
Scintille a Detroit. Il primo dei due dibattiti televisivi tra i candidati democratici organizzati da Cnn si è rivelato non poco agguerrito. Una lotta senza esclusione di colpi, che ha palesato dinamiche relativamente inattese.Molti analisti avevano preconizzato la possibilità di un duello tra il senatore del Vermont, Bernie Sanders, e la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren. Entrambi stanno infatti puntando a intestarsi la rappresentanza della sinistra democratica. Ed entrambi stanno registrando performance similari nelle ultime rilevazioni sondaggistiche. Ciononostante, anziché scontrarsi, i due hanno finito con l'allearsi, per ribattere agli spietati attacchi mossi loro dai candidati moderati presenti sul palco. Sanders e la Warren sono stati costantemente tacciati di essere due figure troppo radicali: due oltranzisti che, con le loro proposte programmatiche estremiste, rischierebbero di gettare il Partito democratico nel caos, favorendo indirettamente la rielezione di Donald Trump il prossimo anno.Particolarmente duro, in questo senso, si è mostrato l'ex deputato del Maryland, John Delaney, che - criticando i senatori - li ha paragonati a George McGovern e Michael Dukakis: i due candidati democratici alla Casa Bianca, rispettivamente nel 1972 e nel 1988, che vennero sconfitti proprio perché considerati troppo a sinistra e - in definitiva - scarsamente capaci di attrarre il voto moderato. «Se proseguiamo sulla strada che i senatori Sanders e Warren vogliono prendere con cattive politiche come Medicare for All e altre promesse impossibili, allontaneremo gli elettori indipendenti e faranno rieleggere Trump», ha tuonato Delaney. Sulla stessa linea si è collocato l'ex governatore del Colorado, John Hickenlooper, che ha accusato il senatore del Vermont di essere troppo radicale, rimproverandogli - tra l'altro - anche una scarsa esperienza amministrativa. Hickenlooper ha poi rincarato la dose, affermando che un candidato estremista come Sanders non avrebbe alcuna possibilità di arrivare alla Casa Bianca. L'arzillo socialista ha ribattuto dicendo che i sondaggi lo darebbero in realtà vincente contro Trump. Affermazione cui ha replicato lapidariamente il deputato dell'Ohio, Tim Ryan: «Anche Hillary Clinton vinceva nei sondaggi». E si è visto come è andata a finire.Nel corso della serata, scontri significativi si sono verificati sulla questione della sanità. Sanders e la Warren hanno difeso a spada tratta la proposta Medicare for All, finalizzata all'introduzione di un sistema sanitario universale, che abolisca di fatto le assicurazioni private. Un'idea che ha suscitato le energiche reazioni di vari candidati sul palco, non solo perché - a detta dei critici - rischierebbe di aumentare la pressione fiscale sulla classe media ma anche perché - come ha notato Delaney - limiterebbe la facoltà di scelta dei cittadini. Sanders e soprattutto la Warren hanno ciononostante ribattuto che le tasse aumenterebbero soltanto per le classi abbienti e le big corporation.Un altro dossier divisivo si è rivelato quello dell'immigrazione. Come in occasione del dibattito di Miami lo scorso giugno, anche stavolta i candidati hanno discusso sulla possibilità di abolire la Sezione 1325 dell'Immigration and Nationality Act: un dispositivo legislativo, che rende reato l'entrata di immigrati clandestini in territorio statunitense. Elizabeth Warren si è detta favorevole allo smantellamento della norma, laddove Pete Buttigieg e Tim Ryan hanno mostrato un profondo scetticismo su una simile proposta. Addirittura, sotto questo aspetto, il governatore del Montana, Steve Bullock, ha accusato la senatrice del Massachusetts di «fare il gioco di Trump».Dinamiche simili si sono registrate anche sul versante dell'ambiente. Se tutti i candidati si sono più o meno detti convinti della necessità di contrastare il cambiamento climatico, sulla proposta del Green New Deal sono volati gli stracci. Hickenlooper e Delaney hanno tacciato il piano di radicalismo, mentre la Warren e Sanders lo hanno difeso lancia in resta. «Sono un po' stufo dei democratici che hanno paura delle grandi idee», ha dichiarato il senatore del Vermont. Ma i dissidi non si sono fermati qui. Anche sul commercio internazionale sono comparse fratture ben difficilmente sanabili: Delaney si è detto favorevole ai trattati internazionali di libero scambio, dichiarando di voler riesumare la Trans Pacific Partnership e - soprattutto - attaccando il protezionismo economico della Warren. Una Warren che ha prontamente replicato: «Per decenni abbiamo avuto una politica commerciale che è stata fatte da gigantesche multinazionali per aiutare le gigantesche multinazionali. Non hanno lealtà verso l'America. Non hanno patriottismo. Se riescono a salvare un nichelino trasferendo un lavoro in Messico, lo faranno in un baleno». Una posizione forte, non poi tuttavia così lontana da quanto lo stesso Trump asserisce dai tempi della campagna elettorale del 2016. D'altronde, affinità con l'attuale inquilino della Casa Bianca sono emerse anche dalle tesi di Ryan, che ha duramente attaccato le pratiche concorrenziali della Cina.Insomma, la prima sera di Detroit ha mostrato una serie di elementi non indifferenti. In primo luogo, la riscossa dei centristi. Nei mesi scorsi, le correnti moderate del Partito democratico sembravano scomparse, letteralmente inghiottite da un'ala sinistra sempre più aggressiva. Il confronto di stanotte ha tuttavia mostrato che il centro non vuole arrendersi, sebbene non sia ancora ben chiaro quante probabilità abbia di riprendersi effettivamente. Il suo principale rappresentante, Joe Biden, è attualmente in difficoltà, mentre risulta molto difficile che figure tutto sommato secondarie, come Delaney o Ryan, possano realmente riuscire a scalare le prime posizioni della classifica elettorale. Un altro elemento significativo è stato poi rappresentato dai temi del dibattito: le questioni di politica interna hanno dominato, laddove le problematiche internazionali sono state toccate soltanto nell'ultima parte. Ciononostante, come a Miami, non si è parlato troppo di economia: segno di come Trump risulti ancora difficilmente attaccabile su questo versante, visti i risultati positivi recentemente registrati in termini di prodotto interno lordo e tasso di disoccupazione.In chiaroscuro infine le performance dei candidati. Sanders e la Warren si sono mostrati battaglieri ed energici, mantenendo la posizione contro i ripetuti attacchi concentrici degli avversari: a tratti sono risultati forse troppo animosi, con la senatrice del Massachusetts che ha sforato più una volta il tempo a sua disposizione. Alla loro destra, ad uscire dal cono d'ombra sono stati soprattutto Delaney e Ryan: se il primo si è principalmente intestato la rappresentanza del centro, il secondo - pur da posizioni moderate - ha cercato di mettere sotto i riflettori la questione dei colletti blu della Rust Belt: una quota elettorale che il Partito democratico sta disperatamente cercare di recuperare in vista del 2020. Problematici i risultati di Pete Buttigieg e Beto O' Rourke. Entrambi considerati i due enfant prodige della politica americana, stanotte hanno scelto di collocarsi a metà strada tra la sinistra di Sanders e il moderatismo destrorso di Delaney. L'obiettivo era ovviamente quello di presentarsi come figure di sintesi. Ma il rischio è forse quello di non essere riusciti a trovare una connotazione che li rendesse effettivamente riconoscibili. Buttigieg non ha sfigurato ma non ha trovato un exploit che gli consentisse di emergere in modo netto. Potrebbe anche trattarsi di una strategia attendista, visto che attualmente i sondaggi lo danno al quinto posto e - in questo senso - non è escludibile voglia aspettare i prossimi mesi per dare battaglia vera e propria. Resta tuttavia il fatto che, così facendo, rischia di rimanere pericolosamente bloccato in mezzo al guado. Situazione ben peggiore per Beto O' Rourke. Qualche commentatore parla già di una sua rinascita ma - a ben vedere - le cose non stanno esattamente così. Rispetto al dibattito di Miami è apparso meno impacciato e più a suo agio sul palcoscenico, è vero. Ma, in termini programmatici, si è rivelato nuovamente di una vacuità totale. Nelle movenze e nella retorica cerca, poi, di imitare Barack Obama. Ma il risultato è quello di una brutta copia dell'originale. Resta per il momento un puro prodotto di marketing elettorale. E, salvo sorprese, tale rimarrà anche in futuro. Infine, l'unica che ha tentato di giocare (almeno parzialmente) la carta dell'antipolitica è stata la scrittrice Marianne Williamson, che ha messo in discussione «l'autorità morale» dei suoi rivali per aver accettato finanziamenti dalle grandi lobby. La guru (e «consigliera spirituale» di Oprah Winfrey) ha inoltre avuto un «momento di gloria» stanotte, quando ha definito Trump «una forza fisica oscura».Sarà, ma, per ora, l'oscurità è quella in cui brancola in Partito democratico. E adesso, oltre alle ormai consuete smanie di protagonismo, il rischio per l'Asinello è quello di restare impelagato in una caotica guerra civile. Trump intanto prende nota. E, per il momento, se la ride.
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