2021-06-23
Legali pagati al clandestino, non all’agente
Ha sparato per fermare un ghanese violento che minacciava i passanti col coltello: poliziotto indagato e dovrà difendersi a sue spese. La «risorsa» invece avrà il gratuito patrocinio: è un Paese alla rovesciaAhmed Brahim, di nazionalità ghanese, 44 anni, pregiudicato, già denunciato ripetutamente per violenza e minacce, immigrato irregolare. Sabato ha estratto dalla felpa un coltellaccio con una lama di 25 centimetri e si è messo a sventolarlo sotto il naso dei passanti alla Stazione Termini di Roma. Se l'è presa con i cittadini che si trovavano in strada, poi con i poliziotti che hanno cercato di fermarlo. Ebbene, a questo gentiluomo lo Stato italiano pagherà l'avvocato affinché possa difendersi nel procedimento penale che lo attende. C'è anche un'altra persona, però, che dovrà dotarsi di un avvocato difensore. È l'agente di polizia che, assieme ad altri colleghi, è riuscito a fermare Brahim, impedendo che facesse del male a qualche innocente. Il poliziotto, come noto, ha dovuto aprire il fuoco, ferendo il ghanese a una gamba, e per questo motivo la Procura lo ha indagato per «eccesso colposo nell'uso delle armi». È un atto dovuto, si dice sempre in questi casi, e tutto si risolverà per il meglio. Ma quello che non si dice è che l'agente dovrà pagare l'avvocato di tasca sua, perché per lui lo Stato non prevede gratuito patrocinio. Questo è il quadretto: da un lato c'è un immigrato violento, carico di precedenti, riottoso e pericoloso. Un uomo armato di coltello, che non avrebbe avuto problemi - come del resto già avvenuto in casi analoghi - a lanciarsi su qualche poveretto di passaggio. Dall'altro c'è un agente di polizia che fa il suo mestiere, che rischia di pigliarsi una coltellata e che alla fine riesce a bloccare il criminale. Al primo, al delinquente, paghiamo la difesa; al secondo, al poliziotto, no. Non soltanto lo indaghiamo (e potrebbe persino essere un atto legittimo, anche a tutela del poliziotto medesimo), ma per ringraziarlo del suo coraggio gli imponiamo di farsi carico delle spese legali. «Chiunque di noi si trovi coinvolto in un fatto del genere», spiega Domenico Pianese, segretario generale del Coisp, «deve pagarsi da solo l'assistenza legale. Questo collega, insomma, si troverà a spendere migliaia di euro, che dovrà prendere dal suo stipendio di 1.500 euro al mese. È una situazione che lo danneggia in modo abnorme, e danneggia tutti quelli che si trovano in una situazione analoga». Certo, il sindacato di polizia, sin dal primo istante, ha messo i suoi legali a disposizione dell'agente e degli altri poliziotti coinvolti (otto in totale), ovviamente a titolo gratuito. Però è del tutto evidente che qui qualcosa non torna. Questa brutta storia fa esplodere problemi di vario genere, che purtroppo sono quasi tutti legati a storture ideologiche tutte italiane. Ogni volta che si discute di legittima difesa, sentiamo ripetere da ogni parte lo stesso concetto, e cioè: i cittadini non devono fare da soli, è lo Stato che deve proteggerli tramite le forze dell'ordine. Ecco, nel caso di Termini abbiamo dei poliziotti che hanno fatto esattamente ciò che si dovrebbe fare: hanno rischiato la pelle per tutelare la popolazione. Solo che poi sono chiamati a pagarne le conseguenze. Capite bene che si tratta di un'assurdità: se il cittadino interviene per difendersi da solo, finisce nei guai fino al collo. Se invece interviene il poliziotto, beh, finisce nei guai pure lui. Come è possibile? Pianese del Coisp avanza una proposta più che ragionevole: «Il nostro sistema», dice, «ha gravi lacune e comporta varie penalizzazioni per chi fa il suo dovere. A farsi carico delle spese legali per gli agenti dovrebbe essere il ministero. E non soltanto a cose fatte, cioè tramite rimborso spese, ma fin da subito». Niente di più condivisibile: se proprio bisogna aprire un fascicolo su chi spara onde scongiurare abusi, è giusto che i poliziotti siano tutelati, e non debbano togliersi migliaia di euro dalle tasche per pagare un avvocato. Non è tutto. La vicenda di Termini ci fa capire che è ora di dotare le forze dell'ordine di strumenti come il taser, di cui da troppo tempo si attende l'arrivo. Anche in questo caso non parliamo di un giocattolo innocuo, è chiaro. Ma con un taser a disposizione gli agenti sarebbero forse riusciti a evitare di estrarre la pistola. Tra l'altro, va notato con non sempre aprire il fuoco garantisce di fermare i delinquenti armati. Se costoro hanno abusato di sostanze o sono pieni di adrenalina, è possibile che neppure un proiettile basti a neutralizzarli (a meno che il colpo non sia mortale). Lo stesso Brahim, come si evince chiaramente dal video girato a Termini, dopo essere stato colpito ha continuato per un po' a sventolare il coltello, non ha ceduto subito. Oltre alle questioni legali e tecniche, poi, ce n'è un'altra che potremmo definire culturale. Sembra che, in ogni circostanza, chi indossa una divisa debba prima di tutto difendersi da una parte di opinione pubblica (e di informazione) pregiudizialmente avversa. C'è l'articolo in cui si spiega che l'agente ha sbagliato a usare la pistola; quell'altro in cui si suggerisce che egli avrebbe addirittura messo a rischio i suoi compagni; c'è il genio del Web pronto a scrivere che l'immigrato non era pericoloso... È come se l'anima anti autoritaria della sinistra uscisse allo scoperto solo in questi casi. I progressisti sono sempre pronti a invocare la repressione poliziesca (contro le opinioni sgradite, contro i razzisti, i no vax, i fascisti etc etc), ma quando la polizia agisce - giustamente - per garantire la sicurezza, allora scatta l'indignazione, specie se ci sono di mezzo criminali stranieri. A farne le spese, puntualmente, sono gli agenti che per pochi spiccioli si giocano la vita in strada. E i comuni cittadini: quelli che al ghanese col coltello pagheranno l'avvocato.
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Margherita Agnelli (Ansa)