2019-05-07
I dipinti offendono i musulmani. E il museo li copre
La Saatchi Gallery costretta a nascondere alcune opere che ritraggono dei nudi classici accanto a versetti islamici.La notizia che arriva da Londra ci fa ripiombare al tempo di Daniele da Volterra, il pittore passato alla storia come il Braghettone per aver coperto con perizomi e foglie di fico i genitali del Giudizio universale nella Cappella Sistina. Qui non c'entrano il Vaticano e tantomeno il genio di Michelangelo. Però stiamo parlando di arte contemporanea e di religione, anche se di quella islamica. Succede che dopo le proteste dei visitatori musulmani la Saatchi Gallery abbia deciso di ritirare due opere da una mostra dell'artista britannico Sku. Le ha coperte con teli scuri in modo che nessuno possa più vederle, perché i suddetti visitatori le giudicavano blasfeme. Un aggettivo che riporta alla memoria la condanna delle vignette del giornale satirico francese Charlie Hebdo, che si concluse con una strage. Comunque i dipinti censurati sono così concepiti: sovrappongono brani in arabo dello Shahada, conosciuto come uno dei cinque pilastri dell'Islam, con delicate immagini di donne nude e della bandiera americana. In realtà nelle opere non c'è nulla di osceno, ma una donna di spalle adagiata su un lenzuolo che ricorda Le déjeuner sur l'herbe di Manet o comunque un nudo casto e classico. C'è da aggiungere che se ci dovessimo scandalizzare difronte alle provocazioni, dell'arte contemporanea resterebbe ben poco.In un primo tempo la Saatchi Gallery, fondata dal magnate Charles Saatchi nel 1985, ha rifiutato di ritirare le tele, sostenendo che «spetta ai visitatori arrivare alle proprie conclusioni sul significato dell'arte». Ma le proteste dei musulmani non si sono fermate, anzi è intervenuto anche il capo degli studi islamici del think tank Quilliam, Usama Hasan, definendo i lavori di Sku «davvero pericolosi». Li ha bollati come i nuovi Versetti satanici, quelli costati una fatwa di Khomeyni contro Salman Rushdie, che ne decretò la condanna a morte per bestemmia.Forse spaventato per il clamore suscitato, lo stesso Sku ha trovato un compromesso: lasciare in mostra i quadri, che rappresentano il conflitto tra gli Stati Uniti e l'estremismo islamico, ma coperti. «Mi sembra una soluzione rispettosa che consente un dibattito sulla libertà di espressione rispetto al diritto di non essere offesi», spiega Sku. E la Saatchi Gallery gli è andata dietro con una serie di dichiarazioni cerchiobottiste e imbarazzanti. Perché uno dei templi dell'arte contemporanea che s'inchina difronte a critiche di stampo medievale non è una bella immagine. Né bella, né tantomeno rassicurante per la libertà dell'arte che nella cultura occidentale è un valore. Comunque la Galleria in questione ha detto al Guardian di aver «pienamente appoggiato» la libertà di espressione artistica. Tuttavia «riconosciamo anche la sincerità delle lamentele contro queste opere», spiega il board della Saatchi, «e quindi abbiamo sostenuto la decisione dell'artista di coprirle fino alla fine della mostra». Insomma, censurano ma non censurano, coprono ma non coprono, espongono ma non espongono.Più che un compromesso pare essere una capitolazione. Come sostiene il giornalista e critico d'arte britannico Brendan O'Neill, «è stata una capitolazione censoria. Ci sono persone che chiaramente pensano che lo spazio pubblico, anche gli spazi artistici, debba essere ripulito da ogni immagine che offenda le loro convinzioni religiose. Non esiste», scrive, «non c'è alcuna differenza significativa tra il desiderio intollerante di certi visitatori e la decisione dell'artista e della galleria di coprire le opere: in entrambi i casi sono nascoste alla vista pubblica, deturpate con un panno, sulla base del fatto che offendono la sensibilità religiosa. Tutto ciò è premoderno».Difficile dargli torto. Oltretutto quanto accaduto va contro la storia e la filosofia della stessa Galleria, che si è sempre schierata dalla parte dell'arte più provocatoria e tagliente. Il suo fondatore Charles Saatchi ha sempre sponsorizzato i «young british artists» degli anni Novanta, artisti sconosciuti e diventati famosi proprio con i loro lavori choccanti. Che non rispettavano alcuna forma di religione o morale. Un esempio su tutti: nella collezione di Saatchi c'è anche la Santa Vergine Maria di Chris Ofili, una pittura africana della madre di Cristo che poggia su due grandi lastre di sterco di elefante. Quando l'opera venne esposta a Londra e poi al Brooklyn Museum of Art nel 1999 scoppiò il finimondo. Rudy Giuliani, allora sindaco di New York, minacciò di chiudere il museo. Le organizzazioni cristiane dissero che il dipinto doveva essere rimosso perché è «offensivo per i credenti». Ma nessuno lo tolse, lo coprì o parlò di «sincerità delle lamentele». La domanda è: perché si può offendere liberamente una religione e l'altra no? Forse perché ci sono credenti più tolleranti e altri meno?