2024-10-17
«Riparo quasi 50 giocattoli al giorno, mi sento il nonno di tanti bambini»
Guido Pacelli nel suo laboratorio romano
L’artigiano Guido Pacelli: «La nostra associazione non lavora per i privati. I balocchi che aggiusto vanno ai figli di famiglie in difficoltà. Prima gli italiani erano pochissimi, ma con la crisi è cambiato tutto».A Roma, zona Marconi, si nasconde un piccolo paradiso per bambini. Più nello specifico, per quei bambini che si trovano in condizioni di difficoltà socioeconomiche. È l’officina di Guido Pacelli, 72 anni, ormai noto nella Capitale come Guido «L’aggiustagiocattoli». Dal 2011, Pacelli presta servizio all’interno dell’associazione Salvamamme (da oltre 15 anni impegnata ad aiutare le donne vittime di violenza o con situazioni problematiche) riparando balocchi difettosi da destinare a chi non può permettersi di acquistarli. «Il giorno dopo essere andato in pensione stavo già in associazione», racconta l’ex capo reparto tecnico alla qualità di Alitalia. «Mia figlia è la direttrice, quindi mi ha incastrato subito (sorride). Inizialmente dovevo occuparmi dei computer e dei telefoni, però con il passare del tempo notavo che giocattoli all’apparenza buonissimi venivano spesso buttati via. Così un giorno dissi a una collaboratrice: “Cos’ha questo giocattolo? Perché lo stai buttando?”. “Non funziona”. “Dammelo qua, ci penso io”».Ogni anno, le mani miracolose di Guido Pacelli riportano in vita circa 40.000 giocattoli che Salvamamme dona a oltre 10.000 famiglie, in occasione di compleanni e festività; alcuni di essi vengono inviati anche all’estero, per esempio in Africa.L’ho disturbata?«No, si figuri. Oggi sono a casa, ho gli operai che devono rifarmi i bagni. Con tutta la buona volontà, non è un lavoro che posso fare io».Perché di solito fa tutto da sé?«Se posso sì. Difficilmente chiamo qualcuno per riparazioni. Poi ho tre nipotini che “rompono” come tutti gli altri bimbi, quindi anche a casa qualche giocattolo da aggiustare c’è sempre. L’altro giorno mi hanno portato una specie di computer giocattolo per imparare a leggere e scrivere che volevano regalare a un cuginetto».È un lavoro a tempo pieno il suo.«Sì sì, tutte le mattine vado in associazione, dove ho il mio laboratorio, e fino a sera non rientro».Quanti pezzi fa rivivere ogni giorno?«Dipende dal difetto, ma facendo una media saranno 40-50 al giorno».Gli ultimi sui quali ha messo le mani?«Bambole, trenini, macchine radiocomandate…».Quali sono i suoi attrezzi del mestiere?«Principalmente cacciaviti, pinze, saldatori, lenti di ingrandimento… un microscopio elettronico per effettuare saldature di precisione».Dei giocattoli che prende in carico, quanti ne riesce a recuperare?«Direi un 80 per cento abbondante».Che problemi presentano, generalmente?«Nella maggior parte dei casi, si tratta di contatti ossidati a causa delle batterie lasciate a lungo all’interno del giocattolo. Quasi tutti i giochi che fanno utilizzo dell’elettronica montano pile stilo o mini stilo che, dopo un po’ di tempo, cominciano a perdere e rovinano i contatti. In alcuni casi è sufficiente levare le batterie, dare una spazzolata e del liquido per togliere la ruggine; altre volte è tutto marcio. Allora magari arriva un altro giocattolo che è spaccato ma ha i contatti buoni, e io li recupero: smonto e sostituisco. Altri difetti possono essere i fili rotti all’interno, solitamente a causa di una forte caduta, oppure un altoparlantino guasto».Immagino che la pazienza debba essere un requisito fondamentale.«Senza dubbio. Per smontare alcuni giocattoli c’è da diventare matti, specie quelli tutti a incastro. Il famoso Cicciobello, per esempio, è pressoché impossibile da riparare. Sa, quello che parla e che se gli levi il ciuccio piange… Il suo difetto sta quasi sempre nel ciuccio, il cui contatto è dentro la testa. Bisognerebbe aprirgliela, ma non ne vale la pena».Ma lei tutta questa pazienza ce l’ha?«Eh, ce la devo avé pe’ forza (ride). Per fortuna è un lavoro che mi piace, soprattutto per la finalità che c’è dietro. L’idea che il giocattolo che sto riparando diventerà il regalo di compleanno o di Natale per un bambino che, altrimenti, non riceverebbe nulla mi dà gioia».È come se fosse il nonno di migliaia di bambini.«Un po’ mi ci sento, sì. È così bello vedere i loro sorrisi…».Senta, ma le sue «bestie nere» quali sono?«Di solito, più i giochi sono piccoli e più mi fanno dannare. Se poi hanno dei chip integrati, diventano particolarmente ostici».Certo, per la vista non dev’essere l’ideale.«Beh, ho fatto un trapianto della cornea, veda lei…».Davvero?«Sì, ho ancora i punti. Però dall’altro occhio vedo bene, quindi posso lavorare senza problemi».Su cosa preferisce lavorare?«Elicotteri, aeroplanini, droni… rimaniamo nel campo dell’aeronautica (sorride)».A proposito… i suoi ex colleghi di Alitalia cosa dicono?«Mi fanno i complimenti. Qualcuno mi chiama per darmi dei giochi».Ricorda il giocattolo prediletto della sua infanzia?«Oddio, parliamo di preistoria (ride). Quando ero piccolo non c’erano mica tutti i giocattoli che esistono oggi, e nemmeno le possibilità economiche per comprarne in continuazione. Le spade erano il mio sogno, ma non si poteva e così con gli amichetti le sostituivamo coi manici di scopa».Qual è la riparazione di cui va più fiero?«Un giocattolo che ho aggiustato per un bambino in particolare. Noi siamo anche un centro antiviolenza e abbiamo ideato la “valigia di salvataggio”, non so se ha presente…».Spieghi.«Quando una donna che ha subito violenza scappa di casa, se ci torna si ritrova in una condizione di grande pericolo. È lì il rischio maggiore. Così, in accordo con le forze dell’ordine, prepariamo questa valigia contenente beni di prima necessità per lei e per i figli, qualora ne abbia, in modo che possa essere presa in carico dai centri antiviolenza senza che debba passare da casa».Chiaro.«Un giorno è venuta a prendere la valigia una donna con un figlio di circa 6 anni. Il bimbo ha visto un escavatore giocattolo, di quelli grandi su cui puoi montare sopra, con le batterie per farli camminare. È impazzito, lo voleva a tutti i costi, però era rotto. Gli ho detto: “Se ritorni domani, te lo faccio trovare pronto”. Aveva la batteria da 6 volt andata, i contatti ossidati e delle saldature da rifare. Insomma, mi ci sono dovuto mettere di buona lena, ma il giorno dopo era funzionante. Il piccolo era felicissimo. Mi è venuto da pensare che magari il papà lavorava nell’edilizia, in qualche cantiere con l’escavatore».Da dove arrivano tutti questi giocattoli difettosi?«Tante famiglie di Roma hanno in casa giochi che i loro figli non usano più perché sono diventati grandi, oppure si sono rotti e invece di buttarli in discarica li portano a noi. Altri ci vengono donati dai negozi: magari sono nuovi, con tanto di scatola, ma hanno qualche difetto di produzione che li rende inadatti alla vendita. Quelli, in particolare, li destiniamo ai bambini ospedalizzati; a loro non possiamo dare giocattoli usati».Con quali strutture collaborate?«Parecchie: dall’Umberto I al San Camillo. Agli ospedali, oltre ai giochi, doniamo anche abiti, vestitini per neonati, culle, lettini».Delle oltre 10.000 famiglie alle quali vi rivolgete, quante sono italiane e quante straniere?«Inizialmente erano quasi tutte straniere, gli italiani erano pochissimi. Nel corso del tempo, con la crisi, sono diventati sempre più numerosi. Se fino a pochi anni fa gli italiani rappresentavano un 30 per cento, adesso saremo arrivati al 50. A segnalarceli sono assistenti sociali e parrocchie, e quando le mamme passano a prendere cibo o vestiario, se hanno figli diamo sempre anche un giocattolino».Mi racconta una storia che l’ha toccata in modo particolare?«Quella di un papà che un giorno venne da me con tre carillon che non funzionavano più. È una storia un po’ triste. Si presentò chiedendomi se potevo ripararli, anche a pagamento. Quando gli spiegai che non faccio riparazioni per privati, mi spiegò che quei carillon appartenevano alla sua bambina che aveva perso da poco. Mi si strinse il cuore. Gli dissi di lasciarmeli, ché glieli avrei aggiustati tranquillamente. Poi fece un’offerta all’associazione, fu molto gentile».Capita spesso che dei privati le chiedano riparazioni?«Sì, soprattutto conoscenti, ma non è il genere di attività che svolgiamo come associazione: noi lavoriamo soltanto su donazioni. C’è gente qui a Ostia, dove abito, che ormai viene direttamente a casa per consegnarmi la roba da portare in associazione; per loro è più comodo».Incontra sempre le famiglie che ricevono i giocattoli?«Non sono io direttamente a darli. Abbiamo una puericultrice che, una volta riparati, li controlla e stabilisce l’età adatta per ogni pezzo (se proviene da un negozio è già indicata sulla confezione). È lei che li consegna alle famiglie. Però spesso mi capita di essere presente».So che c’è anche una fase di igienizzazione.«Certo. Appena arrivano, i giochi sono sottoposti a controllo e provati dai volontari: quelli che stanno bene vengono puliti e igienizzati con l’alcol per essere poi incartati, quelli guasti vengono portati a me. Una volta aggiustati, tornano dai volontari per la pulizia».Esiste un filo rosso che collega il suo vecchio lavoro di tecnico aeronautico e la riparazione di giocattoli per bambini?«Il senso di responsabilità. Dare l’approvazione al volo per un aeroplano richiede una responsabilità non indifferente, non si può rilasciare una certificazione di qualità con leggerezza. La stessa cosa vale per i giocattoli, perché finiscono nelle mani dei bambini, e i bambini devono essere sempre al sicuro».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.