2023-03-02
«La cultura occidentale ha dichiarato guerra a Natura, Storia e Dio»
Il filosofo francese Henri Hude: «L’umanismo moderno esalta la libertà ma trascura il bene. L’Europa si sta suicidando, diplomaticamente è insignificante».Si intitola Philosophie de la guerre (ed. Economica) l’ultimo libro del filosofo francese Henri Hude. Ne abbiamo parlato con l’autore in relazione agli eventi in atto.La guerra ritorna in Europa e conosce un’escalation continua. Orrori ed errori della storia pare non ci abbiano insegnato nulla. Impera una «cultura di guerra» che - lei scrive - viene dalla cultura umanista occidentale moderna: perché?«La guerra è tanto antica che se n’è perduta memoria: risiede nella natura spirituale dell’uomo, nella sua ricerca di infinito fuori dall’infinito stesso. È attraverso la cultura che, in quanto animale dotato di ragione, egli regola l’istinto di violenza. Il sapere e la religione sono essenzialmente culture di pace ma hanno storicamente due debolezze: nel presentare il bene hanno spesso messo in secondo piano la libertà, il che ha favorito conflitti culturali che hanno fatto la fortuna dell’Illuminismo. Al contrario, la cultura umanista moderna propone la libertà ma trascura il bene, non considerando che il primato della libertà è tale solo se sta in relazione con l’amore, la verità, la giustizia. Concepirlo come assoluto è voler “mantenere la propria libertà d’azione”, ovvero il primo principio giustificatore di ogni guerra, come diceva il maresciallo Foch. Quella dell’Occidente moderno è una cultura di guerra contro la Natura, la Storia, Dio stesso. Va cambiato il paradigma, mettendo al primo posto l’amicizia, che preserva la libertà ma scioglie i legami con la guerra».Come può una filosofia della guerra aiutarci a capire il conflitto russo-ucraino e a gettare le basi per la pace? «La filosofia della guerra è per la diplomazia e l’arte militare ciò che la matematica è per la fisica e la tecnologia: necessaria ma non sufficiente. La comprensione di un conflitto dipende anche dalla conoscenza dei fatti, difficile poiché in guerra la verità è sempre la prima vittima. La filosofia può però aiutarci ad allargare lo sguardo, riconoscendo che oggi è in corso una guerra mondiale: gli Stati Uniti vogliono mantenere o ampliare la loro egemonia; Cina e Russia non vogliono subirla. La guerra d’indipendenza dell’Ucraina nei confronti della Russia rientra paradossalmente in una guerra d’indipendenza della Russia dagli Stati Uniti. È per celare il rischio nucleare che parliamo di guerra russo-ucraina, sebbene sia evidente che senza il supporto di Usa e Nato, l’Ucraina da sola non ce la farebbe. Dall’esito di questo scontro dipenderà l’assetto che avrà il mondo in futuro».Lei sostiene che stiamo passando dall’equilibrio al dis-equilibrio del terrore a causa della cultura woke, che rende l’Occidente fragile ma anche trasgressivo e suicida, pertanto estremamente inquietante e imprevedibile; nel campo opposto si è pronti a tutto pur di resistere ai deliri woke e alle ambizioni imperialiste…«Il rischio di escalation c’è, soprattutto se si considera la lotta fra cultura moderna e postmoderna. La deterrenza risiede da un lato nello scegliere la vita, rifiutando il suicidio; dall’altra nel credere che la vita abbia un significato superiore alla vita stessa. Non per forza religioso, ma tale da permettere di scegliere tra il significato e la morte. Ora, nella cultura postmoderna il significato è stato ridotto alla pura sopravvivenza per la paura di morire, il che ostacola la logica della deterrenza. Il non-senso che deriva da questa visione porta disperazione e angoscia, e con esse l’idea di farla finita, suicidandosi. A partire da questa idea di suicidio individuale si introduce poi quella del suicidio collettivo. La straordinaria infecondità europea ne rappresenta già una forma, così come la legalizzazione dell’eutanasia, divenuta il nuovo modo di congedarsi dalla vita. Andare in guerra esponendosi temerariamente al pericolo è sempre stato il modo più onorevole di suicidarsi, ma il postmoderno è divenuto troppo fragile per andare a combattere: crede davvero che l’Italia o la Francia accetterebbero di lasciare 100.0000 cadaveri sulle trincee dell’Ucraina? Per questo la guerra nucleare finirà per rappresentare la terza forma, la più “soddisfacente”, di suicidio collettivo. Che per di più individua un capro espiatorio della nostra disperazione: senza un profondo rinnovamento dell’umanesimo occidentale, suicidarsi uccidendo un nemico che incarna il Male diventerà una prospettiva accettabile. Bisogna allora ritrovare un senso: mettere la ragione e la verità, la natura e la vita, Dio e l’immortalità, l’amicizia e l’amore, e non più la libertà al primo posto».Quale ruolo può giocare la religione, in passato accusata di essere causa di conflitti, e oggi sola speranza davanti a questa tendenza suicida e alla minaccia di un Leviatano universale? «Dopo Hiroshima una guerra totale sarebbe la fine del genere umano, tanto da rendere accettabile la prospettiva di un unico Stato mondiale - un Leviatano universale - come soluzione garante di pace. Ma il Leviatano non può mantenere le sue promesse, neanche attuando una sorta di stalinismo orwelliano planetario, e proprio la sua atroce prospettiva deve tornare a farci ragionare. I signori del Leviatano sono superuomini, tutti gli altri sono sotto-uomini: se il Leviatano si affermasse eliminerebbe religione e sapere, poiché esse permettono all’uomo di realizzarsi, cosa che il superuomo non tollera. Se dunque le religioni non sono eccezionalmente stupide, dovranno convivere senza relativismo, né sincretismo, per impedire al Leviatano di fonderle in un’unica realtà insignificante o di trarre vantaggio dai loro conflitti. Allora sì che, valorizzando la libertà personale e la morale naturale della vera amicizia, potrebbero rappresentare la grande resistenza spirituale dell’umanità al suicidio indotto del Leviatano. Questo non distolga dal riconoscere la vera causa del male e della guerra, che risiede nel fatto che l’uomo desidera l’infinito, e quando non lo cerca nell’Infinito reale che chiamiamo Dio -o l’Assoluto - è costretto a mendicarlo nelle cose finite. Ne deriva una dis-misura incompatibile con la collaborazione e la pace. Le grandi religioni, orientando il desiderio d’infinito verso l’Infinito reale, sono invece fattori di pace».Fragilità psichica, irrazionalità politica e polarizzazioni sociali causate dalla cultura postmoderna radicalizzata, a suo avviso rendono improbabile una leadership planetaria americana. Ritiene che la modernità russo-cinese sia più resiliente? La modernità è sempre più resiliente della postmodernità: offre un contesto di ragionevolezza, norme definite, un orizzonte di senso. Ma la decomposizione postmoderna della modernità tenta tutti, oggi, anche quei Paesi che la rifiutano. I cinesi provano ad abbinare tradizione e modernità. Non sanno come rinunciare ad un potere centrale forte senza rischiare divisioni e disordini (come nel 1800), e in un contesto di conflitto mondiale ogni liberalizzazione è da escludere. Probabilmente il Paese finirà per superare il tradizionalismo xenofobo, per capire le qualità insostituibili del Cattolicesimo e trovare un giorno il proprio Costantino. È ciò che pensa papa Francesco. In Russia la situazione non è molto diversa dal punto di vista culturale, considerato che gran parte delle élites rappresentanti dell’occidentalismo postmoderno sono emigrate. Gli Stati Uniti si sono ingaggiati in una guerra mondiale in una condizione di divisione culturale, indebolimento industriale e disuguaglianze sociali crescenti. La perdita di egemonia provocherà una grande sofferenza sociale, ma anche un trauma spirituale poiché il modello calvinista-liberale vedrà svanire la sua aura e si virerà piuttosto, complice l’immigrazione dall’America latina, nella direzione della dottrina sociale cattolica».Colpisce il fatto che non si parli di negoziati: si vuol continuare finché la Russia non sarà abbastanza usurata. A quel punto, secondo lei, si aprirà la fase cinese dello scontro. Questa guerra segna dunque un cambiamento storico? «Questa in atto è la terza guerra mondiale, che si fermerà solo con la vittoria di una delle parti o grazie a una mediazione di peso, politica e spirituale, seguita da un grande rinnovamento pacifico. Il principale concorrente degli Stati Uniti è la Cina e l’unico modo per gli americani di sottometterla senza intervento militare è privarla dell’accesso a energia e materie prime. Per arrivarci devono disintegrare la Federazione russa e controllarne i frammenti. Senza questa egemonia il regno del dollaro finirebbe e il regime liberale, troppo diseguale, rischierebbe una rivoluzione o un’evoluzione dittatoriale. Se perdono questa guerra, Ue e Onu non sopravvivono. La classe politica e le élites europee sono inesistenti e allineate, per solidarietà ideologica woke, sulle posizioni americane. L’Europa, che già si stava suicidando demograficamente, ora lo sta facendo anche economicamente. Avrebbe potuto svolgere la mediazione necessaria se non avesse insistito nell’affossare la propria cultura, riducendosi così ad essere diplomaticamente insignificante e politicamente impotente.