2021-12-24
È guerra sull’obbligo di vaccino agli statali
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
In Cdm non passa la proposta di Dario Franceschini, Renato Brunetta e Roberto Speranza: il primo passo per forzare tutti i lavoratori al siero per ora è rimandato. Giancarlo Giorgetti tuona in cabina di regia contro le virostar: «C’è insofferenza nei confronti di chi ha sempre la verità in tasca».Gli statali mettono paura anche a Mario Draghi. Il nonno della Repubblica ha fatto due conti e al termine del Consiglio dei ministri ha varato un decreto Festività (puro ossimoro surreale) che punisce un intero Paese in zona bianca ma non supera l’ultima linea del fronte: l’obbligo di green pass per i dipendenti della pubblica amministrazione. Sono 3.212.450 e rappresentano un baluardo contro il passaporto verde obbligatorio per tutti i lavoratori, che la sinistra Arcipelago Gulag spinge per rendere operativo. Tutto il resto entra in vigore, anche le mascherine all’aperto, le Fp2 sul tram, i tamponi per i vaccinati (follia psicologicamente insostenibile). Ma l’obbligo no.In cabina di regia e poi in Cdm, i ministri Dario Franceschini, Renato Brunetta e Roberto Speranza (quando c’è da inasprire lui è sempre in prima linea) ci avevano provato in tutti i modi a far passare l’imposizione più dura, quella che avrebbe aperto all’obbligo vaccinale indistinto pur creando nuove tensioni sindacali. Il ministro della Salute, turbato anche «nel veder passare le automobili per strada», ha sfiorato la concretizzazione del suo Capodanno perfetto. Ma il blitz è andato a vuoto per la forte opposizione dei ministri della Lega. Giancarlo Giorgetti, che aveva già espresso il parere del partito in separata sede, si è limitato a un silenzio assordante. A loro si è aggiunto Stefano Patuanelli del Movimento 5 stelle che ha chiesto «un supplemento di riflessione» e un confronto con i vertici pentastellati. Così Draghi, davanti a un fronte consistente, ha preferito soprassedere. «La misura sempre stata sullo sfondo ma mai esclusa», lì è rimasta. L’obbligo per la pa è slittato a data da destinarsi. Resta un giro di vite che sta destabilizzando i vaccinati, coloro che con il «senso civico» sbandierato dal governo si sono sottoposti alle due dosi (88% degli italiani) e da due mesi alla terza (25%). Sapere che per numerose attività bisogna aggiungere un tampone crea scetticismo e acredine. Secondo il governatore del Veneto, Luca Zaia, la pratica meritava una maggiore considerazione: «Adesso c’è la corsa al tampone. La verità è che non avremmo dovuto boicottarlo, considerarlo un ripiego. Come Veneto siamo stati i primi a presentare il protocollo del tampone fai da te. Se ci avessimo creduto un po’ di più e se non gli avessimo fatto la guerra (si riferisce al ministero della Salute e ai sacerdoti del Cts - ndr), oggi saremmo pronti a rispondere all’indicazione dell’Ecdc, Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, che ha consigliato i cittadini di sottoporsi a tamponi fai da te se impossibilitati ad arrivare a una farmacia o a un ospedale». Qui le responsabilità di Speranza sono pesantissime. Poi c’è l’informazione, per nulla esente da responsabilità nella gestione mediatica della pandemia, spesso incline al sensazionalismo e all’allarme sociale, quando non a piegare la realtà ad interessi ideologici di parte. In questa stagione di devastazione morale e professionale abbiamo anche scoperto - soprattutto grazie a ministri come Speranza e Francesco Boccia - che il virus è di destra o di sinistra. Il peggio si sta vedendo in televisione dove, per meri vantaggi di audience, si continua a dare voce a personaggi partiti come scienziati due anni fa ed oggi ridotti a macchiette dall’usura e dalle trappole delle telecamere. Il terrificante Jingle Bells di Matteo Bassetti, Andrea Crisanti e Fabrizio Pregliasco è l’esempio trash dell’anno (ed è anche l’unico concetto espresso all’unisono dai tre), ma le uscite sopra le righe sono ormai quotidiane. Prendiamo l’ultima, della solitamente sobria Ilaria Capua: «Senza il vaccino avremmo i morti per strada come in Ecuador, Brasile e Perù». Qualcuno è andato a verificare. Morti al giorno di Covid ogni dieci milioni di abitanti: Ecuador 3,3, Brasile 5,2, Perù 16,4, Italia 20,9. Nel mondo dominato dal fanatismo social, dosare le parole è importante come dosare le medicine.Contro questa deriva nella comunicazione ha deciso di uscire allo scoperto Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico, uno dei collaboratori più stretti del premier. Nella cabina di regia di ieri mattina, il numero due della Lega ha sollevato il problema: «Nel rispetto della libertà di espressione e delle regole sull’informazione, bisogna riflettere sul fatto che forse l’invasione nei talk show di virologi ed “esperti” a vario titolo rischia di creare incertezze e confusione». Di qui l’invito a valutare una sorta di raccomandazione per maggiore cautela. «Inizia a esserci insofferenza nei confronti di chi ha verità in tasca pronte per ogni situazione e stagione. Verità che sono state sistematicamente smentite dai fatti», avrebbe detto al premier. In tempi di Covid, avrebbe sottolineato per far cogliere il cuore del problema «non possono essere lo share e gli ascolti l’unica discriminante nelle scelte degli ospiti in tv quando si parla di pandemia e delle conseguenze sulle persone». Un appello alla serietà, una critica alle virostar in libera uscita e ai giornalisti passati dall’involtino primavera in diretta all’elogio del lockdown permanente. Anche nelle redazioni, dell’immunità di gregge è rimasto solo il gregge.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)