2019-08-16
Van De Sfroos: «Ho lottato con i draghi della depressione»
Il cantautore racconta il male oscuro che l'ha tenuto lontano dalle scene: «Ero all'apice, ma nel profondo mi sentivo instabile». Poi la terapia, le passeggiate nelle valli e un viaggio ad Auschwitz hanno aperto uno spiraglio: «La musica guarisce il mondo».«Ci sono tre draghi. Il primo è bianco, lo vedi arrivare da lontano perché è enorme; non ti fa male, ma ti svuota, ti toglie la voglia di tutto, persone, cose, musica. Il secondo è rosso, ti colpisce al tramonto con la malinconia; stai male per chi non c'è più e hai paura per coloro che ami. Il terzo è nero, speri di non vederlo mai. Ti travolge e ti fa dire: oddio sono matto». Sembra una favola, ma è il racconto di un incubo. Davide Van De Sfroos ha spiegato così ai suoi tre figli Pietro, Luca e Vittoria quel male oscuro che un giorno di due anni fa l'ha costretto ad abbandonare chitarra, spartiti, band, compagni di avventura. E a guardarsi dentro. «Depressione, astenia, nevrastenia sono parole per addetti ai lavori. Per me è il drago». Ne è stato sopraffatto, poi ha imparato a cavalcarlo. Per domarlo ha scalato sentieri solitari, si è presentato con la valigia nel reparto di psichiatria dell'Ospedale di Menaggio (Como), ha suonato ad Auschwitz, è andato a cercare sé stesso in miniera. E quando la bellezza manzoniana del lago gli si è appoggiata «come una farfalla su una spalla», ha capito che aveva vinto. E che era giunto il momento di raccontare la sua battaglia.Davide Van De Sfroos, quando si è accorto che era arrivato il drago?«Due anni fa dopo il concerto di San Siro. Cantavo, scrivevo, realizzavo documentari, tenevo conferenze. Ero all'apice, ma avvertivo nel profondo qualcosa che mi faceva diventare pericolosamente instabile. Coglievo un allarme, non ero un novizio della materia».In che senso?«Avevo cominciato presto, da ragazzino, con ansie e attacchi di panico. Li tenevo sotto controllo, solo che arrivavano nei momenti più bislacchi. Mai mentre ero su un palco con 4.000 persone in platea, ma da seduto in poltrona. Come da piccolo, quando mi venivano mentre ero in auto con mio papà tornando dal lavoro». I medici le chiamano sindromi depressive, c'è chi lotta per una vita intera per tenerle a bada.«Quando il drago arriva devi sapere che puoi cavalcarlo, averne la consapevolezza. Se non lo sai sei fragile, indifeso, la famiglia non capisce. E lui ti può travolgere. Imparare a cavalcarlo significa ritrovare il tuo equilibrio, perché in cambio lui ti dà visione, senso di libertà. Stai volando su un drago. Ma se lo tratti male e lo trascuri finisci disarcionato, cadi nel vuoto più totale e sei bruciato dalla sua fiamma».Come lo ha affrontato?«Con la consapevolezza, guardandolo negli occhi. Ti metti nella prospettiva di preparare una piccola valigia e di lasciarla lì per l'occasione. Nel 2014 mi ero presentato nell'ospedale della zona come in un film: cucù, sono qui, curatemi. All'inizio mi guardavano in modo strano, poi hanno cominciato ad apprezzare il coraggio. Facevo un tagliando all'anima».Due anni fa non è bastato.«Avevo bisogno di ritrovare me stesso. Seguivo una terapia, ma a fare la differenza fu la decisione di percorrere da solo ogni mattina i sentieri di queste valli con le cuffie e musica ambient alla ricerca delle cime più alte, delle chiese sperdute. [...]».Che effetto provava durante quelle camminate?«Liberatorio. Avevo trovato qualcosa nel ventre che mi danneggiava. A quel punto dovevo farlo uscire e far entrare ciò che vedevo con un nuovo sguardo. Ma in questa fase devi essere preciso, chirurgico, come scendere in miniera per staccare pezzi di diamante [...]».Da cosa si sentiva limitato?«Dall'ansia, dalla paura. Quando sei ipersensibile tutto ciò che ti riempie la mente diventa ingestibile. Devi saper scegliere. Devi avere la forza di strizzare la spugna ogni sera per liberarti dalla spazzatura. Ho imparato a farlo».Non era ancora il momento di tornare alla musica?«No, allora ero un “neuronauta", un astronauta del mio sistema nervoso. Mi sono riavvicinato alla chitarra quasi per caso, durante un viaggio ad Auschwitz con alcune scuole di Lecco e di Como. A un certo punto, a Cracovia, i ragazzi mi hanno chiesto di cantare».E lei come ha reagito?«Ero perplesso, non prendevo in mano uno strumento da sette mesi. Né io né Anga, il mio violinista, sapevamo cosa sarebbe successo. Durante la prova del suono abbiamo capito che lì, dove c'è la morte che non scade, stava arrivando una piccola rinascita. La sera, ragazzi e professori cantavano e ballavano. Ho capito che la musica non guarisce solo te, ma guarisce il mondo».Così è tornato il Van De Sfroos di Sanremo, degli Arcimboldi, dei tour in tutta Italia, del trionfo a New Orleans?«Il drago non se ne va senza chiederti sacrifici. Ho ricominciato da concerti strani, non convenzionali. Ho suonato in una miniera della Valmalenco, tutti con gli elmetti mentre fuori c'era il temporale. Volevo ripartire dalle viscere della terra. Poi a Palazzo Vertemate a Chiavenna. Poi negli alpeggi. E a chi veniva ad ascoltarmi fra le mucche raccontavo questa mia storia. Mai tenere il drago dentro, la solitudine è un nemico».C'è chi dice che non essere riuscito a riempire San Siro l'ha gettata nella sconforto.«Una sciocchezza. Quel concerto è stato magico, me lo porto nel cuore. Le difficoltà le ho vissute prima di suonare, nel periodo preparatorio quando per mesi ho dovuto applicarmi in una promozione sfibrante. Non ci sono tagliato». [...]In questi casi che ruolo ha la famiglia?«La famiglia ti protegge, ma fatica a capire che devi rompere la noce per guardarci dentro. [...] Poi c'è il ruolo pubblico: è facile vedere una gamba ingessata, non un'anima ingessata. La gente ti dà subito del matto. Il disagio pubblico è il dolore più tremendo».La bellezza di quel ramo del lago di George Clooney l'ha aiutata?«La bellezza ti aiuta sempre. Quando ti si posa su una spalla come una farfalla è un farmaco potente. Ma da sola non basta, perché in certi momenti non la vedi. Hai bisogno anche della bellezza interiore di certi uomini di Chiesa, dei maestri zen, di scrittori come Jean Paul Sartre, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud [...]».Oggi è impegnato in un tour in giro per l'Italia sino all'autunno. Piazze piene, successo. Il menestrello è tornato. Con quali certezze?«Ho ritrovato la mia energia, non devo più fare lo sforzo tutte le mattine di rientrare in me stesso come in uno scafandro [...]».Adesso il drago dov'è, sconfitto per sempre?«È in un angolo, dorme. Capisco che non tutti i giorni è dello stesso umore. Quando si impenna devi essere pronto e io, adesso, so cosa fare».Cosa ha imparato da lui?«Che non è sbagliato aver paura della vita. Ma non possiamo lasciare che il terrore ci impedisca di viverla».
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)