
Non denunciò le molestie avvenute 50 anni fa a danno di numerosi scout: sei mesi con la condizionale. Il caso dimostra che la Chiesa potrà essere devastata penalmente se non saprà gestire la delicata questione.Il terremoto abusi nella Chiesa non si placa e l'ultima scossa è stata avvertita ieri in Francia, dove il tribunale di Lione ha condannato a 6 mesi di prigione con la condizionale il cardinale Philippe Barbarin, per non aver denunciato gli abusi sessuali del sacerdote Bernard Preynat, compiuti a danno di numerosi scout minorenni negli anni Settanta e Ottanta. «Ho deciso di andare dal Santo padre per rassegnare nelle sue mani le mie dimissioni. Mi riceverà nei prossimi giorni», ha dichiarato ieri pomeriggio il cardinale francese. La notizia arriva mentre in Australia il cardinale George Pell, ex capo della segreteria per l'economia del Vaticano, è in carcere e dovrà restarci almeno fino a giugno, data fissata per l'appello a una sentenza che lo vede colpevole, ma che solleva più di una perplessità.Il caso Barbarin, il più alto prelato francese a ricevere una condanna di questo tipo, riguarda fatti che risalgono a molti anni prima che lui venisse nominato arcivescovo di Lione nel 2002; il cardinale si è sempre dichiarato innocente. Le prime accuse nei suoi confronti risalgono al 2014, quando Alexandre Hezez, oggi 40 anni, vittima di Preynat, raccontò a Barbarin l'abuso subito. Quindi Hezez ricorrerà poi alla giustizia civile e Preynat verrà sottoposto a controllo giudiziario nel 2016, anche se a tutt'oggi non ha ancora ricevuto un processo. Intanto un gruppo di vittime denuncia Barbarin per aver «coperto» il sacerdote, pur essendo venuto a conoscenza dei fatti. Nell'agosto 2016 la procura di Lione scagiona il prelato, dicendo che non aveva in alcun modo «ostacolato le operazioni di giustizia». Non soddisfatte, dieci vittime decidono di procedere e chiamano di nuovo in causa il cardinale, questa volta però tramite una procedura della giustizia francese che permette di saltare l'indagine preliminare e andare direttamente a processo.A gennaio è iniziato questo processo, in cui era citato, tra gli altri, anche il cardinale Louis Ladaria Ferrer, attuale prefetto della Dottrina della fede, ma che non è comparso opponendo l'immunità diplomatica. Durante il dibattimento, Barbarin ha dichiarato di aver invitato Hezez a rivolgersi alle autorità civili, inoltre, posto di fronte alla questione di non aver preso decisioni per la denuncia di Preynat, il porporato ha sottolineato di aver chiesto consiglio a Roma su come comportarsi. Quindi dal Vaticano gli sarebbe arrivato il suggerimento di comminare le opportune sanzioni disciplinari, ma di non sollevare «scandalo pubblico». Per questo Barbarin ha concluso la sua testimonianza in aula dicendo: «Ho l'impressione di aver fatto esattamente ciò che mi hanno indicato», da Roma. Dopo le testimonianze dei denuncianti, la procuratrice non aveva chiesto alcuna pena, in coerenza con la decisione del 2016, poi ieri mattina è arrivata la condanna a 6 mesi con la condizionale.Secondo la sentenza di ieri, il cardinale era a conoscenza degli abusi e «aveva l'obbligo di denunciare questi fatti». Le sue «funzioni», si legge ancora nel testo, «gli davano accesso a ogni informazione e aveva la capacità di analizzarle e comunicarle utilmente, Philippe Barbarin ha scelto in coscienza, per preservare l'istituzione alla quale appartiene, di non trasmetterle alla giustizia. Visto l'insieme di questi, è opportuno dichiarare Philippe Barbarin colpevole di mancata denuncia di maltrattamenti, privazioni o molestie sessuali inflitte a un minore di 15 anni». I legali di Barbarin hanno annunciato l'intenzione di presentare ricorso.Il caso di Barbarin, quello di Pell e, in un certo senso, anche quello dell'ex cardinale Theodore McCarrick, manifestano il fallimento del summit vaticano sugli abusi su minori del febbraio scorso. Un incontro, quello sugli abusi, che ha certamente avuto dei meriti, ma la Chiesa è ormai costretta a rincorrere sempre la giustizia civile, senza essere capace di reagire davvero, se non annunciando nuove linee guida e un nuovo Motu proprio del Papa. Bisogna però distinguere e capire che non è nemmeno la «tolleranza zero», concetto ambiguo e dal sapore vagamente giustizialista, che potrà davvero far recuperare credibilità alla Chiesa. Il caso Pell, con tutte le perplessità per una sentenza oggettivamente ambigua, dimostra che se non si è in grado di agire tempestivamente, svolgendo regolari indagini e processi canonici trasparenti, si finisce in balia di qualunque decisione. Se la Chiesa non è in grado di governarsi, su questo tema finirà per essere cannibalizzata penalmente ed economicamente.Nel caso Barbarin, il Papa in un'intervista concessa al quotidiano La Croix il 16 maggio 2016 aveva chiaramente difeso il cardinale. «Dagli elementi di cui dispongo», diceva Francesco, «credo che a Lione il cardinale Barbarin ha preso le misure necessarie, ha preso bene le cose in mano. (…) Dobbiamo ora attendere il seguito del processo davanti la giustizia civile». Però la Chiesa non dovrebbe attendere, ma prevenire, senza farsi dettare l'agenda dall'esterno. Altrimenti non resta che attendere il prossimo caso di un cardinale condannato alla galera.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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