2018-07-29
Grazie, ma non contate su di me. Mi chiamo fuori dalla corsa ai tg Rai
Il mio nome circola con insistenza fra i papabili per la direzione dei telegiornali della tv di Stato: è un onore però passo la mano. Voglio rimanere libero, soprattutto di criticare. E qui alla «Verità» posso farlo benissimo.È vero che vai in Rai?». Sono quei giorni in cui ti chiama anche l'amico che non sentivi da alcuni lustri. Ci sono stati, nel frattempo, lutti, matrimoni, fidanzamenti, lauree dei figli, scudetti della squadra del cuore (ovviamente la sua), nonché una cifra imponderabile di altri accadimenti. E mai, dico mai, lui aveva pensato che valesse la pena non dico una telefonata, ma un sms, un whatsapp, un messaggio qualsiasi. Invece appena ha visto il mio nome accostato alla Rai, su qualche sito Internet o su qualche giornale, ecco che all'improvviso ha sentito il dovere di ristabilire un contatto. «Faccio il tifo per te», mi dice. Come se si trattasse di giocare il derby scapoli ammogliati al campetto dell'oratorio. Ti ringrazio, caro amico. E spero di risentirti nel prossimo decennio anche senza bisogno di scomodare mamma Rai. Ma, in fondo, è bello sapere che tutto quello che riguarda la tv di Stato muove sentimenti, interessi, passioni così forti. La dice lunga su quale sia ancora, nonostante tutto, il rapporto degli italiani con quella che è stata la loro principale educatrice degli ultimi decenni. E dunque non posso che essere orgoglioso e grato ogni volta che il mio nome viene accostato a quell'azienda, in cui per altro ho mosso i miei primi passi televisivi, quando sbucai dal video con una faccia da bambino («Chi è quel tredicenne che va in tv?», dicevano) e una voce talmente fastidiosa che qualcuno fin da subito la paragonò a quella di Rosa Russo Jervolino. Sono orgoglioso, grato. E anche un po' divertito. Mi sono trovato all'improvviso travolto da una girandola impazzita di voci, controvoci, trattative, suggerimenti, consigli, ipotesi, telefonate, messaggi, prese di posizione. La nomina è solo una chiacchiera giornalistica, eppure già si sono fatti vivi (in clamoroso anticipo) esponenti politici di ogni schieramento: «Non si sa mai», devono aver pensato, «meglio mettere le mani avanti». Il mio cellulare è esploso per appelli, raccomandazioni, preghiere, segnalazioni. Non è successo nulla, se non il solito pettegolezzo da retroscena, ma già il mondo dei social si è diviso tra i miei ultras, per cui la direzione del telegiornale è troppo poco, perché mi vorrebbero come minimo Papa Re, e i detrattori incalliti che mi insultano a suon di «populista» (e ci mancherebbe), «qualunquista» (ça va sans dire), ma anche «mezzo uomo» e «capponato». Complimenti per la classe. E un abbraccio a tutti. Ma, ecco, volevo dire, sommessamente, caso mai qualcuno fosse ancora interessato al mio parere: vorrei che non mi riguardasse. Almeno, che non mi riguardasse più. Se sono mai stato dentro, mi tiro fuori. Sono grato, lo ripeto, orgoglioso, felice di essere stato citato e stracitato, menzionato in ogni luogo, senza aver fatto nulla per esserlo (chi mi conosce sa che sono un pessimo uomo di relazioni) ma, ve lo assicuro, hic manebimus optime. Io sto bene dove sto. Sono convinto che, nonostante qualche recente passaggio che mi ha amareggiato, Mediaset resti la mia casa. E sono convinto che questo giornale, che ho contribuito a fondare e di cui faccio orgogliosamente parte, sia un piccolo tesoro, uno spazio di indipendenza, cui per me è e sarà sempre impossibile rinunciare. Non lo so se il mio nome è stato davvero fatto per la Rai oppure no. Non lo so se, come mi hanno chiesto in tanti, le voci che circolano in queste ore siano soltanto voci oppure no. Lo so che sembra strano, ma è così: quando parte la girandola, il girandolato è quello che sa meno di tutti. Io, per dire, non so nulla. Davvero nulla. Ma, nell'eventualità ci fosse qualcosa di vero, ecco: fate come se avessi accettato. Cancellate il mio nome. Risparmiate sulle fotine, risparmiate sull'inchiostro, evitate di solleticare ancora il mio narcisismo. La Rai è meravigliosa, ma io sono altrove. Anche perché, come tutti sanno, non so portare bene le giacche. Figuriamoci le giacchette. Quello che penso di questo governo lo sapete, perché lo scrivo ogni giorno sulla Verità. Penso che sia una grande occasione di cambiamento e penso che abbia iniziato anche a muoversi bene. Penso che Salvini, in meno di due mesi da ministro dell'Interno, abbia ottenuto più di quello che è stato ottenuto nei 5 anni di governo precedente. Ringrazio il leader della Lega che in un post, qualche settimana fa, mi ha definito un «giornalista libero»: io credo che questo governo abbia bisogno di giornalisti liberi, che lo sappiano guardare senza pregiudizi (pregiudizi che invece accecano buona parte dell'informazione italiana), diventando però anche pungolo, quando necessario. È quello che stiamo facendo, e che continueremo a fare, qui sulla Verità e in tutti i luoghi ove ci sarà consentito farlo. Del resto perché stupirsi? Lo ha spiegato il direttore Maurizio Belpietro benissimo su queste colonne: da una vita sosteniamo che bisogna controllare l'immigrazione selvaggia, dobbiamo ricrederci ora? Da una vita sosteniamo che bisogna recuperare dignità nei confronti dell'Europa, dobbiamo ricrederci ora? Da una vita facciamo campagne per l'abolizione dei vitalizi, dobbiamo ricrederci ora? E perché? Perché questi interventi (sacrosanti) li mettono in campo Lega e Cinque stelle? In questi giorni ne abbiamo visti fin troppi di colleghi impegnati nelle giravolte spaziali. A noi viene il mal di mare. Perciò preferiamo non imbarcarci. E a tutti quelli, come il mio amico carsico, che sono emersi da settimane di silenzio per sostenermi, dico grazie. Se vogliono ancora fare il tifo per me, ne sarò lieto: li invito alla prossima partita di tennis che gioco sulla mitica terra rossa di Usmate Velate.
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