2021-06-30
I cinesi pasticciavano col virus già nel 2008
Uno studio firmato, tra gli altri, da Shi Zhengli, la direttrice dell'istituto di ricerca di Wuhan, descriveva l'ottenimento di un coronavirus infettivo per l'uomo a partire da uno innocuo dei pipistrelli. Una manipolazione pericolosissima che getta nuove ombre sulla pandemiaChe nel laboratorio di Wuhan si manipolassero virus animali, rendendoli aggressivi per l'uomo, non è certo una sconvolgente rivelazione d'intelligence. A descrivere trionfalmente questi esperimenti sui patogeni è sempre stata la stessa direttrice dell'istituto, Shi Zhengli, ribattezzata «Bat woman». E alcuni dei lavori pubblicati da lei e altri ricercatori cinesi, letti col senno di poi, non possono che alimentare ulteriormente le congetture sull'origine artificiale del Covid. In particolare, uno studio, uscito nel 2008 sul prestigioso Journal of virology, fa accapponare la pelle. Dentro, ci si ritrovano molti degli elementi sospetti, che sono più volte affiorati durante la pandemia nell'ambito della «lab leak theory»: un coronavirus di origine naturale, manipolato geneticamente per investigare in che condizioni potesse diventare trasmissibile all'uomo, utilizzando anche una combinazione con uno pseudovirus Hiv (ricordate Luc Montagnier, il premio Nobel additato come uno squinternato complottista?). Ciò non significa che quello scritto, intitolato Difference in receptor usage between Sars coronavirus and Sars-like coronavirus of bat origin, costituisca la pistola fumante della teoria del Covid come frutto di un esperimento di laboratorio. Anche perché, come aveva spiegato l'MI6 britannico, le prove della «fuga» del Sars-Cov-2 dal Wuhan institute of virology, con ogni probabilità, sono state già tutte eliminate. Tuttavia, la verità si può ricostruire pian piano, pezzo dopo pezzo. E in questo puzzle, ogni tassello è importante. Ma cosa diceva l'articolo del 2008? Shi Zhengli e altri nove scienziati cinesi, non tutti operanti a Wuhan, avevano studiato il virus responsabile della Sars, chiedendosi cosa potesse spiegare la sua elevata capacità d'infettare gli umani. Così, lo avevano confrontato con una famiglia di coronavirus naturali, Sl-Cov, identificati nei pipistrelli ferro di cavallo maggiore. Patogeni geneticamente molto simili, epppure non pericolosi per l'uomo. Come mai? La soluzione del mistero stava nella struttura della proteina spike, che consentiva al Sars-Cov di aggredire il recettore Ace, tramite il quale il virus entra nelle nostre cellule. Una scelta intelligente sarebbe stata quella di modificare il virus della Sars, privandolo della proteina spike per vedere se manteneva la capacità di penetrare nelle cellule umane. In termini tecnici, una «perdita di funzione». E invece cosa fanno i luminari del Dragone? Optano per la pericolosa soluzione opposta, il «guadagno di funzione»: ingegnerizzare il capostipite innocuo dei coronavirus per trasformarlo in un killer. Come? Trasferendo il gene che codifica per la proteina spike dal virus Sars-Cov al virus non patogeno Sl-Cov. Per farlo, utilizzano come vettore un pezzo di uno pseudovirus basato sull'Hiv. E ottengono una «chimera»: un nuovo virus che, grazie al trapianto di una sequenza del Sars-Cov, acquisisce la capacità di infettare cellule umane. Il professor Mariano Bizzarri, direttore del laboratorio di biologia dei sistemi all'Università La Sapienza di Roma, punta il dito sull'operazione raccontata nel testo dedel 2008: «Sappiamo oggi che quella famiglia di coronavirus è l'antenato diretto del Covid-19. Prima di allora, infatti, i coronavirus non avevano mostrato di poter aggredire cellule umane». Dunque, ricapitoliamo. Bat woman e un folto team di ricercatori cinesi, 13 anni fa, mettono a confronto il virus della Sars, pericoloso per l'uomo, con un virus simile, ma non infettivo. E scoprono in che modo quest'ultimo possa essere ingegnerizzato, per essere reso capace di penetrare nelle cellule umane. Vi chiedete perché? Nel paper, gli autori spiegano che l'esperimento è servito a indagare le origini della Sars, scagionando la famiglia del Sl-Cov presente nei pipistrelli ferro di cavallo maggiore. Ma anche - e questo è dirimente - a comprendere che sono sufficienti minime ricombinazioni affinché i coronavirus acquisiscano infettività per la specie umana. Ironia della sorte, gli scienziati sottolineano «la capacità di diversi Cov di ricombinarsi sia in laboratorio sia in natura». Appunto. D'altra parte, in un saggio di due anni dopo, dedicato all'epidemia di febbre emorragica del 2003 nello Yunnan, il team di Shi Zhengli certificava che «le infezioni umane furono il risultato di trasmissione zoonotica del virus da topi di laboratorio». Perché la stessa cosa non potrebbe valere per la pandemia di Covid-19? L'ipotesi ormai non è più da considerarsi implausibile. E non solo nella variante che parla di un virus naturale sgusciato fuori dall'istituto di Wuhan, caratterizzato da scarsi livelli di sicurezza e igiene. A questo punto, persino chi si scandalizzava della trumpiana teoria del complotto, sotto l'ombrello di Joe Biden, si spinge fino a evocare inquietanti esperimenti d'ingegneria genetica, finiti malissimo. Ultima coincidenza. Gli esperti di Wuhan, che hanno sempre negato di aver avuto a che fare con i primi cluster dell'epidemia, in un Paese che ha voluto far risalire al massimo a fine 2019 l'origine della malattia, il 27 gennaio 2020 erano stati già in grado di trasmettere al giornale Emerging microbes & infections un articolo su un monoclonale, capace di neutralizzare le proteine patogene del Covid-19. Un risultato sorprendente, se si considera che la sequenza genetica del Sars-Cov-2 era stata diffusa ufficialmente il 10 gennaio. Certo, al momento in cui è stato depositato il paper, si contavano già quasi 12.000 casi d'infezione e quasi 300 decessi. Pertanto, il materiale d'indagine non mancava. Ma bisogna ammettere che i cinesi sono stati piuttosto svelti. Erano troppo bravi? O magari avevano messo le mani in pasta prima di avvisare il resto del mondo?