2023-10-16
Non si può trattare con chi rifiuta l’idea stessa di pace
Nello statuto di Hamas si legge che nessun accordo può essere accettato e che lo Stato ebraico deve scomparire.Si può fare la pace con qualcuno che vuole fare la guerra? La risposta è ovvia. Ma è anche la spiegazione del perché in Palestina finora non si è raggiunta alcuna tregua e probabilmente mai si riuscirà ad arrivarvi. Forse, fino a metà degli anni Novanta un armistizio era possibile, perché dopo oltre mezzo secolo di conflitti fra arabi e israeliani, l’idea che si dovesse giungere a un compromesso aveva cominciato a prendere piede. Era il 13 settembre del 1993 quando Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si strinsero la mano nel cortile della Casa Bianca. Ma due anni dopo un estremista ebreo uccise Rabin e il vertice successivo, a Camp David, tra lo stesso capo dell’Olp e Ehud Barak, si risolse in un fallimento, con il rifiuto da parte palestinese dell’offerta di uno Stato indipendente in Cisgiordania e a Gaza, con capitale Gerusalemme est. Da lì in poi le cose sono andate di male in peggio, perché nel 2004 morì Arafat e nel 2006 ci fu la vittoria di Hamas nella Striscia. Il Movimento islamico di resistenza fece la sua comparsa alla fine degli anni Ottanta, ma cominciò a farsi sentire davvero solo verso la fine dei Novanta, con i primi attentati suicidi. Ma è negli anni Duemila che Hamas conquista la scena e, soprattutto, la leadership della resistenza palestinese. Nel 2002, un kamikaze si fa esplodere in mezzo alla folla di un club a Rishon LeZion, uccidendo 16 persone e ferendone 55. Meno di un anno dopo, un altro militante di Hamas si fa esplodere su un autobus ad Haifa, provocando la morte di 17 persone e il ferimento di altre 53. L’Olp di Arafat di fatto non è più la sola organizzazione che rappresenta la lotta di liberazione palestinese. Dall’inizio degli anni Duemila, Israele deve fare i conti con il Movimento di resistenza islamico. Hamas, appunto. E se la vecchia dirigenza dell’Olp con il passare degli anni aveva rinunciato all’organizzazione di attentati, preferendo perseguire una linea di dialogo e cercando di instaurare una trattativa, al contrario Hamas, forte di un’identità religiosa che la legava alla Fratellanza islamica, ha abbracciato fin dal principio il terrorismo come arma per raggiungere i propri obiettivi, ovvero la creazione di uno Stato islamico in Palestina e la distruzione di Israele.Il tema è questo e per capirlo è sufficiente leggere lo statuto del Movimento di resistenza islamico, nella versione messa a punto da Ahmed Yassin, lo sceicco che ha fondato Hamas nel 1987 e che Israele eliminerà anni dopo. Ai punti 11 e 13 di quella che è la bussola dell’organizzazione terroristica che oggi governa la Striscia di Gaza, si può leggere che nessuna iniziativa di pace può essere accettata, perché ogni trattativa si basa sull’idea di rinunciare a una parte della Palestina, mentre neanche «un singolo pezzo» di terra può essere ceduto, in quanto questo è affidato «alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio». «Cedere qualunque parte della Palestina equivale a cedere una parte della religione» scrisse oltre trent’anni fa lo sceicco Yassin. Dunque non è più una questione di chilometri quadrati, ma di fede. «Non c’è soluzione per il popolo palestinese se non il jihad. Quanto alle iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini». In altre parole, con Hamas non si tratta, si combatte.È vero, morto lo sceicco, la nuova dirigenza del Movimento di resistenza islamico ha riveduto alcune sue posizioni: ma non questa. L’obiettivo principale del nuovo statuto resta la riconquista di tutta la Palestina. Ma non quella i cui confini sono stati decisi dall’Onu nel 1947, con la risoluzione numero 181. No, una Palestina senza Israele, perché alla fine la ragione stessa dell’esistenza di Hamas è la distruzione dello Stato di Israele e la riconquista di tutti i territori. Nel nuovo testo approvato nel 2017, la carta «costituzionale» del Movimento di resistenza dichiara guerra al sionismo e non agli ebrei, ma si tratta di un sottile modo per camuffare il vero obiettivo, dato che Hamas rifiuta «qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare». I terroristi che regnano su Gaza e potrebbero presto regnare anche sulla Cisgiordania appena si svolgessero le elezioni, dunque non riconoscono a Israele alcun diritto a esistere e invocano la guerra santa contro gli infedeli, pronti a tutto, anche a perpetrare qualsiasi strage, pur di cancellare la formula dei due popoli in due Stati che tanto piace a coloro che sostengono l’aspirazione dei palestinesi a veder riconosciuto il loro diritto ad avere uno Stato sovrano e indipendente. Nulla è accettato al di fuori di una piena vittoria dello Stato islamico palestinese. Quindi, ritornando alla domanda iniziale, come si fa a fare la pace con chi vuole fare la guerra? Solo così si capisce perché l’esercito di Israele si prepara a una battaglia senza quartiere dentro Gaza. Per gli uni e gli altri è una guerra di sopravvivenza. Se vince Hamas, Israele sparirà dalle carte geografiche. Se vince Israele c’è da augurarsi che sparisca l’ennesimo tentativo di instaurare in Medioriente uno Stato islamico, con la sharia e la guerra agli infedeli.
(Totaleu)
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