2020-01-08
Il contrattacco iraniano agli Usa o è una finta o è un flop
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Residui dei missili iraniani nella base Usa Ain al-Assad in Iraq (Gettyimages)
È partita la ritorsione iraniana contro gli Stati Uniti. Nella notte, Teheran ha lanciato numerosi missili contro due basi americane in Iraq. Dopo l'attacco, il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, ha dichiarato su Twitter che la Repubblica Islamica «non voglia un'escalation» e che il lancio dei missili fosse una misura proporzionata in base all'articolo 51 della Carta Onu.Secco il commento di Donald Trump: «Va tutto bene! I missili sono stati lanciati dall'Iran in due basi militari situate in Iraq. La valutazione delle vittime e dei danni si sta verificando ora. Fin qui, tutto bene! Abbiamo di gran lunga le forze armate più potenti e ben equipaggiate del mondo! Farò una dichiarazione domani mattina», ha twittato. Il presidente ha inoltre convocato il consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca.Secondo i media iraniani, che si rifanno a fonti vicine alle Guardie della Rivoluzione, sarebbero stati uccisi circa ottanta soldati statunitensi. Una circostanza smentita da Washington, secondo cui non ci sarebbero vittime americane. Durissimo il commento del leader supremo, Ali Khamenei, secondo cui Teheran avrebbe inferto uno «schiaffo in faccia» agli Stati Uniti. L'ayatollah ha giustificato l'atto come ritorsione per l'uccisione del generale Qasem Soleimani, eliminato da un raid americano venerdì scorso, e ha invocato la fine della presenza statunitense in tutta la regione mediorientale. Una posizione, questa, fatta propria anche da Mohammad Javad Zarif nella tarda mattinata. «Spetta ora agli Stati Uniti tornare in sé e fermare il proprio avventurismo in questa regione. Non abbiamo avviato questo processo di escalation, gli Stati Uniti hanno intrapreso una guerra economica contro l'Iran», ha detto il ministro ai giornalisti. In tutto questo, i pasdaran hanno assunto toni minacciosi verso l'America e Israele.Non sono intanto tardate le reazioni internazionali. Il Regno Unito ha nettamente criticato la Repubblica Islamica. «Condanniamo questo attacco alle basi militari irachene che ospitano la coalizione, comprese le forze armate britanniche», ha dichiarato il segretario agli Esteri britannico Dominic Raab. Più tiepida si è rivelata l'Unione europea: l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri Josep Borrell ha infatti affermato: «L'attuale crisi non riguarda solo la regione, ma tutti noi. L'uso delle armi deve fermarsi ora per dare spazio al dialogo». Di ben altro tenore la posizione israeliana, con Benjamin Netanyahu che ha tuonato: «Chiunque cerchi di attaccarci subirà il colpo più devastante». Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha invece sostenuto: «Seguiamo con particolare preoccupazione gli ultimi sviluppi e condanniamo l'attacco da parte di Teheran. Si tratta di un atto grave che accresce la tensione in un contesto già critico e molto delicato». La Cina, nel mentre, sta cercando di proporsi come mediatrice tra le parti. Intanto, secondo quanto riportato da un comunicato del premier iracheno Adil Abdul Mahdi, sembrerebbe che Baghdad sia stata avvertita dell'attacco da Teheran poco prima che esso avesse luogo, attraverso un «messaggio verbale ufficiale». Stando a quanto riporta Cnn, l'Iraq avrebbe quindi avvisato in anticipo gli Stati Uniti su «quali basi sarebbero state colpite».Frattanto anche la stessa politica americana è nel pieno della fibrillazione, con i falchi repubblicani stanno continuando a fare quadrato attorno a Trump. In particolare, il senatore del South Carolina, Lindsey Graham, ha definito l'attacco missilistico iraniano «un atto di guerra», aggiungendo poi che il presidente abbia «tutta l'autorità per rispondere». Graham ha precisato che Trump dovrebbe «ristabilire la deterrenza» ma ha comunque chiarito che l'inquilino della Casa Bianca non sia interessato a un cambio di regime in Iran (opzione invocata invece nei giorni scorsi dall'ex consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton). Sulla linea di Graham si sono collocati anche altri senatori repubblicani, come Marco Rubio. Meno netta e piuttosto attendista risulta, per il momento, la posizione dei democratici. Se i principali candidati alla nomination hanno finora parlato poco o nulla, la speaker della Camera Nancy Pelosi si è limitata a a far sapere di «stare seguendo attentamente la situazione» e ha criticato «le inutili provocazioni dell'amministrazione americana».