2023-11-04
Hezbollah si dice estraneo al pogrom e manda un pizzino iraniano agli Usa
Nasrallah, leader dell’organizzazione libanese, nega ogni coinvolgimento nell’attacco del 7 ottobre: «Iniziativa palestinese». Lui e Teheran avvisano Washington: «Fermi l’aggressione a Gaza o il conflitto si allargherà».È stato un discorso da decifrare tra le righe, quello pronunciato ieri dal segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Al di là della retorica virulenta, la paventata dichiarazione di guerra a Israele alla fine non c’è stata. Questo non significa tuttavia che le sue parole vadano sottovalutate né che siano mancate delle minacce. Un primo aspetto significativo è che il diretto interessato ha fatto di tutto per far credere che né l’Iran né Hezbollah risulterebbero dietro il brutale attacco perpetrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre. «L’operazione del 7 ottobre è stata pianificata in totale segretezza, anche le altre fazioni palestinesi non ne erano a conoscenza, per non parlare dei movimenti di resistenza all’estero», ha detto, per poi aggiungere: «La comunità internazionale continua a menzionare l’Iran e i suoi piani militari, ma l’attacco del 7 ottobre è stata un’operazione palestinese al 100%». Questo non vuol dire che Nasrallah non abbia detto di sostenere l’attacco. Ma ha tenuto a precisare che, alla sua base, non sarebbero coinvolti né Hezbollah né l’Iran. Durante il suo discorso, Nasrallah ha anche detto che «una vittoria per Gaza» sarebbe, in caso, una vittoria dei palestinesi e quindi né di Teheran né dei Fratelli musulmani. Parole che complessivamente sanno un po’ di excusatio non petita e che cozzano con quanto recentemente riportato sia dal Wall Street Journal sia dal New York Times (secondo cui il regime khomeinista è stato coinvolto nell’attacco). Eppure, a ben vedere, nel suo discorso il leader di Hezbollah ha portato avanti varie posizioni auspicate proprio dall’Iran. Innanzitutto ha esortato i Paesi arabi a rompere le loro relazioni con Israele: una richiesta, questa, che punta a far deragliare gli Accordi di Abramo. Quegli stessi Accordi di Abramo che sono sempre stati avversati dal regime khomeinista. In secondo luogo, Nasrallah ha invocato un cessate il fuoco, per evitare un allargamento del conflitto. «Chiunque voglia prevenire una guerra regionale, e sto parlando con gli americani, deve fermare rapidamente l’aggressione a Gaza», ha detto. Parole, queste, che vanno lette in collegamento a quelle pronunciate mercoledì dal ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian. «Se nella Striscia di Gaza non avviene un cessate il fuoco immediato e i rapidi attacchi da parte degli Usa e del regime sionista continuano, le conseguenze saranno dure», aveva affermato. Ulteriore aspetto filoiraniano del discorso di Nasrallah, che sarebbe di recente stato a Damasco per incontrare Bashar al Assad, risiede nella sua critica agli Stati Uniti. «Washington è interamente responsabile della guerra in corso a Gaza», ha tuonato il capo di Hezbollah, che non ha esitato a riprendere la vecchia retorica khomeinista, definendo gli Usa «il grande Satana». Infine, nonostante la dichiarazione di guerra a Israele ieri non ci sia stata, Nasrallah ha usato toni minacciosi, sottolineando che «tutti gli scenari sono aperti». Il leader di Hezbollah ha anche rivendicato di essere «entrato in battaglia» l’8 ottobre e di aver in questo modo tenuto occupata una parte delle truppe israeliane al confine libanese. Nasrallah ha inoltre intimato allo Stato ebraico di non attaccare il Libano, definendo tale eventualità «l’errore più sciocco» che Israele potrebbe fare. Qual è quindi l’obiettivo del discorso di ieri? Innanzitutto, nonostante volesse dare a intendere il contrario, è chiaro come Nasrallah stesse parlando ufficiosamente per conto di Teheran. In secondo luogo, il leader di Hezbollah ha puntato a cercare di mettere sotto pressione l’amministrazione Biden che, attualmente, si trova in un dilemma. Da una parte, ha ribadito il suo sostegno a Israele, ma dall’altra sta premendo per far sì che a Gaza si tengano delle «pause umanitarie». Proprio ieri, la Cnn ha d’altronde riportato che, in seno all’amministrazione americana, si registrerebbero preoccupazioni per le pressioni dell’opinione pubblica internazionale sulla situazione nella Striscia. «Alcuni degli stretti consiglieri del presidente ritengono che ci vorranno solo settimane, non mesi, prima che diventi insostenibile respingere la pressione sul governo degli Usa affinché chieda pubblicamente un cessate il fuoco», ha riferito la testata. Non solo. L’Iran ed Hezbollah sanno bene che Joe Biden teme un allargamento del conflitto e che, soprattutto in campagna elettorale, la questione degli ostaggi americani in mano ad Hamas potrebbe rappresentare per lui una spina nel fianco. Senza trascurare i recenti attacchi dei proxy iraniani contro le truppe Usa di stanza in Medio Oriente. In altre parole, attraverso Nasrallah, l’Iran ha recapitato un messaggio a Biden: un presidente che storicamente si è sempre mostrato piuttosto arrendevole verso la Repubblica islamica (si pensi al tentato rilancio del Jcpoa o all’accordo, poi sconfessato, per sbloccare sei miliardi di asset iraniani). Guarda caso, la Casa Bianca ha replicato ieri al discorso di Nasrallah, limitandosi a intimare a Hezbollah di non «approfittare» del conflitto in corso a Gaza. Sia chiaro: è giusto che Biden cerchi di spingere Benjamin Netanyahu a evitare una risposta sproporzionata e un allargamento del conflitto. Il punto è che il presidente americano dovrebbe perseguire tale obiettivo da una posizione di forza, non sotto la pressione dell’Iran e di Hezbollah. Forse Biden non ha fatto esattamente bene a revocare troppo presto la politica trumpiana della «massima pressione» su Teheran. E adesso deve fare attenzione, evitando non solo che il Medio Oriente esploda ma anche che l’Iran continui a guadagnare terreno.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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