2024-08-04
I dati sull’occupazione distruggono la Bidenomics (e i cocci sono di Kamala)
Kamala Harris e Joe BIden (Ansa)
Il boom dei senza lavoro fa il paio con lo spettro più temuto per ogni vice che vuole fare il salto: l’inflazione. La ricetta economica di Joe mostra la corda ed è una zavorra.Non accenna a diminuire la panna montata mediatica che, ormai da giorni, circonda la candidatura di Kamala Harris. A sentire qualcuno, sembra che la vicepresidente abbia già la vittoria in tasca. Certo, ha appena raggiunto il quorum di delegati necessari per blindare la nomination dem e ha inoltre raccolto, nel mese di luglio, ben 310 milioni di dollari. Tuttavia attenzione: la strada per lei è più in salita di quanto sembri. Innanzitutto, la sinistra pro Palestina la sta mettendo sotto pressione, affinché non scelga come proprio running mate il governatore filoisraeliano della Pennsylvania, Josh Shapiro. Inoltre, il suo improvviso voltafaccia a favore del fracking potrebbe causare malumori tra gli ambientalisti. Una serie di problemi, su cui la diretta interessata continua a glissare. Non a caso, da quando è scesa in campo per la presidenza, si è ben guardata dal rilasciare interviste e dal tenere delle conferenze stampa. Ma non è tutto. Eh sì, perché la Harris rischia grosso anche su un fronte storicamente decisivo durante le campagne elettorali per le presidenziali americane: quello dell’economia.L’altro ieri, il Bureau of Labor Statistics ha riferito che, a luglio, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è salito al 4,3%, registrando un aumento dello 0,2% rispetto a giugno e dello 0,3% rispetto a maggio: in particolare, il mese scorso sono stati creati soltanto 114.000 posti di lavoro a fronte dei 175.000 attesi. Dati negativi che hanno fatto perdere al Dow Jones quasi 500 punti. «I nuovi dati sui posti di lavoro fanno scattare l’allarme sul rischio di recessione», ha titolato significativamente Axios News. Per l’amministrazione di Joe Biden e della Harris non si tratta affatto di una buona notizia. Il tasso di disoccupazione non era infatti così alto da ottobre 2021, quando si attestava al 4,5%.L’attuale Casa Bianca ha sempre rivendicato, negli ultimi due anni, un mercato del lavoro piuttosto solido. Tuttavia, adesso, a pochi mesi dal voto di novembre, il quadro sta tornando a peggiorare. E per la Harris suona un inquietante campanello d’allarme. La vicepresidente ha infatti sempre mostrato un forte sostegno in favore delle politiche economiche di Biden. «Siamo molto orgogliosi della Bidenomics», dichiarò il 4 agosto 2023, per poi aggiungere: «La Bidenomics sta funzionando». Era inoltre maggio scorso, quando, durante un intervento in Wisconsin, la Harris tornò a difendere la linea economica di Biden. D’altronde, in quanto vicepresidente in carica, sarebbe ben difficile per lei prendere le distanze dalle politiche adottate dall’attuale inquilino della Casa Bianca. E qui emerge lo spettro del 1968: quell’anno, l’allora vicepresidente, Hubert Humphrey, perse le elezioni anche perché non riuscì a scrollarsi di dosso l’impopolarità che perseguitava il suo principale, Lyndon Johnson, per la gestione del conflitto in Vietnam. Non a caso, negli ultimissimi giorni, il team elettorale di Donald Trump ha pubblicato uno spot in cui si evidenzia il sostegno che la Harris ha sempre dato alla Bidenomics.La strategia dei sostenitori del presidente è quella di dare la colpa alla Fed che, dopo aver alzato undici volte i tassi di interesse tra marzo 2022 e luglio 2023, li ha poi lasciati invariati, in attesa di un possibile taglio il prossimo settembre. Già nei mesi scorsi, era emersa una certa apprensione da parte della Casa Bianca nei confronti della politica monetaria restrittiva di Jerome Powell: Biden temeva infatti contraccolpi negativi sul mercato del lavoro e l’eventualità di una recessione. Del resto, come sottolineato da un report di Goldman Sachs pubblicato l’anno scorso, la Storia mostra come, in caso di recessione, il partito al potere tenda a perdere le elezioni presidenziali americane: è accaduto nel 1976, nel 1980, nel 1992 e nel 2020. Andrebbe inoltre ricordato che la severità della Fed è stata determinata dall’elevata inflazione che proprio la Bidenomics ha contribuito a creare con iniezioni di denaro che hanno via via surriscaldato l’economia.A giugno 2022, l’inflazione negli Stati Uniti aveva raggiunto il 9,1%: il dato più alto nell’arco di 40 anni. Tra l’altro, pur essendo attualmente al 3%, l’inflazione resta più alta rispetto ai tempi non solo della presidenza Trump ma anche del secondo mandato di Barack Obama. E attenzione: a collegare l’aumento dell’inflazione alla Bidenomics è stato, tra gli altri, Larry Summers, che fu segretario al Tesoro nell’amministrazione Clinton, oltre che consigliere economico dello stesso Obama (non esattamente quindi un simpatizzante del Partito repubblicano). E qui veniamo a un’altra grana per la Harris: sì perché, secondo un sondaggio pubblicato a fine maggio dal Pew Research Center, per il 62% degli americani l’inflazione continua a rivelarsi un «grande problema». Non solo. Il mese scorso, il Financial Times ha riferito che il 45% degli elettori ritiene che, con Trump presidente, le proprie condizioni economiche migliorerebbero, mentre solo il 35% asserisce il contrario. Era infine ottobre 2023, quando la Harris disse alla Cbs: «Grazie alle nostre politiche, stiamo riducendo l’inflazione». Un’affermazione che il sito Politifact bollò come «quasi del tutto falsa».La vicepresidente continuerà prevedibilmente a gettare fumo negli occhi, parlando quasi esclusivamente di aborto, democrazia e diritti civili. Ma i nodi veri - dal rischio di recessione alle faide tra i dem - stanno pian piano venendo al pettine. E incombono pesantemente sulla sua candidatura.
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
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