2024-11-17
De Raho va all’assalto del suo ex vice Russo. E si scatena la guerra totale tra le toghe
Cafiero De Raho (Imagoeconomica)
Il vecchio procuratore Antimafia: «La sua relazione su Striano è spuntata come un fungo dopo un anno di indagini». Chi mente?In base all’aristotelico principio di non contraddizione qui qualcuno mente.O a dire menzogne è il senatore grillino Federico Cafiero De Raho, per quarant’anni magistrato di vaglia, o a farlo è il suo vecchio vice alla Direzionale nazionale Antimafia (Dna), quel Giovanni Russo che oggi è assurto al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Le due toghe hanno iniziato a spararsi contro bordate: il primo utilizzando come bocche da fuoco giornali e tv, il secondo le dichiarazioni davanti ai magistrati.A innescare lo scontro è stata una relazione dello stesso Russo, scovata fortuitamente a ottobre negli uffici della Dna, in cui l’allora procuratore aggiunto della Procura Antimafia gettava pesanti pesanti ombre, già nel 2020, sull’operato del tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano, oggi indagato per i presunti dossieraggi che avrebbe ordito in combutta con l’ex sostituto procuratore dell’Antimafia Antonio Laudati. Lo scorso 6 novembre Russo ha dichiarato davanti al procuratore di Perugia Raffaele Cantone di aver presentato quella relazione all’allora procuratore della Dna De Raho, ma che questi, di fatto, l’avrebbe cestinata.Il senatore non ha preso bene la suddetta versione e ha subito gridato al complotto. Ma prima di provare a capire chi menta tra questi due pesi massimi della magistratura occorre riassumere un po’ la materia del contendere.Sino a un mese fa sembrava che Striano avesse operato con il favore delle tenebre, senza destare alcun sospetto nei suoi superiori, e che i primi a dubitare di lui fossero stati gli inquirenti perugini dopo aver ricevuto la denuncia del ministro della Difesa Guido Crosetto, i cui conti bancari erano stati spiati. Anche perché, quando è stato sentito per la prima volta dai magistrati come testimone, il 14 settembre 2023, Russo non aveva fatto parola della relazione, datata 4 marzo 2020 e indirizzata proprio a De Raho. Il documento, rinvenuto a ottobre in uno scatolone, non era autografato, ma in fondo c’era lo spazio firma intestato a Giovanni Russo. Quell’atto ricostruiva un’indagine interna contro Striano avviata nell’autunno del 2019 e conseguente all’autoassegnazione da parte del tenente di alcune note con richieste di approfondimenti investigativi inviate dall’Agenzia delle dogane.Un incartamento che Striano avrebbe «avocato a sé», senza, però, avere l’autorizzazione dello stesso Russo, all’epoca titolare di quel tipo di approfondimenti, essendo coordinatore del Gruppo Sos della Dna. Come abbiamo raccontato ieri quelle sei pagine erano un dettagliatissimo atto d’accusa contro l’ufficiale e la fotografia di un modus operandi borderline oggi dato per assodato.In esse Russo chiedeva «l’immediato allontanamento» dell’ufficiale, il cui «attivismo» era ritenuto «ascrivibile a un soggettivo improprio modo di intendere il ruolo ricoperto» e paventava che, se non fosse stato posto un «rimedio a tale situazione», le informazioni «strategiche» e/o «riservate» della Dna avrebbero rischiato «di essere veicolate attraverso canali impropri a un numero di soggetti non noto», come è puntualmente accaduto. Ovviamente di fronte a un documento tanto clamoroso la prima domanda che sorge è perché Russo non abbia ritenuto di riferirne l’esistenza ai colleghi perugini prima che questi ne venissero a conoscenza dall’attuale procuratore Antimafia Giovanni Melillo. Potrebbe averne dimenticato l’esistenza o, in alternativa, potrebbe aver scelto di non parlarne spontaneamente agli inquirenti per non essere accomunato a De Raho nella sottovalutazione del pericolo rappresentato già all’epoca da Striano.A verbale il capo del Dap ha spiegato di non ricordare «specificamente la vicenda», ma ha anche aggiunto che lui aveva già racconto di aver ritenuto i comportamenti di Striano «non in linea con il suo ruolo all’interno della Dna e con le regole vigenti, sino ad allora, per la polizia giudiziaria». Poi ha ricostruito come si lavorasse in Dna ai tempi di De Raho, evidenziando le diverse modalità di utilizzo delle banche dati da parte del Gruppo ricerche riconducibile a lui e del Gruppo Sos, riferibile a Striano e Laudati, che «si muoveva con una maggiore autonomia». Un esempio? Se nel Gruppo ricerche c’era una distinzione netta tra l’annotazione degli investigatori e il provvedimento adottato dal magistrato, nel Gruppo Sos «l’attività si concludeva con un atto che era già predisposto per la firma del Procuratore nazionale Antimafia senza che vi fosse una distinzione netta tra l’attività del gruppo di polizia e quella successiva del magistrato». Per questo il Gruppo Sos spesso non doveva archiviare in tempo reale i diversi step della propria ricerca, ma unicamente, a conclusione del percorso, l’atto di impulso (firmato da un magistrato) che questi avevano generato. Una prassi che rendeva certamente meno tracciabili gli accessi ai database.Il tutto sotto il regno di De Raho. Ma perché la relazione «fantasma» rimase senza firma e non protocollata? Russo ha detto, come abbiamo anticipato due giorni fa, di non averla siglata «per una questione di rispetto al Procuratore nazionale Antimafia» e perché si riservava di «fare eventuali modifiche all’esito del colloquio» con De Raho. Incontro che non andò come Russo si sarebbe aspettato. Cafiero, anziché cacciare Striano, si sarebbe impegnato a parlargli personalmente e avrebbe riferito a un «deluso» Russo che non era necessario che firmasse la relazione.Striano, addirittura, a chi gli aveva chiesto spiegazioni avrebbe detto che la pratica incriminata da cui era partita l’istruttoria a suo carico era stata «evasa» e, a riprova di ciò, aveva sventolato una nota «a firma del Procuratore nazionale Antimafia (De Raho, ndr) con la quale era stato inoltrato un atto di impulso alla Procura distrettuale competente». Quasi a voler ribadire che lui, in perfetto stile Blues brothers, era in missione per conto di Dio, nel nostro caso del Procuratore.Nel verbale del 6 novembre c’è un altro passaggio interessante. L’ex aggiunto esclude che Cafiero gli abbia restituito la relazione con gli allegati: «Penso che quella che mi avete mostrato era la copia che avevo lasciato per me e quindi mi meraviglio del fatto di non aver messo un’annotazione o comunque che non sia stata trovata un’annotazione cosa che facevo usualmente», come una sorta «di promemoria per me stesso per lasciare traccia di quanto era avvenuto».E la copia di De Raho? «Analoga pratica avrebbe dovuto presumibilmente anche trovarsi nell’archivio del Procuratore nazionale Antimafia perché credo che lì possa averla messa il dottor Cafiero».Dunque, Russo sospetta che possano essere spariti nel nulla una sua annotazione e l’incartamento consegnato all’attuale senatore grillino. Quest’ultimo, già martedì, dopo le prime indiscrezioni sul deposito della relazione relativa a presunte «condotte anomale» di Striano, era passato al contrattacco: «Non ho mai ricevuto relazioni o segnalazioni di Giovanni Russo riguardanti Pasquale Striano. […] Il dossieraggio lo sto subendo io. Mi trovo al centro di una macchinazione, in cui vengono fuori atti inesistenti o comunque mai portati alla mia attenzione, che tendono sempre e soltanto a ledere la mia persona. È gravissimo quel che sta avvenendo. Ciascuno si permette di inventare storie inesistenti per evitare le proprieresponsabilità». Poi aveva avvertito in modo diretto l’ex collega: «È un obbligo del procuratore aggiunto collaborare con lealtà per il regolare funzionamento dell'Ufficio. Russo non mi ha mai parlato di Striano. Nessuno prosegua con calunnie e diffamazioni». Ma se martedì le notizie sulla relazione era infarcite di condizionali, adesso De Raho ha potuto leggere, grazie alla Verità, le esatte dichiarazioni di Russo. E non solo non ha ingranato la retromarcia, ma ha rilanciato: «Ribadisco che non ho mai ricevuto relazioni scritte né tantomeno segnalazioni orali da parte di Giovanni Russo riguardanti comportamenti scorretti di Pasquale Striano. Nemmeno Russo nelle tre audizioni rese alla commissione parlamentare Antimafia ne ha mai parlato. Aggiungo che Striano non ha mai parlato con me, né è mai venuto nel mio ufficio. In vita mia non ho mai parlato con lui». L’assalto al suo vecchio braccio destro prosegue: «Le note di un procuratore aggiunto riguardanti comportamenti anomali o scorretti vanno firmate, protocollate e inviate, non restano nel cassetto. Questa relazione, invece, spunta come un fungo dopo oltre un anno di indagini e non ha né firma, né numero di protocollo, né data di deposito. Ciò suscita in me legittimi sospetti e perplessità, rispetto ai quali andrò fino in fondo».Resta da capire come possa essere considerata apocrifa una relazione che è il frutto di un lavoro di gruppo e alla cui stesura ha contribuito lo stesso Striano, chiamato all’epoca a difendersi dalle accuse.In ogni caso, Aristotele ci insegna che il capo del Dap e il senatore grillino, affermando due verità contrapposte, non possono avere entrambi ragione. Uno dei due mente per forza. E in un momento in cui la credibilità della magistratura è ai minimi storici questa non è una buona notizia per il potere giudiziario. Un ordine autonomo e indipendente che da mesi denuncia di essere sotto attacco, ma che, forse, i peggiori nemici li ha proprio in casa.
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