epidemiologo. Secondo il consigliere regionale della Lega Joseph Splendido, «è responsabile di aver sottovalutato i segnali dell'arrivo di una terza ondata e di non aver preparato le strutture e reclutato il personale sanitario necessario per affrontare l'emergenza». Fino a ieri la Puglia era rossa; da oggi diventa arancione mentre altre 15 Regioni, più capaci di controllare l'epidemia, si sono svegliate in giallo. Sul fronte vaccinale le cose vanno così male che Emiliano ha tolto la gestione della campagna di immunizzazione a Lopalco affidandola a Mario Lerario, capo della Protezione civile in Puglia: di fatto è un commissariamento dell'assessore medico.
Il sistema ospedaliero è stato travolto. È scoppiato il caso dell'ospedale allestito dentro la Fiera del Levante di Bari. «A fine novembre si progettano e si allestiscono 152 posti di rianimazione non tenendo minimamente conto della mancanza di specialisti rianimatori e di infermieri addestrati», commenta Giosafatte Pallotta, segretario regionale dell'Anaao-Assomed. E spiega che «al momento della consegna della struttura, si accorgono dell'errore e sono costretti a cambiare il progetto, aggiungendo i posti letto di pneumologia, malattie infettive e nefrologia. I costi lievitano da 8,5 milioni a circa 20 milioni di euro. L'apertura arriva solo a marzo scorso, spostando pazienti e personale sanitario dal Policlinico di Bari. Solo in un secondo momento aumentano i posti letto dedicati. Tutto con tanta improvvisazione».
A dicembre era scoppiato il caso dell'ospedale Moscati a Taranto. Alla magistratura erano arrivate diverse segnalazioni ed esposti da parte di familiari dei ricoverati, alcuni dei quali deceduti, che denunciavano furti, oggetti personali scomparsi, carenza di assistenza e atteggiamenti scorretti da parte di medici e infermieri. La bufera si è scatenata quando una donna, Angela Cortese, che aveva perso per Covid il padre Francesco, ex poliziotto di 78 anni, ha riferito che l'uomo, ricoverato al Moscati, l'aveva supplicata al telefono di venirlo a prendere. «Qui muoio», aveva detto. Angela ha chiesto spiegazioni a un medico, ma si è sentita rispondere in modo aggressivo, come lei riferisce: «Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap, fra 10 minuti morirà, preparatevi». In un servizio per il programma Fuori dal coro su Rete4, dal titolo inequivocabile «Virus, sotto accusa le morti sospette all'ospedale di Taranto», un operatore sanitario ha spiegato che quelle morti potevano essere evitate. Fratelli d'Italia ha chiesto di istituire una commissione d'inchiesta sui decessi per Covid al Moscati.
Che dire poi della gestione dei tamponi, definita dall'assessore alla Sanità Lopalco come una «dittatura». Il capogruppo della Lega in Consiglio regionale, Davide Bellomo, attacca: «Chi sosteneva l'efficacia dei test di massa, era per Lopalco affetto da “tamponite" mentre Emiliano diceva che “i tamponi sono come le intercettazioni per un magistrato: non si possono fare a strascico". Una vera assurdità».
Risultato: secondo i dati al 12 aprile scorso, l'Emilia Romagna che ha circa lo stesso numero di abitanti della Puglia processava da 30.000 a 45.000 tamponi al giorno, la Puglia da 10.000 a 13.000. La Regione è ultima per percentuale di abitanti testati, il 26,7%. Questi dati sono stati raccolti dal gruppo regionale della Lega che ha scattato una fotografia dei fallimenti dell'amministrazione Emiliano nella gestione della pandemia. Il documento mette in evidenza i tempi lunghi per effettuare il tampone. «Una media di circa 16 giorni. Una eternità che fa saltare la possibilità di intervenire subito con la terapia degli anticorpi monoclonali», spiega il consigliere leghista Giacomo Converso. E sottolinea che ad agosto Lopalco «si era opposto ai triage negli aeroporti di Puglia, a differenza degli altri hub italiani. Così chi atterrava fuori regione faceva un test rapido in aeroporto e in poche ore era libero, chi invece arrivava a Bari era costretto alla quarantena, e poiché alle 72 ore si aggiungeva la lista d'attesa, passava anche 10 giorni chiuso in casa in piena estate».
Dal report della Lega emerge che per il tracciamento ci sono solo 1,9 persone ogni 10.000 abitanti contro una media nazionale di 2,6. «Nonostante la carenza di personale l'assessore Lopalco non è stato capace di utilizzare le opportunità offerte dalla Protezione civile che assegnava alla Puglia, con bando del 24 ottobre 2020, ben 133 unità (100 medici e 33 amministrativi). A oggi risultano in carico solo 95 unità», incalza Converso. Pallotta riassume così la situazione: «In questo momento la Puglia è ai primi posti per numero di contagi giornalieri con la più alta percentuale di positività dei tamponi eseguiti (8-9% a fronte del 4% a livello nazionale) e ha il numero di ingressi in rianimazione più alto d'Italia con circa il 40% dei posti letto occupati da pazienti Covid (livello di allarme al 30%) con conseguente scarsa possibilità di assistenza per i pazienti no Covid».
Pioggia di critiche all'amministrazione Emiliano sono arrivate anche da sinistra con il leader di Azione, Carlo Calenda, che ha chiesto al Partito democratico di avviare una riflessione sul governatore pugliese. Italia viva ha presentato un'interrogazione al ministro Roberto Speranza sullo «scandalo della gestione dei vaccini», come l'ha definito il sottosegretario all'Interno Ivan Scalfarotto, già candidato alla presidenza della Regione alle ultime elezioni. Ma il Pd non fa una piega e il segretario regionale Marco Lacarra replica serafico: «La giunta Emiliano profonde da mesi energie incredibili per fronteggiare l'emergenza».
L’inferno dell’ospedale che sbagliava cure
Pazienti di cui si perdono le tracce, abbandonati nel letto per giorni senza poter vedere nemmeno un infermiere, spesso lasciati negli escrementi nell'impossibilità di andare in bagno mentre i parenti sono in un limbo con informazioni scarse, talvolta imprecise. E poi scomparsa di oggetti personali. Sono le denunce di alcuni familiari delle vittime del Covid ricoverati all'ospedale Moscati di Taranto, entrati in terapia intensiva, alcuni all'inizio della malattia, e mai usciti. Queste testimonianze agghiaccianti sono state raccolte da un gruppo di circa 20 famiglie che hanno messo in rete la loro esperienza.
«Morti non per Covid ma per imperizia», dice con la voce che trema Eleonora Coletta, che ha perso il marito e il padre ed è rimasta sola con tre figli. Il suo racconto è straziante. «Sono stata io a infettare la famiglia. Come paziente oncologica avrei dovuto avere la priorità nella vaccinazione ma non è stato possibile. Quando sono riuscita a fare la prima dose di vaccino avevo già il virus. Ho contagiato mio marito e mio padre. Mio marito è stato ricoverato al Moscati ai primi sintomi. Ho chiesto che gli somministrassero il plasma iperimmune ma i medici mi hanno detto che non credevano alla sua efficacia. Gli hanno applicato la maschera per l'ossigeno. Dopo un paio di giorni lui ha accusato un forte dolore al torace e il cardiologo ha prescritto un'angiotac: l'eccesso di ossigeno probabilmente gli aveva creato un pneumotorace, una sorta di bolla nei polmoni. Invece di fargli la tac l'hanno spostato in rianimazione sotto un casco con ventilazione altissima. Lì gli è scoppiato il pneumotorace: a quel punto, con un polmone che non funzionava più, l'hanno intubato. Gli hanno fatto i raggi x oltre due giorni dopo che il cardiologo aveva prescritto la tac. Mentre era intubato, gli hanno somministrato un farmaco che avrebbero dovuto dargli all'inizio. Mio marito reagisce bene alla cura, ma dopo poco cala il silenzio. La cartella clinica è pasticciata, non sappiamo cosa sia successo, ci dicono che ha avuto un arresto cardiaco».
Poi il dramma del padre, 74 anni, «troppo giovane per fare il vaccino ma troppo vecchio, mi hanno detto, per le terapie ospedaliere. Lo hanno tenuto 15 giorni con l'ossigeno e solo per 3 giorni gli hanno somministrato un antivirale. Hanno proceduto con cortisone e antibiotici». La donna riferisce i messaggi che il padre gli mandava dal telefonino: «“Sono ore che chiedo l'acqua ma non viene nessuno, sono abbandonato", mi diceva, e io non potevo credere che fosse davvero così. Mio padre, pur essendo più grave di mio marito - questo leggiamo nelle cartelle cliniche - non è stato portato in rianimazione, è rimasto in reparto 7 giorni, in attesa della morte. Probabilmente per il troppo ossigeno anche a lui si è creata una bolla tra il cuore e i polmoni. Alla fine lo hanno intubato ed è morto».
Eleonora Coletta ha scritto al governatore Emiliano chiedendogli di fare chiarezza sui morti al Moscati: «Mi ha risposto che l'ospedale è tra i migliori al mondo. Ma in procura ci sono 36 esposti di casi simili a quelli di mio padre e mio marito». Una delle figlie ha promosso una raccolta di firme (ora sono circa 7.000) «perché quei decessi sono inspiegabili». Chiarezza che hanno chiesto anche alla azienda sanitaria locale: «Invece di darci una risposta ha deciso di querelarci», afferma accorata la donna.
Il padre di Donato Ricci invece è stato ricoverato in un container del Moscati. «Ha trascorso 14 giorni di angoscia prima del decesso. I primi giorni non sapevamo dove era stato sistemato, la ricezione del telefonino era scarsa e tutti i numeri fissi dell'ospedale squillavano a vuoto. Nessuno ci diceva dove si trovava. Sono passate circa due settimane prima di riuscire a contattare un medico tramite un numero dedicato alle prenotazioni delle chiamate. Si limitava a dirmi che mio padre era stazionario, nulla di più. Il giorno dopo è morto. Una volta, parlando con mia madre, ci ha pregato di farlo uscire, di portarlo via di lì. Voleva che facessimo intervenire la polizia. Mio padre è stato un ispettore della polizia di Stato».
Ricci è convinto che il padre si sarebbe salvato se il virus fosse stato diagnosticato in tempo. «Quando si sono manifestati i primi sintomi, ho chiamato subito il medico di base. Mi disse che poteva essere la reazione al vaccino antinfluenzale. Poi la situazione è peggiorata. Non sapevo che fare. Il medico non veniva a visitarlo e continuava a prescrivergli aerosol e tachipirina. È stato perso tanto tempo prezioso. Allora ho chiamato l'ambulanza. Mio padre mi diceva che in ospedale non gli davano nemmeno le sue medicine da cardiopatico. Nella cartella clinica ci sono tanti giorni vuoti, in cui non compare la somministrazione dei farmaci. Cosa è accaduto?».
«Mia madre aveva solo 67 anni. Il suo è stato un calvario terribile; abbandonata sul letto, sporca di escrementi per giorni, con le piaghe da decubito. Tante volte mi ha supplicato di portarla via di lì, mi ha implorato di aiutarla e io, dopo tanta insistenza, ho fatto richiesta per farla uscire ma mi hanno detto che era contrario al protocollo». Tina Albanese rievoca quei 20 giorni che portarono sua madre, entrata in ospedale in condizioni non gravi, al decesso. «Proprio il giorno prima di intubarla, mi dissero al telefono che era migliorata. Poi la morte per arresto cardiaco. Mi spiegarono che era stata contagiata da un batterio». Durante la degenza Tina chiese che alla madre fosse somministrato il plasma. «Mi dicevano che era previsto solo l'ossigeno ma lei si lamentava che era troppo forte. Non le hanno dato nemmeno i farmaci per il diabete e l'ipertensione di cui lei soffriva e che aveva con sé. La biancheria che le avevamo portato per cambiarsi ce l'hanno restituita così come l'avevamo consegnata. Era davvero abbandonata a sé stessa. Quando me lo diceva, non riuscivo a credere che in un ospedale potesse succedere una cosa del genere».
Continua a leggere
Riduci
Ritardi, inefficienze, impreparazione: la sanità della Puglia nel mirino anche del «Financial Times». Nonostante l'assessore epidemiologo.Sul Moscati di Taranto piovono le denunce di familiari di pazienti morti perché era stato loro somministrato troppo ossigeno. Degenti abbandonati a sé stessi nella sporcizia, negate le terapie con il plasma. I tragici racconti di chi ora chiede giustizia.Lo speciale contiene due articoli.Un capolavoro lo ha fatto. Il governatore pugliese Michele Emiliano è riuscito ad accendere i riflettori della stampa internazionale. Il Financial Times, il 10 aprile, ha dedicato un lungo articolo alla sua Regione. Ha scritto che è «il migliore esempio del sistema disfunzionale delle vaccinazioni in Italia con il 98% delle persone tra i 70 e i 79 anni che ancora, alla fine della settimana, aspettavano la prima dose, così come quasi la metà degli over 80». Nelle ultime settimane c'è stata un'accelerazione nella campagna vaccinale ma, accusa l'Anaao (il sindacato dei medici), il sistema sanitario continua a pagare la «disorganizzazione e improvvisazione» con cui l'amministrazione di Emiliano ha affrontato la terza ondata della pandemia. Fratelli d'Italia ha chiesto il commissariamento della gestione Covid in Puglia mentre la Lega ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti dell'assessore alla Sanità Pier Luigi Lopalco, voluto da Emiliano in quanto epidemiologo. Secondo il consigliere regionale della Lega Joseph Splendido, «è responsabile di aver sottovalutato i segnali dell'arrivo di una terza ondata e di non aver preparato le strutture e reclutato il personale sanitario necessario per affrontare l'emergenza». Fino a ieri la Puglia era rossa; da oggi diventa arancione mentre altre 15 Regioni, più capaci di controllare l'epidemia, si sono svegliate in giallo. Sul fronte vaccinale le cose vanno così male che Emiliano ha tolto la gestione della campagna di immunizzazione a Lopalco affidandola a Mario Lerario, capo della Protezione civile in Puglia: di fatto è un commissariamento dell'assessore medico.Il sistema ospedaliero è stato travolto. È scoppiato il caso dell'ospedale allestito dentro la Fiera del Levante di Bari. «A fine novembre si progettano e si allestiscono 152 posti di rianimazione non tenendo minimamente conto della mancanza di specialisti rianimatori e di infermieri addestrati», commenta Giosafatte Pallotta, segretario regionale dell'Anaao-Assomed. E spiega che «al momento della consegna della struttura, si accorgono dell'errore e sono costretti a cambiare il progetto, aggiungendo i posti letto di pneumologia, malattie infettive e nefrologia. I costi lievitano da 8,5 milioni a circa 20 milioni di euro. L'apertura arriva solo a marzo scorso, spostando pazienti e personale sanitario dal Policlinico di Bari. Solo in un secondo momento aumentano i posti letto dedicati. Tutto con tanta improvvisazione». A dicembre era scoppiato il caso dell'ospedale Moscati a Taranto. Alla magistratura erano arrivate diverse segnalazioni ed esposti da parte di familiari dei ricoverati, alcuni dei quali deceduti, che denunciavano furti, oggetti personali scomparsi, carenza di assistenza e atteggiamenti scorretti da parte di medici e infermieri. La bufera si è scatenata quando una donna, Angela Cortese, che aveva perso per Covid il padre Francesco, ex poliziotto di 78 anni, ha riferito che l'uomo, ricoverato al Moscati, l'aveva supplicata al telefono di venirlo a prendere. «Qui muoio», aveva detto. Angela ha chiesto spiegazioni a un medico, ma si è sentita rispondere in modo aggressivo, come lei riferisce: «Suo padre non collabora, non vuole mettersi la maschera Cpap, fra 10 minuti morirà, preparatevi». In un servizio per il programma Fuori dal coro su Rete4, dal titolo inequivocabile «Virus, sotto accusa le morti sospette all'ospedale di Taranto», un operatore sanitario ha spiegato che quelle morti potevano essere evitate. Fratelli d'Italia ha chiesto di istituire una commissione d'inchiesta sui decessi per Covid al Moscati.Che dire poi della gestione dei tamponi, definita dall'assessore alla Sanità Lopalco come una «dittatura». Il capogruppo della Lega in Consiglio regionale, Davide Bellomo, attacca: «Chi sosteneva l'efficacia dei test di massa, era per Lopalco affetto da “tamponite" mentre Emiliano diceva che “i tamponi sono come le intercettazioni per un magistrato: non si possono fare a strascico". Una vera assurdità». Risultato: secondo i dati al 12 aprile scorso, l'Emilia Romagna che ha circa lo stesso numero di abitanti della Puglia processava da 30.000 a 45.000 tamponi al giorno, la Puglia da 10.000 a 13.000. La Regione è ultima per percentuale di abitanti testati, il 26,7%. Questi dati sono stati raccolti dal gruppo regionale della Lega che ha scattato una fotografia dei fallimenti dell'amministrazione Emiliano nella gestione della pandemia. Il documento mette in evidenza i tempi lunghi per effettuare il tampone. «Una media di circa 16 giorni. Una eternità che fa saltare la possibilità di intervenire subito con la terapia degli anticorpi monoclonali», spiega il consigliere leghista Giacomo Converso. E sottolinea che ad agosto Lopalco «si era opposto ai triage negli aeroporti di Puglia, a differenza degli altri hub italiani. Così chi atterrava fuori regione faceva un test rapido in aeroporto e in poche ore era libero, chi invece arrivava a Bari era costretto alla quarantena, e poiché alle 72 ore si aggiungeva la lista d'attesa, passava anche 10 giorni chiuso in casa in piena estate». Dal report della Lega emerge che per il tracciamento ci sono solo 1,9 persone ogni 10.000 abitanti contro una media nazionale di 2,6. «Nonostante la carenza di personale l'assessore Lopalco non è stato capace di utilizzare le opportunità offerte dalla Protezione civile che assegnava alla Puglia, con bando del 24 ottobre 2020, ben 133 unità (100 medici e 33 amministrativi). A oggi risultano in carico solo 95 unità», incalza Converso. Pallotta riassume così la situazione: «In questo momento la Puglia è ai primi posti per numero di contagi giornalieri con la più alta percentuale di positività dei tamponi eseguiti (8-9% a fronte del 4% a livello nazionale) e ha il numero di ingressi in rianimazione più alto d'Italia con circa il 40% dei posti letto occupati da pazienti Covid (livello di allarme al 30%) con conseguente scarsa possibilità di assistenza per i pazienti no Covid».Pioggia di critiche all'amministrazione Emiliano sono arrivate anche da sinistra con il leader di Azione, Carlo Calenda, che ha chiesto al Partito democratico di avviare una riflessione sul governatore pugliese. Italia viva ha presentato un'interrogazione al ministro Roberto Speranza sullo «scandalo della gestione dei vaccini», come l'ha definito il sottosegretario all'Interno Ivan Scalfarotto, già candidato alla presidenza della Regione alle ultime elezioni. Ma il Pd non fa una piega e il segretario regionale Marco Lacarra replica serafico: «La giunta Emiliano profonde da mesi energie incredibili per fronteggiare l'emergenza».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-disastri-di-emiliano-2652772550.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="linferno-dellospedale-che-sbagliava-cure" data-post-id="2652772550" data-published-at="1619367622" data-use-pagination="False"> L’inferno dell’ospedale che sbagliava cure Pazienti di cui si perdono le tracce, abbandonati nel letto per giorni senza poter vedere nemmeno un infermiere, spesso lasciati negli escrementi nell'impossibilità di andare in bagno mentre i parenti sono in un limbo con informazioni scarse, talvolta imprecise. E poi scomparsa di oggetti personali. Sono le denunce di alcuni familiari delle vittime del Covid ricoverati all'ospedale Moscati di Taranto, entrati in terapia intensiva, alcuni all'inizio della malattia, e mai usciti. Queste testimonianze agghiaccianti sono state raccolte da un gruppo di circa 20 famiglie che hanno messo in rete la loro esperienza. «Morti non per Covid ma per imperizia», dice con la voce che trema Eleonora Coletta, che ha perso il marito e il padre ed è rimasta sola con tre figli. Il suo racconto è straziante. «Sono stata io a infettare la famiglia. Come paziente oncologica avrei dovuto avere la priorità nella vaccinazione ma non è stato possibile. Quando sono riuscita a fare la prima dose di vaccino avevo già il virus. Ho contagiato mio marito e mio padre. Mio marito è stato ricoverato al Moscati ai primi sintomi. Ho chiesto che gli somministrassero il plasma iperimmune ma i medici mi hanno detto che non credevano alla sua efficacia. Gli hanno applicato la maschera per l'ossigeno. Dopo un paio di giorni lui ha accusato un forte dolore al torace e il cardiologo ha prescritto un'angiotac: l'eccesso di ossigeno probabilmente gli aveva creato un pneumotorace, una sorta di bolla nei polmoni. Invece di fargli la tac l'hanno spostato in rianimazione sotto un casco con ventilazione altissima. Lì gli è scoppiato il pneumotorace: a quel punto, con un polmone che non funzionava più, l'hanno intubato. Gli hanno fatto i raggi x oltre due giorni dopo che il cardiologo aveva prescritto la tac. Mentre era intubato, gli hanno somministrato un farmaco che avrebbero dovuto dargli all'inizio. Mio marito reagisce bene alla cura, ma dopo poco cala il silenzio. La cartella clinica è pasticciata, non sappiamo cosa sia successo, ci dicono che ha avuto un arresto cardiaco». Poi il dramma del padre, 74 anni, «troppo giovane per fare il vaccino ma troppo vecchio, mi hanno detto, per le terapie ospedaliere. Lo hanno tenuto 15 giorni con l'ossigeno e solo per 3 giorni gli hanno somministrato un antivirale. Hanno proceduto con cortisone e antibiotici». La donna riferisce i messaggi che il padre gli mandava dal telefonino: «“Sono ore che chiedo l'acqua ma non viene nessuno, sono abbandonato", mi diceva, e io non potevo credere che fosse davvero così. Mio padre, pur essendo più grave di mio marito - questo leggiamo nelle cartelle cliniche - non è stato portato in rianimazione, è rimasto in reparto 7 giorni, in attesa della morte. Probabilmente per il troppo ossigeno anche a lui si è creata una bolla tra il cuore e i polmoni. Alla fine lo hanno intubato ed è morto». Eleonora Coletta ha scritto al governatore Emiliano chiedendogli di fare chiarezza sui morti al Moscati: «Mi ha risposto che l'ospedale è tra i migliori al mondo. Ma in procura ci sono 36 esposti di casi simili a quelli di mio padre e mio marito». Una delle figlie ha promosso una raccolta di firme (ora sono circa 7.000) «perché quei decessi sono inspiegabili». Chiarezza che hanno chiesto anche alla azienda sanitaria locale: «Invece di darci una risposta ha deciso di querelarci», afferma accorata la donna. Il padre di Donato Ricci invece è stato ricoverato in un container del Moscati. «Ha trascorso 14 giorni di angoscia prima del decesso. I primi giorni non sapevamo dove era stato sistemato, la ricezione del telefonino era scarsa e tutti i numeri fissi dell'ospedale squillavano a vuoto. Nessuno ci diceva dove si trovava. Sono passate circa due settimane prima di riuscire a contattare un medico tramite un numero dedicato alle prenotazioni delle chiamate. Si limitava a dirmi che mio padre era stazionario, nulla di più. Il giorno dopo è morto. Una volta, parlando con mia madre, ci ha pregato di farlo uscire, di portarlo via di lì. Voleva che facessimo intervenire la polizia. Mio padre è stato un ispettore della polizia di Stato». Ricci è convinto che il padre si sarebbe salvato se il virus fosse stato diagnosticato in tempo. «Quando si sono manifestati i primi sintomi, ho chiamato subito il medico di base. Mi disse che poteva essere la reazione al vaccino antinfluenzale. Poi la situazione è peggiorata. Non sapevo che fare. Il medico non veniva a visitarlo e continuava a prescrivergli aerosol e tachipirina. È stato perso tanto tempo prezioso. Allora ho chiamato l'ambulanza. Mio padre mi diceva che in ospedale non gli davano nemmeno le sue medicine da cardiopatico. Nella cartella clinica ci sono tanti giorni vuoti, in cui non compare la somministrazione dei farmaci. Cosa è accaduto?». «Mia madre aveva solo 67 anni. Il suo è stato un calvario terribile; abbandonata sul letto, sporca di escrementi per giorni, con le piaghe da decubito. Tante volte mi ha supplicato di portarla via di lì, mi ha implorato di aiutarla e io, dopo tanta insistenza, ho fatto richiesta per farla uscire ma mi hanno detto che era contrario al protocollo». Tina Albanese rievoca quei 20 giorni che portarono sua madre, entrata in ospedale in condizioni non gravi, al decesso. «Proprio il giorno prima di intubarla, mi dissero al telefono che era migliorata. Poi la morte per arresto cardiaco. Mi spiegarono che era stata contagiata da un batterio». Durante la degenza Tina chiese che alla madre fosse somministrato il plasma. «Mi dicevano che era previsto solo l'ossigeno ma lei si lamentava che era troppo forte. Non le hanno dato nemmeno i farmaci per il diabete e l'ipertensione di cui lei soffriva e che aveva con sé. La biancheria che le avevamo portato per cambiarsi ce l'hanno restituita così come l'avevamo consegnata. Era davvero abbandonata a sé stessa. Quando me lo diceva, non riuscivo a credere che in un ospedale potesse succedere una cosa del genere».
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
Continua a leggere
Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
Continua a leggere
Riduci