2020-04-30
Zangrillo: «Ho l’identikit del paziente a rischio e una tattica su misura per curarlo»
Il medico del San Raffaele ha condotto ricerche su 1.000 ricoverati in terapia intensiva: «Over 65, ipertesi e malati oncologici i più esposti. Puntando su un protocollo per guarirli, potremo convivere con l'epidemia». «Mettiamo in soffitta due concetti, quello degli eroi e quello della prima linea. Restiamo pragmatici». Ed è con il pragmatismo di chi con una mano cura e con l'altra studia, che il professor Alberto Zangrillo esce per mezz'ora dalla terapia intensiva dell'ospedale San Raffaele per spiegare il senso di una ricerca destinata a fare storia. È l'identikit del Covid-19, il profilo delle sue abitudini, delle vittime preferite, delle patologie a rischio, delle terapie più efficaci. Due mesi fanno dramma ma anche casistica; servono per guarire chi viene dopo, chi ha la fortuna di non essere stato travolto dalla micidiale ondata di marzo. Mille pazienti, mille storie che per un istituto di eccellenza internazionale come l'ospedale milanese si tramutano in uno studio a beneficio del mondo. Da oggi i sintomi, le fragilità, il percorso del virus non sono più ipotesi pur solide ma evidenze scientifiche messe nero su bianco da due luminari italiani. Con Zangrillo, direttore dell'Unità operativa di terapia intensiva generale e cardiovascolare, e altrimenti noto come il medico di Silvio Berlusconi, ha firmato la ricerca il professor Fabio Ciceri, vicedirettore scientifico per la Ricerca clinica e primario di Unità di ematologia e trapianto di midollo sempre del San Raffaele. Anche il sistema sanitario ha la sua Fase 2.Professor Zangrillo, chi va protetto maggiormente dal contagio?«Dall'incrocio dei campioni i biologici, dalla storia clinica e dai dati diagnostici delle nostre mille terapie intensive escono chiaramente quattro categorie: le persone oltre i 65 anni, coloro che hanno un tumore maligno in corso, coloro che hanno ipertensione arteriosa e le persone con malattie coronariche. Ma adesso abbiamo un vantaggio rispetto a due mesi fa».Quale sarebbe?«Possiamo riconoscere in anticipo i pazienti e intervenire con efficacia. Un punto di partenza fondamentale per imparare a convivere con il virus e non farci illudere da teorie campate per aria».Convivere è una parola che mette paura. «Una conversazione sul Covid-19 necessita di questo presupposto, visto che è possibile che in autunno ritorni. E se non partiamo da qui rischiamo di fare scelte sbagliate».Quali sono le scelte sbagliate?«Quelle definite nel documento segreto del comitato di esperti che disegna uno scenario in cui, tra qualche tempo, se saremo cattivi serviranno 151.000 posti in terapia intensiva. E se saremo molto cattivi ne necessiteranno 400.000. È un ragionamento senza capo né coda; se l'unico pensiero è riservare le energie per ricavare migliaia di posti in terapia intensiva andiamo verso il fallimento».Quale sarebbe la strategia corretta?«Non terrorizzare le persone ma aiutarle a vivere meglio, anzi a convivere con il virus. La terapia intensiva non programmata è una sconfitta: vuol dire che è successo qualcosa di imprevisto. Invece due mesi di lavoro ci consentono di prevenire con suggerimenti corretti e di non avere bisogno della terapia intensiva».Adesso sappiamo quali sono le persone a rischio. Prossima mossa?«Vanno protette, il che non significa blindarle in casa con qualcuno che porta loro il cibo. Così non migliorano, anzi quando arriveranno in ospedale saranno in situazione di emergenza. Dobbiamo fare in modo che chi è a rischio abbia diagnosi, monitoraggio e cura».Come costruire in breve una simile struttura intermedia?«C'è già. Si tratta di attivare un meccanismo virtuoso di collaborazione fra ospedale e medicina del territorio gestita dalle regioni. Se il paziente manifesta segnali inequivocabili non accadrà più come a febbraio e marzo, quando rimaneva a casa non gestito e arrivava in ospedale stremato, subito avviato alla rianimazione. Tutto questo è un protocollo con un nome».Approfondisca, per favore.«È un percorso screening, si chiama Post, acronimo di Prudenza, Organizzazione, Sorveglianza, Tempestività. Sono elementi alla base del sistema tedesco. Post pandemia, di fatto la Fase 2 sanitaria che entra direttamente nel sistema sociale. Con azioni che rendono il cittadino meno schiavo di paure, pregiudizi e fake news. E in definitiva aiutano anche il politico a prendere decisioni. L'evidenza scientifica è sempre più rassicurante della paura».È vero che l'esperienza sta migliorando anche le terapie?«Una terapia specifica non esiste, ma quelle che si avvicinano sono diventate più efficaci. E sono il risultato di un'appassionante corsa scientifica all'interno dell'istituto. Da una parte siamo concentrati per curare al meglio situazioni estreme, dall'altra ogni singolo medico è impegnato a produrre conoscenza e a condividerla». Qual è la strada giusta?«Ora abbiamo le idee chiare sugli antivirali, sugli antinfiammatori necessari, sugli immunosoppressori. Ma solo il confronto delle conoscenze è vincente, quindi è bene che le evidenze siano confermate anche all'esterno».Professore, è vero che oggi il virus è meno aggressivo?«Non possiamo dimostrarlo scientificamente, ma la sensazione ha una sua fondatezza. Si sta attenuando e anche questo ha una logica. Ci ha investito il più insidioso, vigliacco. Ma è un dato di fatto che non arrivano più malati gravi al pronto soccorso. Il virus ci sta dando una tregua».Il momento giusto per contrattaccare.«Ci dobbiamo comportare come un esercito. Ci siamo organizzati dopo l'agguato iniziale, ci siamo ricomposti e cominciamo a trovare strategie ad ampio respiro per vincere la guerra. Centuplicare le terapie intensive non lo è di sicuro».Ha un rammarico in tutto questo?«Dobbiamo tornare a tutelare i pazienti che abbiamo necessariamente trascurato per dedicarci al Covid-19. Anche questo è un progetto che abbiamo presentato alla Regione Lombardia: un'area separata e totalmente protetta per eventuali necessità coronavirus, con un presidio ospedaliero concepito ad hoc. In modo che si possa tornare a pieno titolo e a pieno ritmo a curare gli altri malati».Avete dovuto trascurare molte tipologie di pazienti?«L'hub cardiovascolare del San Raffaele ha detto sì a tutti, non ha trascurato un solo paziente neppure durante il periodo più complicato. Invece nel settore delle neuroscienze e dell'oncologia terapeutica e chirurgica siamo stati costretti a ridurre le prestazioni. Chiediamo scusa ai nostri pazienti, vogliamo tornare velocemente a occuparci di loro».Vedendo all'opera questa straordinaria astronave di cura e ricerca non si può non pensare alle polemiche sulla sanità pubblica e privata. «Contrapporle come ho sentito, andando maliziosamente a far intendere che le eccellenze private esistono a scapito della sanità pubblica, è una strumentalizzazione lesiva della verità e del nostro lavoro quotidiano. Una falsità subdola come il virus».
Le rinnovabili mandano ancora in tilt la rete spagnola. I coltivatori di soia americani in crisi, la Cina non compra più. Terre rare, Pechino stringe ancora sull’export. Auto cinesi per rame iraniano, il baratto.
Federico Vecchioni (Imagoeconomica)