2024-03-08
I compagni di Sofri scaricano la Di Cesare
Adriano Sofri e Donatella Di Cesare (Ansa)
Duro articolo di «Repubblica» contro la prof che ha espresso vicinanza all’ex br Barbara Balzerani. Peccato che sullo stesso giornale abbia scritto per anni il mandante dell’omicidio Calabresi. E che la stessa filosofa sia stata coccolata quando bastonava i no vax.La Sapienza prepara la sentenza. Giorni difficili per l’amica della compagna Luna, la prof Donatella Di Cesare che tre giorni fa ha ritenuto di commemorare dolcemente la morte della terrorista Barbara Balzerani, forse senza rendersi conto che stava innalzando sulla pira degli eroi l’assassina della scorta di Aldo Moro, del sindaco di Firenze Lando Conti e dell’economista Ezio Tarantelli, che nel marzo di 39 anni fa uscì proprio dall’Università romana con i piedi davanti in seguito a un attentato brigatista. La docente è con le spalle al muro ma non deve essersene resa conto: ad aggravare la posizione c’è un nuovo post nel quale ringrazia i Collettivi studenteschi comunisti per il sostegno ricevuto. Gli ultrà rossi dell’ateneo hanno infatti tappezzato i muri con il volantino: «Contro la censura di Stato. Libertà di espressione nelle università. Solidarietà con la professoressa Di Cesare». Firmato: una stella nera. Il simbolo usato in ambienti anarchici, variazione Goldberg della stella rossa. Il peso specifico è ben diverso da quello del ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, che ha sposato la tolleranza zero: «Ho condiviso lo sconcerto espresso dalla rettrice Antonella Polimeni anche alla luce della storia dell’ateneo romano che ha pagato un prezzo molto alto durante la tristissima stagione del terrorismo e ha giudicato pericolose le parole della professoressa, inconciliabili con la responsabilità dell’insegnamento».Per la filosofa del pensiero debole che tentò, ovviamente invano, di demolire Martin Heidegger (lui rimane un gigante, lei è aggrappata allo strapuntino) sono ore complicate. Quelle in cui anche gli amici si dimenticano delle battaglie del passato e ti voltano le spalle. Scomparsa dai talk show de La7 («Donatella chi?» sembrano dire Lilly Gruber e Corrado Formigli), la prof ha subito l’opera di demolizione di un giornale molto amico come La Repubblica, che ieri le ha dedicato un articolo al vetriolo, ineccepibile nei contenuti ma curiosamente fuori tempo. Nell’invettiva dal titolo «Di Cesare, l’Ucraina e il pacifismo a morti alterne», la docente di filosofia teoretica è accusata di inneggiare a chi usava le armi negli anni di piombo ma di aborrire l’invio di armi a Kiev che resiste. Va ricordato che lei in questi due anni ha assunto una posizione ultra pacifista, ha sostenuto la necessità di chiudere i rubinetti a Volodymyr Zelensky e ha firmato appelli contro la guerra con il fisico Carlo Rovelli e il missionario guevarista Alex Zanotelli, paventando i rischi di un olocausto nucleare. Quella di Repubblica è una sottolineatura legittima, una presa di distanza «da quel ramo della sinistra intellettuale che ai brigatisti rimproverava (talvolta, nemmeno sempre) il mezzo ma non il fine».C’è un problema. Per anni il giornale simbolo della sinistra al potere ha ospitato ogni sorta di interventi, rubriche, interviste, approfondimenti di Adriano Sofri, che non fu propriamente un turista del movimentismo rosso nella notte della Repubblica, ma il direttore di Lotta Continua, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, condannato a 22 anni di carcere e protagonista di un lungo braccio di ferro con la giustizia, sostenuto dalla «nota lobby» (così l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga definiva i molti appartenenti a Lotta Continua, ancora oggi autonominati mâitres à penser e avvitati a numerose poltrone). Il corto circuito a sinistra è evidente e scaricare la Di Cesare per l’omaggio a Balzerani ha un che di peloso.Per la prof della Sapienza il segnale è sconsolante: non serve più. Ora potrà misurare la sua forza intellettuale dentro quella solitudine poco beata che accompagna chi, in una mattina disgraziata, ha perso gli amici e la corriera del politicamente corretto. Allora rimpiangerà i bei tempi della stagione pandemica, quando poteva accendere un microfono e sparare a zero (metaforicamente) contro chi si opponeva al green pass, lanciando anatemi in nome della Scienza, al calduccio dentro la sinistra cocchiera e plaudente per le decisioni di Giuseppe Conte, Roberto Speranza, Mario Draghi in nome del conformismo planetario. Allora era un’eroina come la compagna Luna. E sull’Espresso scudisciava i colleghi perplessi (come Massimo Cacciari e Giorgio Agamben) teorizzando la meraviglia del tracciamento. «Non siamo già sorvegliati per ben più futili motivi da un capitalismo che ci impone da tempo forme di vita?».Mentre La Sapienza prepara la sentenza, nessuno pensa di perdonarla. Il senatore Sergio Rastrelli (Fdi) sintetizza il pensiero di molti: «Di Cesare smetta di fare la vittima e si dimetta. Spero che l’università prenda le dovute misure per porre fine a questo scempio. È inopportuno che un’insegnante con idee sovversive continui a forgiare le coscienze dei nostri ragazzi. Merita di essere radiata». Oggi il problema per lei non è ciò che pensa la destra, ma ciò che scrive la parrocchia di sinistra.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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