2021-01-20
«Ho creduto ad Arcuri, ora rischio l’azienda»
L'imprenditore lucano Vito Lupo si è fidato delle promesse del governo e di Mr Invitalia e ha riconvertito la società per produrre mascherine. «Ho investito oltre mezzo milione, però il commissario ha importato tutto dalla Cina. E ho già dovuto rispedire a casa sei lavoratori».«Leggo tutti i giorni La Verità e le inchieste su Domenico Arcuri: siete l'unico giornale che ne parla». Oltre a essere un nostro aficionado, Vito Lupo, imprenditore lucano, gestisce a Matera la Dandy, un'azienda con 30 anni di esperienza nel tessile: «Realizziamo imbottiture per salotti, lavoriamo con i migliori marchi italiani che esportano in tutto il mondo». A marzo 2020, però, Lupo ha commesso un'ingenuità: si è fidato del governo e di Arcuri. In Italia mancavano le mascherine e il commissario invocava la riconversione industriale per «evitare la nostra totale dipendenza dalle importazioni».E voi, allora, avete riconvertito…«Ci eravamo fatti convincere anche dal fondo da 50 milioni previsto dal Cura Italia, che serviva a finanziare proprio la creazione di una filiera produttiva delle mascherine, in quel momento del tutto assente nel Paese».Sono arrivati quei finanziamenti?«Macché! Il fondo si è esaurito nel giro di sette ore».Sette ore?«Noi abbiamo anche scritto a Invitalia, per sapere che fine avesse fatto la nostra domanda di accesso al finanziamento».Che vi hanno risposto?«Niente».Niente?«Quando ho iniziato a diventare insistente, allora mi hanno spiegato che i soldi erano finiti».E intanto avevate investito di tasca vostra per la riconversione?«Sì: a conti fatti, oltre mezzo milione, tra un impianto - tutto fabbricato in Italia - e la materia prima, che allora non si trovava ed era pure costosa. All'inizio, prima che arrivasse il macchinario, le mascherine chirurgiche ci eravamo messi a cucirle manualmente».Un lavoro artigianale.«A fine giugno, è arrivato l'impianto. Nel frattempo, tutto quello che avevo prodotto - 50-60.000 mascherine - l'ho donato a enti caritatevoli, amministrazioni e all'ospedale di Matera».In attesa di vendere allo Stato?«Sì, perché Arcuri diceva che a settembre avrebbe acquistato tutte le mascherine in Italia».Cito testualmente: «A settembre ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane». È una promessa del 27 maggio.«E io ero pronto a fornirle già a luglio».Quante?«Posso arrivare a produrne due milioni al mese, con la macchina a pieno regime».Le mascherine sono a norma?«Produco le chirurgiche di tipo I, II e IIR. Hanno tutte la marcatura Ce. Siamo iscritti all'albo del ministero della Salute e non le dico quanti soldi abbiamo speso per sottoporle ad accurate analisi. Mica sono le mascherine prodotte da certe grosse aziende italiane, ma in Cina. Mascherine che nemmeno raggiungono i limiti di filtrazione batterica previsti dalla norma…».Che dice la norma?«Richiede almeno il 95% di filtrazione batterica. Io sono arrivato al 99%».Avete provato a venderle alla struttura commissariale, queste benedette mascherine?«Siamo regolarmente iscritti al mercato elettronico della Pa e a tutte le piattaforme previste per le amministrazioni pubbliche maggiori e minori. Abbiamo scritto a Roberto Speranza, al viceministro dell'Economia…».E?«Niente. Non ci hanno mai risposto».Ma il problema qual è?«Il problema è che il governo e Invitalia hanno importato un tale quantitativo di mascherine dalla Cina, da saturare il mercato».In sintesi: vi hanno chiesto di riconvertire la filiera per poter acquistare solo italiano, ma intanto hanno azzerato la domanda importando dalla Cina. «E chi ha riconvertito, oggi, ha i magazzini pieni di mascherine. Che non sa a chi vendere».Lei quante ne ha?«A terra, in magazzino, ne ho accumulate circa 600.000. Dalle mie parti, conto almeno altre tre o quattro aziende che hanno lo stesso problema. Tanto che, a un certo punto, avevamo fatto una proposta».Ovvero?«Che fosse conferita alle Regioni la facoltà di stabilire il proprio fabbisogno di mascherine, affinché si potessero approvvigionare direttamente dalle aziende del territorio, visto che, intanto, lo Stato si era rifornito altrove».Che fine ha fatto la proposta?«Siamo stati auditi in Consiglio regionale, che all'unanimità ha approvato una mozione, impegnando l'assessore alla Sanità a presentare la richiesta al governo. Ma non so se ci sia stata un'interlocuzione con Roma».Non sarà che le sue mascherine costano troppo rispetto a quelle cinesi? A quanto le vende?«Ovviamente dipende dagli ordini. Diciamo che se mi si ordina un milione di mascherine, posso venderle a 10-11 centesimi l'una». Ecco: costano di più.«Capisco che quelle cinesi, in teoria, possano arrivare a costare 3, 4 o 5 centesimi. Ma io devo rispettare le nostre regole, pagare dignitosamente i lavoratori, recuperare almeno i soldi che ho investito. E d'altra parte, questa massiccia importazione dalla Cina ha già fatto crollare i prezzi, recando un danno enorme al mercato interno. Io come lo ripago, adesso, il macchinario? A chi le vendo le mie mascherine?».Come è andata a finire questa storia?«Ho spento il macchinario. E i dipendenti addetti ho dovuto rimandarli a casa. È un colpo al cuore per me».Di quanti lavoratori si tratta?«Sei persone».Sono in cassa integrazione?«Sì, li tengo in cassa integrazione».Quindi, non solo lo Stato non ha preso le sue mascherine, ma deve pagare la cassa integrazione ai lavoratori che lei è stato costretto a mandare via…«Non solo. I mancati introiti mettono in seria difficoltà tutta la mia impresa, che prima era sanissima. Se non ripago l'investimento - che, ripeto, ho fatto fidandomi di Arcuri - sono a rischio anche gli altri miei 45 dipendenti».Nel frattempo, nel nostro piccolo, possiamo fare quello che finora non ha fatto il commissario straordinario: sul sito securesanex.it, è possibile acquistare le mascherine prodotte dalla squadra di Lupo. Tutte italiane.