2022-08-29
Beatrice Venezi: «Ho detto no alla candidatura. Ma amo l’Italia e la aiuterò»
Beatrice Venezi (Getty Images)
Il direttore d’orchestra: «A scuola mi attaccavano perché avevo un papà di destra I nostri problemi? La gerontocrazia. E nella cultura il dominio della solita lobby».Si accende, Beatrice Venezi. È appassionata quando dirige orchestre in tutto il mondo e pure quando parla di sé e delle sue idee. C’è chi non gliele perdona. Si dice stanca di «questa Italia della mistificazione», ma pure non getta la spugna: «Andrò a votare, certo, spero che le cose cambino». La raggiungiamo al telefono tra un viaggio di lavoro e un altro. Classe 1990, è tra le poche donne al mondo a dirigere orchestre a livello internazionale e ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Nelle ultime settimane ha fatto danzare la sua bacchetta in Alto Adige, a Paestum e Catania e pure in Giappone. La aspettano teatri italiani e francesi. Oltre a qualche nuovo progetto che ancora non ci svela.I retroscena politici nelle scorse settimane la davano sicura candidata con Fratelli d’Italia. E invece…«Le posso dire che nessun giornalista mi ha mai chiamato per chiedere conferma? E che anche quando ho messo a punto un comunicato per smentire non si sono riportate per intero le mie parole? Mi viene il dubbio di non potermi fidare più di nessun giornale: è questo lo stato di salute dell’informazione italiana?».Come è andata davvero?«Sono lusingata del fatto che qualcuno abbia pensato a me. Semplicemente, ho confermato che preferisco continuare a fare il mio lavoro, essere utile al mio Paese così».La politica di palazzo non l’affascina?«Non posso a oggi escludere nulla per il mio futuro. Ma occuparsi di politica nel senso più alto del termine è anche portare la cultura italiana nel mondo, guardare al bene comune, no?».Di cultura si parla poco, in questa campagna elettorale.«Ce ne sarebbe invece bisogno. È un Paese ammalato di gerontocrazia proprio a partire dalla cultura. In questi giorni si parla poi tanto di questione femminile, ma a sproposito…».I non appassionati di musica la conobbero dal palco di Sanremo. Disse allora che preferiva essere chiamata «direttore», o «maestro», e non «direttrice». Fu bufera.«Pensi che ancora me lo rinfacciano». Ha molti nemici?«Tanti odiatori seriali, sì. I classici leoni da tastiera. Ma di recente ho deciso di ricorrere a una querela verso una persona che si professa critico musicale ma che non mi ha mai visto dirigere. E si sono calmati un poco». Cosa le dicono?«Di tutto, davvero. Quel che però non accetto è l’attacco sul mio lavoro: mi accusavano di non aver mai diretto opera, anche se il mio curriculum parla da solo».È fresca di una nomina importante: nuovo direttore artistico di Taormina Arte. Le cronache locali si sono infuocate, il sindaco ha parlato addirittura di «sopruso e cafonata».«È la solita diatriba politica: in vista delle elezioni ormai ci si attacca a tutto». Una tessera di partito lei non la ha. «Mai avuta, certo. Ho solo esposto le mie idee. Ma non serve che le dica come funzionano le cose in Italia: ogni pretesto è buono per far polemica anche quando non necessario, e le nomine sono sempre politiche, in definitiva. Il fatto che i nomi che girano da un teatro all’altro sono sempre gli stessi, nonostante i danni anche in termini di perdite economiche… la dice lunga».Una lobby?«Si mira a mantenere un certo tipo di interessi, come su tutto. Così spesso le nomine non sono basate sul valore e sul merito, o sulla visibilità che si vuol dare a un prodotto. Ci tengo a Taormina, è una bella sfida per me, la mia prima volta alle prese con una direzione artistica. La città fu perla del Mediterraneo, va rilanciata senza perder di vista il rapporto con il territorio».Accanto al suo nome si citano di recente principalmente due cose. Una è che ha partecipato alla convention milanese di Fdi. L’altra è suo padre. «Ecco, mio padre. E qui volentieri le rispondo anche se non ne ho mai parlato, perché davvero si è passato il segno. Si scrive di me come “figlia di un dirigente di Forza nuova”, come se questo fosse un peccato originale che si tramanda di padre in figlio. Mio padre ha tutto il diritto di pensare e di agire politicamente secondo le sue più profonde convinzioni. Questo, peraltro, garantito dalla “più bella Costituzione del mondo” che però viene tirata in causa solo quando fa comodo. Attribuirmi la doppia colpa di essere figlia di mio padre e di aver partecipato alla convention racconta molto di come vanno le cose in questo Paese. Io ringrazierò sempre papà per avermi insegnato il pensiero critico». Non è stato un padre rigido?«Per niente. E con i miei genitori ho viaggiato molto e questo mi ha permesso di confrontarmi con quel che c’è oltre confine. Papà fu anche animatore del primo circolo della città legato al cinema: tutti in famiglia siamo sempre stati innamorati dell’arte e della cultura, con grande curiosità. Insomma, l’esatto contrario di quel che viene descritto oggi come “fascismo”. Bisognerebbe piantarla con questo spauracchio».Di questo si parla invece molto. Sarebbe in arrivo un’onda nera…«In primis, il fascismo è finito, e non esistono partiti fascisti in Italia perché sarebbe incostituzionale, non sarebbero in Parlamento. Parte del Paese è ostaggio di chi si professa democratico ma lo è solo se la pensi allo stesso modo. E sistematicamente denigra, sminuisce, ridicolizza e offende. Le strumentalizzazioni le ho vissute sulla mia pelle».Come? «Quando ero al liceo artistico - storicamente di un certo orientamento politico, perché è inutile nascondersi dietro a un dito, così stanno le cose - mio padre si candidò alle comunali a Lucca. Il giorno dopo la mia scuola fu tappezzata da manifesti antifascisti che riportavano il mio nome. Erano scritti in modo così puntuale e preciso che poi si scoprì che non erano stati gli studenti a scagliare l’attacco, ma insegnanti e tecnici del laboratorio d’informatica». Ci soffrì?«Guardi, un po’ la mia memoria ha cancellato, forse volontariamente. Del disagio però mi ricordo bene, sì. La cattiveria degli insegnanti che mi misero nel mirino per una questione politica nei confronti di mio padre, per mesi. La maturità l’ho fatta con un commissario ministeriale seduto accanto a me a garanzia di imparzialità, dopo un esposto al ministero».La politica la accompagna insomma fin dai tempi della scuola.«Forse c’è chi avrebbe preferito che io avessi genitori da centro sociale? Oggi parlano di mio padre come fosse una vergogna. E invece sa che le dico? Che mi vergognerei se avessi avuto genitori che si fumavano gli spinelli. O una madre come la Cirinnà, che pubblica la foto “Dio, Patria e famiglia, che vita di merda”, che invece sono proprio i miei valori». Laura Boldrini scrisse che il suo voler essere chiamata «maestro» al maschile denotava poca autostima. Se ora dice di essere per Dio, patria e famiglia chissà che diranno…«Al di là del fatto che per stare sui podi internazionali su cui mi esibisco ci vuole parecchia autoconsapevolezza e sicurezza, è evidente che c’è chi vorrebbe imporre una dittatura culturale. A cui io sinceramente non voglio sottostare. È una continua pseudo-moralizzazione a uso e consumo di un’ideologia. Non mi vergogno dei miei ideali. Mi vergogno di altro». Ad esempio?«Ad esempio, di uno Stato che punta sull’assistenzialismo e non incentiva il lavoro. O di chi lucra sul fenomeno dell’immigrazione o usa la parola integrazione per riempirsi la bocca. Come certe pseudo femministe, che da buon braccio armato dell’ideologia accusano di propaganda fascista chi parla di sicurezza delle donne. Vogliamo forse dire che se una donna è aggredita da qualcuno, sia di colore o no, non è da difendere? Sono stanca di chi si arroga il diritto di dare patenti di femminismo».Quando poi per la prima volta a Palazzo Chigi potrebbe andare una donna…«Chiunque ci andrà, avrà da fare un lavoro mastodontico. Io mi auguro un cambio di tendenza, ma i problemi in Italia sono tanti. Assurdo però è basare la campagna elettorale su accuse di fascismo e maschilismo, quando l’altro giorno ero alla guardia medica e un giovane dottore, arrabbiatissimo, mi ha raccontato di essersi dovuto portare da casa siringhe e medicinali. Sono questi i veri temi. Altroché le discussioni ridicole e ipocrite sul video dello stupro».Al voto manca poco, si cerca di convincere gli indecisi.«Ma non si deve puntare sull’ignoranza delle persone. Il 30% dei ragazzi usciti dalle scuole medie non sa leggere e comprendere un testo. Nella scuola italiana gli insegnanti di musica vengono messi a fare il sostegno con doppio danno verso i ragazzi che hanno bisogno e verso chi ha studiato una vita. Vogliamo parlare di cose serie?».Lei ha un’altra colpa: quella di esser bella.«Il mio aspetto fisico mi è stato d’ostacolo, non d’aiuto, in una società che non accetta che una donna possa avere più qualità, essere bella e capace, o che un artista sia bravo a tante cose insieme. All’estero non è così: in Inghilterra o altri Paesi ho visto un atteggiamento diverso. La donna impegnata che ancora sbandiera “io sono mia” in Italia cerca di imporre il suo modello culturale».Tra poco esce il suo terzo libro, L’ora di musica, un invito alla bellezza e all’armonia, per Utet.«Sarà in libreria a settembre, sì. La scrittura per me rappresenta un mezzo di divulgazione. Vorrei avvicinare alla musica le persone stimolando la loro curiosità e far scoprire il valore della tradizione italiana. Il libro è concepito come una serie di miniature che raccontano diversi aspetti della musica classica: dagli autori, agli strumenti, alla terminologia».