2019-03-25
Hillary impazzirà. Trump l'ha battuta da solo senza l'aiuto dei russi
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La vicenda Russiagate si conclude con un vincitore: Donald Trump. Il procuratore speciale Robert Mueller non ha infatti rinvenuto prove, in grado di dimostrare che il comitato elettorale del magnate abbia organizzato una cospirazione con il governo russo per interferire nelle elezioni presidenziali americane del 2016. A rivelarlo è la lettera inviata domenica al Congresso dal ministro della Giustizia, William Barr, che contiene le principali conclusioni dell'inchiesta. Ecco i dettagli...»Le indagini del procuratore speciale» - si legge nella missiva - «non hanno rilevato che il comitato di Trump o chiunque vi fosse associato abbia cospirato o si sia coordinato con la Russia nei suoi sforzi per influenzare le elezioni presidenziali americane del 2016». «Come afferma il rapporto» - prosegue Barr - «l'indagine non ha stabilito che i membri della campagna di Trump cospirassero o si coordinassero con il governo russo nelle sue attività di interferenza elettorale». Tutto questo, «malgrado le molteplici offerte da parte di persone collegate alla Russia di aiutare la campagna di Trump». Più in generale, Mueller avrebbe individuato due «specifici tentativi russi di influenzare le elezioni del 2016»: in primis, la società russa Internet Research Agency avrebbe cercato di diffondere disinformazione attraverso i social media, con l'obiettivo di disseminare "discordia sociale" negli Stati Uniti. In secondo luogo, vengono citati gli atti di hackeraggio per danneggiare l'allora candidata democratica, Hillary Clinton.Se dunque la collusione viene totalmente esclusa, maggiore ambiguità aleggia sulla seconda accusa: quella di ostruzione alla giustizia. Sotto questo aspetto, la conclusione di Mueller resta ambivalente: non è detto che Trump abbia commesso un reato ma non sarebbe neppure del tutto escludibile. «Il procuratore speciale non è giunto a una conclusione» - in un modo o nell'altro - «sulla possibilità che le azioni prese in esame configurino un'ostruzione alla giustizia». Pertanto «il rapporto non arriva alla conclusione che il presidente abbia commesso un reato, ma allo stesso tempo non lo assolve».Insomma, dopo quasi due anni, la telenovela del Russiagate pare essere giunta a una conclusione. Del resto, che quest'inchiesta facesse acqua da più parti non è mai stato esattamente un mistero. Non solo le incriminazioni che ha prodotto in passato hanno sovente riguardato reati che con Trump non avevano nulla a che vedere. Ma, più nello specifico, non si è mai granché compreso per quale ragione questa indagine non abbia mai messo nel mirino gli interessi opachi che storicamente hanno legato la stessa famiglia Clinton al Cremlino: soprattutto nel periodo in cui Hillary si trovava ad essere segretario di Stato, ai tempi del primo mandato di Barack Obama, quando l'ex first lady diede il suo assenso per vendere l'azienda canadese Uranium One (che controllava un quinto delle riserve d'uranio statunitensi) alla società statale russa Rosatom.Adesso bisognerà cercare di capire quali conseguenze produrrà l'esito di questa inchiesta. Innanzitutto, guardando alla politica interna, è chiaro che quanto diffuso ieri rappresenti una chiara vittoria per Donald Trump. Il magnate ha più volte definito l'indagine una "caccia alle streghe", criticando non soltanto una parte cospicua dell'establishment di Washington ma anche – e forse soprattutto – una certa stampa altolocata che ha assai spesso sguazzato tra le presunte rivelazioni legate a quest'inchiesta. Ma non solo. Perché, al di là di questi battibecchi, le conclusioni di Mueller aiutano Trump anche sotto un altro punto di vista: lo rafforzano, cioè, contro tutti coloro che hanno considerato la sua vittoria nel 2016 come il frutto di un bieco complotto estero, senza capire (o fingendo di non capire) che - alla base di quella vittoria - ci siano state cause strutturali profonde. Cause che non possono essere banalmente derubricate a fantasiosi intrighi internazionali, attuati da un ormai anacronistico "impero del male".E sarà proprio nei rapporti con la Russia che l'esito di questa inchiesta potrebbe produrre i maggiori effetti. Fino ad oggi, Russiagate si è rivelato un efficace strumento di ricatto con cui i nemici (soprattutto repubblicani) di Trump hanno cercato di coartarne la politica estera. In particolare, buona parte dell'establishment politico, militare e industriale di Washington vi hanno fatto ricorso per tentare di intralciare il processo di distensione, da sempre auspicato dal magnate verso Mosca. Un processo che, non a caso, si è spesso incagliato. Ecco: con il venir meno di questo spauracchio, non è escludibile che il disgelo tra Casa Bianca e Cremlino possa riprendere. Raggiungendo magari qualche importante risultato prima delle presidenziali del 2020.E i democratici? Certamente per loro è un duro colpo. Negli ultimi due anni, hanno puntato molto su Russiagate, sperando di poterlo utilizzare per mettere in piedi un'opposizione efficace al presidente. Adesso che il castello è crollato l'Asinello rischia di dover fronteggiare un duplice problema: un probabile aumento dei consensi a favore di Trump e soprattutto il venir meno di un fattore coesivo fondamentale per un partito – quello democratico – al suo interno più dilaniato che mai. È pur vero che i dem potrebbero decidere di concentrarsi sulla questione dell'ostruzione alla giustizia: questione rispetto a cui - lo abbiamo visto - Mueller ha lasciato un certo alone di ambiguità. Non a caso, il presidente della commissione giustizia alla Camera, Jerrold Nadler, sembra intenzionato a percorrere proprio questa strada. Sennonché non è esattamente chiaro quanto una simile strategia possa risultare utile al Partito democratico. E lo stesso fatto che i dem sembrino voler impostare la loro opposizione su altri presunti scandali (dalla torre moscovita alle pornostar) lascia chiaramente intendere che - con ogni probabilità - Donald Trump permarrà allo studio ovale fino al 2024.
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